mercoledì 22 dicembre 2010

Buon NATALE e Felice ANNO NUOVO












Cesena Bikers, augura con il cuore: buon Natale e felice Anno Nuovo a tutti i membri del club, a tutti i lettori del blog, agli amici, ai simpatizzanti del nostro gruppo, a coloro che hanno accettato/richiesto il nostro contatto su facebook e che tramite esso seguono le nostre avventure e, a tutti i blog (e ai loro blogger) amici. Un augurio particolare va agli OLD BOYS RUFFIO con il quale esiste molto più che un gemellaggio ma a legarci è una profonda amicizia; ai ROAD SPIRITS di Cesena (FC) e ai PRIMITVS BIKERS di Gambettola (FC). Cesena Bikers vuole inoltre ringraziare chi ha partecipato alle nostre uscite, al Motoraduno di Ruffio, al Motoaperitivo, alle cene e alle nostre varie iniziative, contribuendo a rendere anche il 2010 una grande annata di MOTOCICLISMO e PASSIONE.

martedì 21 dicembre 2010

750: la "Regina" dimenticata..































































































































































































Al giorno d'oggi, quando si parla del campionato mondiale Superbike, di quello Endurance, del Senior TT o comunque di tutte quelle competizioni riservate alle moto derivate dalla serie, la cilindrata che salta alla mente è una: 1000cc. Questo è infatti il limite massimo alla cubatura concesso alle moto con montano propulsori a quattro cilindri dal regolamento internazionale. Le due ultime stagioni hanno messo in evidenza, con le vittorie di Ben Spies in sella alla Yamaha R1e di Max Biaggi con la Aprilia RSV4, come questa configurazione sia attualmente quella vincente. Dato il regolamento attuale e considerando lo stato evolutivo dei propulsori, attualmente pare che il propulsore 4 cilindri di 1000cc sia vincente rispetto al suo “acerrimo rivale” ossia il bicilindrico da 1200cc. La storia del massimo campionato per le derivate della serie ci ha infatti sempre parlato di questa contrapposizione tra quattro e due cilindri. Da un lato c'è sempre stata la scuola nipponica, fedele al classico frazionamento a quattro, al quale tutte le “sorelle dagli occhi a mandorla” si sono da sempre standardizzate. Dall'altro lato della medaglia ad esse si è sempre contrapposta la scuola italiana, portata avanti (con immenso successo..) dalla Ducati e (con fortune alterne..) da Aprilia. Nel corso degli anni ci sono stati degli sviluppi e, questa regola che pareva assolutamente imprescindibile è stata infranta. E' quindi successo che alcune Case passassero dall'una all'altra architettura, andando a trovare il successo proprio nel momento in cui hanno “esplorato” quei terreni tecnici che non erano insiti nel loro DNA. La Honda nel 200 schierò una bicilindrica con la quale andò a sfidare la Ducati nel suo inviolato regno. La casa di Tokyo si tolse la soddisfazione di fregiarsi dell'iride nell'anno del debutto e nel 2002 con la mitica VTR 1000 (Sp1 e Sp2), al secolo RC51. Anni dopo fu l'Aprilia, Casa che aveva mosso i suoi primi passi in Superbike schierando una bicilindrica dalla alterna competitività, a passare al quattro cilindri, da sempre terreno di caccia per le case del Sol Levante, a conquistare il titolo iridato, in barba ai Giapponesi e alla teutonica BMW che è scesa in campo optando per questo indirizzo tecnico, investendo immensi capitali. Fino ad ora ho parlato unicamente di Marche e frazionamenti, tralasciando volutamente il discorso legato alla cilindrata in quanto ho ritenuto giusto, per far comprendere appieno il ragionamento che voglio affrontare con questo post, fosse giusto scrivere un preambolo con un po' di storia della categoria. Da quanto riportato si evince quindi che la vittoria nel campionato per le derivate dalla serie si è sempre giocata sul delicato equilibrio tra frazionamenti e cilindrate. Questo concetto è evidenziato dal fatto che nella sua esistenza il Campionato del Mondo Superbike ha visto per tre volte cambiare il suo regolamento tecnico la fine di rendere la lotta più equa possibile. Dal 1988 al 2002 la lotta era tra quattro cilindri da 750cc e bicilindriche da 1000cc; dal 2003 al 2007 la cilindrata massima per ogni tipo di configurazione era di 1000cc; dal 2008 ad oggi il limite è di 1000cc per le “quattro” e 1200cc per le “due”. Per i motociclisti dell'ultima generazione quindi, la tre quarti di litro è una cilindrata che non dice molto. Al contrario per chi come me è motociclisticamente parlando è figlio degli anni novanta, parlare di Superbike (o comunque di derivate dalla serie) equivale ancora a parlare di quella che in quegli anni fu la “classe regina”. La 750 ha visto la sua ascesa come cilindrata a partire dal 1984, quando la Federazione Internazionale allo scopo di limitare le prestazioni delle moto a quattro tempi derivate dalla serie impegnate nelle varie gare dell'epoca, impose questa cubatura come il limite massimo ammesso alle competizioni. In quegli anni e fino al 1987 esisteva un campionato per le moto derivate dalla produzione: il campionato Mondiale F1 ossia l'antesignano dell'attuale Superbike. Nei primi tempi le case nipponiche schierarono moto molto simili a quelle stradali (e quindi poco corsaiole) coma la Honda VF, la VFR 750-F o la Yamaha FZ. La grande svolta a questa tendenza avvenne nel 1985 quando la Suzuki lanciò sul mercato la splendida GSX-R750. La Casa di Hamamatsu, introducendo la “GIXXER” di fatto diede una spinta propulsiva al mondo della motocicletta. Da li in poi per gli smanettoni di tutto il mondo si aprì un vero e proprio giardino dell'eden colmo di novità fantastiche sfornate a ritmo serrato da tutte le Case. Fu così che nelle concessionarie arrivarono altre moto spettacolari come: la Kawasaki ZXR-750 “Stinger”, la Ducati 851 prima e 888 poi, le “esotiche” Yamaha FZR 750-R OW01 e ed Honda RC30 (entrambe da considerarsi lo stato dell'arte delle race-replica). Queste incredibili motociclette, con in sella piloti grandiosi come: Mick Grant, Wayne Rainey,Freddy Merkel, Fabrizio Pirovano, Raimond Roche, Doug Polen, Baldassarre Monti, Rob Phillis, infiammarono le gare su tutti i circuiti del mondo. Nella seconda metà degli anni ottanta e nei primi anni novanta esse furono le regine incontrastate delle corse. I cuori degli appassionati battevano come tamburi solo sentendole nominare. I ragazzini (come lo ero io al tempo) sbavavano sulle loro fotografie riportate sul mitico Motosprint, tanto che il mercoledì si passava dall'edicola per accaparrarsene una copia prima di entrare a scuola. Il settimanale veniva poi ovviamente tenuto aperto sotto al banco e durante le lezioni lo si sbirciava facendo attenzione a non essere “sgamati” dall'insegnate. A partire dal 1993 arrivò la seconda generazione di queste incredibili moto: la Suzuki lanciò la “GIXXER” raffreddata a liquidi al posto di quella precedente con raffreddamento misto aria/olio. La Kawasaki fece arrivare nelle concessionarie la meravigliosa ZXR-750 R con l'aspirazione forzata dell'aria; la Yamaha presentò la YZF 750 e la Honda tirò fuori dal cilindro la meravigliosa RC45. Nello stesso periodo la Casa di Tokyo volle meravigliare il mondo con quella che allora (e probabilmente anche adesso) fu la massima espressione della tecnica applicata al motociclismo: la NR750. Questa moto, riservata a pochissimi fortunati e facoltosi acquirenti fece storia a parte. Non arrivò mai sui campi di gara ma volle rappresentare una impressionante prova di forza da parte della Casa dell'ala dorata. Essa infatti vantava: pistoni ovali, due bielle per ogni pistone e 8 valvole per cilindro! Tutto questo “ben di Dio” venne messo sul mercato alla iperbolica cifra di ottanta milioni di vecchie lire! NR a parte tutte le altre si sfidarono in battaglie infuocate sulle piste di tutto il mondo con in sella una nuova generazione di piloti: Scott Russell, Aaron Slight, John Kocinski, Antony Gobert, Simon Crafar, Noriyuki Haga. Nonostante queste race-replica fossero l'evoluzione di quelle che le avevano precedute, esse riscossero meno successi in pista di quelle che le avevano precedute in quanto ebbero la “sfortuna” di scontrasi con l'arma definitiva made in Borgo Panigale ossia la Ducati 916. Questa grandiosa motocicletta, condotta da Carl Fogarty e da Troy Corser si impose con “paurosa” supremazia sulla concorrenza. Nonostante tutto però le 750 a quattro cilindri conquistarono comunque due allori: nel 1993 (quando ancora la 916 non c'era) fu la verde Kawasaki ZXR 750-R del team Muzzy's condotta dal biondo georgiano Scott Russell a vincere il titolo mondiale e nel 1997 si impose la Honda RC45 del team Castrol (Honda Britain) con i sella il “cavallo pazzo” dell'Arkansas John Kocinski. Il canto del cigno delle 750 in Superbike lo si ebbe con le ultime vittorie della nuova arrivata: la Yamaha YZF R7 OW02, con quelle delle Suzuki GSX-R SRAD e con quelle della ultima versione della Ninja 750 ossia la ZX7-R. A quei tempi il predominio dei bicilindrici era tanto evidente che addirittura la Honda, come detto in precedenza, decise di abbandonare il V4, da sempre suo cavallo di battaglia, per passare ad un V-twin da 1000cc. Se a partire dal 1998, con il vecchio regolamento in voga in Superbike per le 750cc in pista i successi si fecero sempre più sporadici, a livello di vendite, per quanto concerne le moto stradali, il declino delle race-replica da tre quarti di litro, iniziò ancora prima. Nei primi anni novanta infatti la Ducati, forte dei suoi innumerevoli successi in pista, andò a trovare un riscontro commerciale, con conseguenti numeri di vendite che sino a quel momento le erano stati del tutto sconosciuti. La Casa di Borgo Panigale si accaparrò una gran fetta di clienti che fino a qualche tempo prima “appartenevano” esclusivamente alle case nipponiche. Nel 1993 inoltre la Honda mise sul mercato la meravigliosa ed incredibile CBR 900 Fireblade. La moto aveva le dimensioni di una “settemmezzo”, pesava di meno e vantava più cavalli di tutta la concorrenza. Il tutto era unito al “family feeling” che solo le creature della Casa dell'ala dorata possono vantare. La CBR 900 Fireblade si dimostrò da subito la migliore quattro cilindri disponibile ai tempi sul mercato. Aveva un look da vera race-replica, amplificato dal bellissimo doppio faro in stile endurance, dalla carena traforata e dal cerchio anteriore da 16 pollici. Veniva proposta sul mercato ad un prezzo paragonabile a quello delle altre “settemezzo” come Kawasaki, Yamaha e Suzuki. Anche se, a differenza delle altre non vantava lo stesso legame con le competizioni, per via dei suoi contenuti tecnici, non impiegò molto a fare breccia nel cuore degli appassionati. La Honda con questa “mossa geniale” in pratica spazzò via la concorrenza che in quel dato momento storico era del tutto impreparata a trovarsi di fronte un competitor così incredibilmente forte. La scelta della Casa di Tokyo fu motivata dal fatto che allora aveva in listino la VFR750-F che era una sport tourer (e quindi era destinata ad una clientela differente) e che la sua Superbike replica era la RVF RC45 che essendo posta in vendita ad una cifra prossima ai quaranta milioni di lire (ossia il doppio del prezzo a cui venivano proposte le moto della concorrenza) non le garantiva volumi di vendita elevati. Alla Honda pensarono bene quindi di “estrarre dal suo cilindro magico” una moto con la quale si potesse dare un duro colpo alla concorrenza, andando a lavorare in un settore del mercato ancora poco sfruttato e che lasciava intravvedere immense potenzialità. La CBR 900 Fireblade oltre che a decretare la fine delle vendite delle 750 (e quindi la loro progressiva uscita di produzione), andò a prendersi anche il mercato delle 1000cc!! Ai tempi infatti le Case avevano in listino delle moto da 1000 o 1100 cc, ma esse erano viste come delle “ammiraglie” e non come moto sportive. La Kawasaki produceva la ZZR 1100, la Suzuki la GIXXER 1100, la Honda stessa aveva in listino la CBR 1000 e la Yamaha la FZR 1000 Exup. Honda e Kawasaki erano due “siluri” terra aria ma avevano la stessa agilità tra le curve di un “cancello da giardino pubblico”. La GIXXER 1100 era un po' più guidabile ma il suo peso era comunque troppo elevato per una sportiva. La Yamaha 1000 Exup era di tutto il lotto quella più racing. Era comunque inferiore alla Fireblade come guidabilità. Il propulsore della FZR era però superiore a quello della CBR. Fu proprio da questo elemento che la casa di Iwata partì per dare la propria risposta alla grande rivale di Tokyo, mettendo sul mercato la moto che aprì la nuova epoca del motociclismo: la YZF R1. Questa fu la definitiva fine della tre quarti di litro! Al giorno d'oggi le Case non credono più in questa cilindrata. Le uniche ad avere ancora in listino una “settemezzo” sono la Suzuki con la GSX-R750 oltre che con la nuova arrivata ossia la naked GSR 750 e la Kawasaki con la Z 750 (naked che da anni è tra le regine del mercato). Anche la Moto Guzzi crede in questa cubatura anche se la sua V7, in tutte le sue varianti, non è certo una moto sportiva e tanto meno una race-replica. Attualmente le moto da 750cc sono riconosciute come “il giusto compromesso” tra prestazioni e facilità di utilizzo sia su strada che in pista. La “settemmezzo” nonostante questo, da regina indiscussa è divenuta una comprimaria. I tempi in cui “un motociclista si sentiva un vero uomo solo se cavalcava una tre quarti di litro” sono definitivamente tramontati. Oggi queste fantastiche moto che hanno segnato un'era, conservano il loro grande fascino solo agli occhi degli appassionati e di chi, come il sottoscritto ha viso con i propri occhi lo svolgersi della loro grande epopea. Il motociclismo ha visto la sua storia seguire il suo corso e come in ogni cosa c'è stata una “naturale evoluzione” qualche appassionato di questa storica cilindrata però fortunatamente esiste ancora! Questa estate, durante una uscita infrasettimanale, nel periodo di ferie a cavallo di ferragosto, sono andato, in sella alla mia Speed Triple, al Passo della Calla. In questa uscita ero accompagnato dalla “tesoriera” di Cesena Bikers ossia la Zamma, in sella alla sua Suzuki GSR 600. Salendo per il bellissimo passo che collega Santa Sofia a Stia, qualche chilometro prima del Corniolo, abbiamo visto davanti a noi un gruppetto composto da tre moto. Appena ci siamo avvicinati, guadagnando strada ho capito cosa avevamo davanti! Si trattava di una RC30 il cui pilota indossava una tuta con i colori HRC di metà anni ottanta (quella di Spencer, Roche, Haslam e Mamola per intenderci..) e aveva il casco bianco e rosso con la livrea di Fred Merkel. Davanti a lui c'era una ZXR 750-R il cui pilota in tuta verde indossava il mitico Shoei di Scott Russell. Ad aprire la fila c'era una YZF 750 con pilota in tuta Yamaha e casco Haga replica (prima serie). Abbiamo fatto un paio di curve insieme e poi li abbiamo sfilati. Giunti al passo, precisamente al mitico chiosco, abbiamo parcheggiato le nostre moto e abbiamo atteso l'arrivo di questi motociclisti. Una volta che anch'essi sono arrivati, immediatamente dopo che hanno parcheggiato le loro spettacolari motociclette , sono andato verso questo gruppetto per domandare se fossero usciti direttamente da un portale temporale che li aveva catapultati ai giorni nostri dagli anni ottanta! Questi simpaticissimi signori, tutti sulla cinquantina, tra di loro amici di vecchia data, provenienti dalla provincia di Ravenna, hanno iniziato a chiacchierare con noi. In sunto mi hanno detto che le loro moto sono state acquistate nuove tra il 1990 (la RC30) e il 1995 (la YZF) e che da allora le hanno sempre tenute. Nel giro di qualche istante mi sono accorto di quanto tutte e tre fossero talmente perfette da sembrare appena ritirate dalla concessionaria! Mi hanno spiegato che effettivamente le avevano portate a casa qualche giorno prima da una officina presso la quale le avevano fatte rimettere completamente per portarle all'antico splendore. Circa il loro abbigliamento “d'annata” mi hanno detto di averlo cercato appositamente, in modo da avere un “coordinato perfetto”. Quello che posso dire è che ai miei occhi quelle motociclette che tanto mi avevano fatto battere il cuore da ragazzino, tutte li in fila davanti a me, mantenevano lo stesso, immutato fascino di quando erano in listino e io, quattordicenne consumavo le riviste dove venivano messe alla prova. Per me le 750 race-replica sono tuttora stupende “regine dimenticate” di un'epoca grandiosa per il motociclismo, belle come nessuna moto attuale potrà mai essere!

giovedì 16 dicembre 2010

Motore 4 cilindri in quadrato ovvero: una discussione da motoclub..





































































Ieri sera si è tenuta una delle più belle cene di sempre al nostro motoclub "OLD BOYS RUFFIO". Come spesso avviene durante questi appuntamenti invernali si è iniziato a parlare di tecnica. La querelle della serata è stata posta dai mitici "Gorini Brothers" che si trovavano in disaccordo sulle caratteristiche tecniche di uno dei propulsori più incredibili che abbiamo mai solcato le piste del Motomondiale ossia: il quattro cilindri in quadrato che ha equipaggiato la Suzuki RG 500 Gamma. Le moto dotate di questo magnifico motore hanno vinto ben quattro campionati mondiali: 1976 e 1976 con in sella il grandissimo Barry Sheene, 1981 con Marco "Lucky" Lucchinelli e 1982 con Franco Uncini. Questo tipo di propulsore ha visto calare vertiginosamente la sua competitività a partire dal 1983 quando il 3 cilindri Honda e il potentissimo V4 Yamaha lo hanno di fatto relegato nelle posizioni di rincalzo. La Casa di Hamamatsu, per ritornare ai vertici delle classifiche, ha dovuto cambiare filosofia costruttiva e a passare ad un più moderno V4 adeguandosi a quello che dalla seconda metà degli anni ottanta sino al 2002 (anno in cui sono definitivamente scomparse le moto 500 a 2 tempi dal circus iridato dei GP), è stato lo schema unico a cui tutti si ispirati. Alcune eccezioni a questa "regola non scritta" si sono in realtà viste nel corso delle stagioni: il coraggioso tentativo della KR MODENAS di schierare ancora un 3 cilindri oltre all'esperimento dell'Aprilia a 2 cilindri. L'unica Casa che è riuscita a metter in pista moto abbastanza competitive anche se non equipaggiate con un V4 fu, manco a dirlo, la Honda che fece gareggiare oltre alla blasonata e plurititolata NSR 4 cilindri a V anche una bicilindrica. Va comunque precisato che dal 1984 sino al 2001 a fregiarsi dell'iride sono state solo moto con propulsori a quattro cilindri a V.
Come sopra detto, l'argomento che è stato sollevato da Gino e Adamo Gorini è stato un po' il leit motiv della serata in quanto l'uno sosteneva che i "quattro in quadrato" hanno due alberi motore, mentre l'altro sosteneva il contrario. Bene ho deciso di pubblicare questo post, dopo essermi documentato a dovere con lo scopo di capire chi aveva ragione e chi no e soprattutto per togliermi ogni dubbio che l'uno e l'altro, portando i propri argomenti e le proprie convinzioni mi avevano fatto sorgere. Preciso che nello specifico oltre alle moto da corsa, è stata portata come esempio la moto stradale ossia la mitica RG 500 Gamma, che a metà degli anni ottanta fece battere il cuore degli smanettoni come poche altre moto. Essa fu probabilmente una delle primissime race-replica e questo suo pedigree oltre che al suo grande blasone, la rendono ancora oggi ambitissima dai collezionisti. Il materiale fotografico postato oltre ai discorsi tecnici che ho trovato sui vari forum (spulciando sul web), ad essa si riferiscono:

1) 2 tempi, moto quasi da competizione. Ecco cos'è la Suzuki RG 500 Gamma, o semplicemente Gamma. Da questa moto sono partiti i sogni di tantissimi appassionati, perchè era praticamente una GP 500, senza modifiche, ma capace comunque di dare emozioni forti... molto forti. Il motore era un 4 cilindri 2 tempi a V di 498cc, con raffreddamento a liquido capace di erogare 95 CV a 9500 rpm e 71.3 Nm di coppia a 9000 rpm. Possono sembrare pochi, ma basti pensare all'erogazione esplosiva di un 2 tempi e tutto si chiarisce. La moto era alimentata da 4 carburatori Mikuni VM28SH tramite un sistema ideato dalla Suzuki (PEI). La moto ha un rapporto di compressione pari a 7:1 e aveva un alesaggio di 56mm e una corsa di 50,6mm (sottoquadro). La moto partiva solo grazie alla pedivella, quindi niente avviamento elettrico, e ha come trasmissione un cambio a 6 marce, con frizione multidisco a secco, e montava di serie i rapporti 40/16. La ciclistica della moto era pedò sottodimensionata alla potenza del motore, ma bastava comunque a divertirsi senza esagerare. All'anteriore troviamo una forcella telescopica regolabile nel precarico, mentre al posteriore un monoammortizzatore ad olio, anch'esso regolabile nel precarico, il tutto su un telaio doppio trave in alluminio. A frenare la moto spettava al doppio freno anteriore con pinza a 2 pistoncini e il posteriore con pinza a un pistoncino. Qui arriva la parte dolente, infatti la moto montava delle vere e proprie gommine, 110/90-16 anteriore e 120/90-17 al posteriore. Tutto sommato, il peso ridotto, di soli 154Kg davano alla moto un bel rapporto peso potenza oltre che ad una leggerezza unica. Questa moto è e sarà sempre il simbolo della potenza pura, che purtroppo sta via via diminuendo, visto il progressivo abbandono dei 2 tempi.

2) Motore Rg 500 Gamma:
Due tempi, quattro cilindri in quadrato raffreddato a liquido .
Ammissione a disco rotante.
Alimentazione a quattro carburatori a valvola piatta Mikuni VM 28 SS.
Cilindrata totale 498 c.c
Rapporto di compressione 7:1, potenza max 95 cv a 9500 giri, coppia max7,3 kgm a 9000 giri.
Questo motore non è da confondere con quello della Yamaha RD500 la quale monta un propulsore V4 totalmente diverso. Nulla a che vedere anche per la Honda NS 400 (3 cilindri).

3) Il motore a U è un motore a combustione interna, formato dall'unione a tandem di due motori in liena, viene definito motore in quadrato nel caso sia dato dall'unione in tandem di due motori bicilindrici in linea, ogni motore ha il proprio albero motore, uniti tramite ingranaggi o altro, mentre la variante a cilindri paralleli e del motore a cilindri convergenti è data da un motore a V con i cilindri paralleli con angolo pari a 0° nel primo caso, mentre nel secondo casi l'angolo sarà negativo. Questa configurazione a U è poco comune in quanto risulta più pesante di un equivalente motore a V, anche se il vantaggio principale dato dall'adozione della configurazione a U è dato dalla possibilità di utilizzare, nella sua costruzione le stesse parti dei motori in linea da cui deriva. Nella configurazione a cilindri paralleli questo motore riesce ad essere più compatto e leggero, ma richiede l'uso di una nuova biella a "Y" che risulta più difficile da progettare, inoltre in molti casi i cilindri vengono uniti tra loro in modo che formino un unico pezzo, il che permette di ridurre ulteriormente il costo e il peso. Un motore a U fu il 16 cilindri montato sulla Bugatti tipo 45. La Bugatti ne costruì solo due esemplari prima di cedere il progetto, in licenza, alla Duesemberg, negli Stati Uniti, che ne costruì altri 40 esemplari e in Francia alla Breguet. In entrambi i casi i motori erano pensati quali motori per l'aviazione. La Matra, intorno al 1974, realizzò un prototipo della Bagheera che montava un motore a U da 8 cilindri di 2,6 litri, realizzato unendo due motori a quattro cilindri della Simca 1000 Rally 2. Il collegamento dei due motori era ottenuto con l'utilizzo di una catena. A causa della crisi petrolifera di quegli anni la macchina non venne mai posta in produzione. In campo motociclistico, si ricordano il 4 cilindri in quadrato dell'inglese Ariel Square Four, costruito dal1931 al 1959, e i 2 tempi Suzuki (le RZ250, RG500 e RG500 Gamma da competizione e la RG 500 Gamma stradale) e Kawasaki.

Info by Wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Motore_a_U


Con questo contributo, a questo punto possiamo definire chiusa la querelle. Restiamo in attesa della prossima "disputa tecnica" che, tra una risata e l'altra ci aiuterà a "svernare" e a far finalmente giungere la primavera dove poi, a parlare seriamente, saranno le nostre moto!!

martedì 14 dicembre 2010

100.000 visite!!!!












Domenica 03 gennaio 2010, quando Cesena Bikers raggiunse la quota di 50.000 visite, scrivevo: Questo è il più bel post col quale avrei potuto iniziare questo 2010!! Da allora è passato meno di un anno e con lo stesso orgoglio e lo stesso immenso piacere posso dire che il nostro blog ha raggiunto la quota di 100.000 visite! Questo 2010 è stato un anno molto pieno, durante il quale ho potuto scrivere poco ma nonostante questo, Voi lettori (e amici..) di Cesena Bikers, non avete voltato le spalle al blog. Avete anzi, saputo attendere anche delle settimane tra la pubblicazione di un post e quello successivo, dimostrando comprensione e fedeltà a queste pagine web in cui, seppure a modo mio, scrivo di motociclismo. E' per questo che voglio ringraziarVi tutti, rinnovando da parte mia l'impegno a continuare ad "imbrattare il web" con la stessa passione e dedizione di sempre, nella speranza di continuare a trasmettere, come in passato, qualche piccola emozione a chi decide di leggermi!
Il Presidente Enrico Zani

lunedì 13 dicembre 2010

Follia e Passione..
















Sabato mattina, mentre stavo uscendo con la moto dal cortile di casa, ho salutato un amico che stava scendendo dalla sua auto, parcheggiata davanti a casa mia, per entrare in un negozio a fare le compere di Natale. Mentre mi apprestavo a chiudere il cancello, mi si è avvicinato e dopo aver contraccambiato il mio saluto ha esordito dicendomi: "Certo che per uscire in moto oggi, devi avere una certa VENA DI FOLLIA!". L'allusione era legata al fatto che sebbene fosse una limpida e soleggiata giornata di fine autunno, la temperatura alle dieci del mattino era ancora piuttosto bassa. Il grande cancello elettrico, scricchiolando, si stava ancora chiudendo quando prontamente gli ho risposto: "Che ci sia una vena di follia che mi attraversa il corpo e arriva diretta al cervello, è fuori dubbio, altrimenti oggi sarei uscito in auto. Ricordati però bene una cosa: ogni vena parte sempre dal CUORE e il mio pompa una GRANDE PASSIONE!". Sono poi partito sorridente, incurante del freddo e soprattutto felice di essere in sella alla mia motocicletta!

lunedì 29 novembre 2010

Ciao Pascal..

























Il mondo dei motori piange la scomparsa del centauro svizzero Pascal Grosjean (39 anni), deceduto ieri a Dubai al termine della prima gara dello Sportsbike Championship. Quello che rende questa morte assurda è la dinamica con cui è avvenuta: dopo aver tagliato il traguardo in prima posizione, il motociclista elvetico ha rallentato per celebrare la sua bella vittoria esultando con le mani al cielo. Dietro di lui però Tony Jordan, giunto terzo, non si è accorto del rallentamento e lo ha tamponato violentemente alla velocità di 124 miglia orarie (circa 200 kh/h). Entrambi i piloti sono stati sbalzati dalle moto: Grosjean è poi stato trasportato via elicottero nell’ospedale locale, ma per lui non c’è stato nulla da fare. Anche Jordan si trova, al momento, in condizioni gravissime. Pascal Grosjean era campione del mondo agli UAE Sportbike classe 600cc. Incredibile come Dubai abbia confermato la tragica cattiva sorte del suo circuito essendo questo il secondo incidente mortale dell’anno che avviene su questo tracciato: lo scorso aprile infatti la moto del pilota belga Christophe Hissette prendeva fuoco carbonizzando a morte il suo sfortunato centauro.

lunedì 22 novembre 2010

RUOTANDO RUOTANDO SHOW












Sabato 11 e domenica 12 novembre 2010, presso la Fiera di Cesena si terrà l'annuale appuntamento cesenate con i motori il: RUOTANDO RUOTANDO SHOW. Cesena Bikers sarà presente alla manifestazione durante entrambe le giornate. Siete tutti invitati a partecipare a questa kermesse che sebbene sia ancora piccola rispetto ad altre vetrine di interesse nazionale, è senza dubbio ben organizzata e di anno in anno sta crescendo attirando sempre più consensi tra gli espositori ed il pubblico di zona e non. Per quanto riguarda il nostro gruppo la voglia di partecipare è amplificata dal fatto che i nostri gemellati: ROAD SPIRITS avranno un loro stand espositivo (complimenti ragazzi!!!).
Per maggiori informazioni e per il buono sconto da due euro all'ingresso, kliccate:

martedì 19 ottobre 2010

"Sliderman", la saga continua..




















Dopo Randy Mamola su Cagiva 500 da GP e Casey Stoner con la Ducati Desmosedici, ecco proposta una nuova interpretazione del mitico supereroe SLIDERMAN che vede la parte assegnata ad un funambolico Jeremy McCoy in sella alla Yamaha YZR 500 da GP. Non c'è che dire: cambiano gli attori che lo interpretano e cambiano le moto che essi "domano" ma SLIDERMAN è sempre il personaggio più amato da tutti i motociclisti!


"Sliderman" episodio 1:
"Sliderman" episodio 2:

Jeremy McCoy sliding video:

lunedì 18 ottobre 2010

"Sliderman" episodio 2























La saga di "SLIDERMAN" va avanti.. Dopo il primo episodio, interpretato da Randy Mamola in sella alla Cagiva nel 1989 (vedi link allegato) ora è il giovane "attore" australiano Casey Stoner a darci la sua versione di questo mitico SUPEREROE e recitare questa parte gli viene naturale come bere un bicchiere d'acqua! Che siano le moto di colore rosso a ispirare questi attori e a farli entrare magnificamente nel personaggio?


"Sliderman" episodio 1:

Casey Stoner Phillip Island 17 ottobre 2010:

sabato 16 ottobre 2010

God save the Queen..
















Oggi hanno soltanto tre ragazzini (due dei quali iscritti alla 125 e uno che prende parte alla Moto2) oltre alla Dunlop che fornisce le "calzature" a 125 e Moto2 e ad un pugno di sponsor che campeggiano sulle carene di qualche (poche) moto e su tute e caschi dei piloti. Nient'altro.. Eppure i britannici hanno dominato nel motociclismo (come nell'automobilismo..). Erano piloti che sapevano prenotare il podio intero delle classi maggiori e in ben tre occasioni arrivarono ad occupare le prime sei posizioni della classifica. Questo accadeva negli anni Cinquanta e Sessanta. Questione di cicli: nel motociclismo le Nazioni vanno su e poi tornano giù seguendo curve particolari. Il primo fattore determinate è o meglio lo era molto più in passato che ora a dire il vero, lo stato di salute dell'industria motociclistica nazionale. Negli anni d'oro i sudditi di Sua Maestà se la giocavano alla pari con gli italiani, perché nel vecchio continente, dove il mondiale si svolgeva, circolavano numerose Triumph, Norton, BSA, Ajs. Appena più indietro c'erano Moto Guzzi, Gilera, Moto Morini, Mondial e naturalmente le più blasonate di tutte: le MV Agusta. quando nacque il motomondiale, nel 1949, l'italia era rappresentata da gente come Pagani, Masetti, Ruffo, Ambrosini, Lorenzetti. Piloti che già prima della guerra avevano vinto le corse internazionali o che erano in procinto di farlo in quel primissimo dopoguerra. Al Bel Paese non mancavano quindi i talenti ma.. i piloti britannici erano sempre più apprezzati dall'opinione pubblica e dagli appassionati. Forse tutto si traduceva in una semplice questione di esterofilia o magari per via della fama dei piloti d'oltre Manica di avere esperienza, di andare subito forte e senza fare storie, di bere due (o tre..) bicchieri di troppo il sabato sera, di trascinarsi a letto malconci e quasi ma soli ma, a prescindere da tutto questo di esser pronti a morire per la causa la domenica in gara. Il primo campione del mondo della 500 fu Leslie Graham, che vinse per un solo punto proprio sul nostro Nello Pagani. Gilera, Moto Guzzi ed MV Agusta affidarono le loro sorti in "battaglia" proprio alle sapienti mani di piloti inglesi tra i quali Bill Lomas, Geoff Duke e John Surtees (bandiere degli anni Cinquanta) e a Mike Hailwood e Phil Read (grandissimi negli anni Sessanta e Settanta). Tutti e tre cominciarono in sella alle loro Norton monocilindriche, moto dal gran telaio ma dal fiato corto. Erano tutti caratterizzati dal fatto di andare fortissimo e di essere grandi "pegatori"(per l'epoca) sulle gomme britanniche Avon. Duke era del 1923. Al TT era una "bestia"l La Gilera lo volle anche se in squadra aveva già Masetti, Milani e Colnago. Lui, Duke che di li a breve divenne "il Duca", guidava incollato al serbatoio, neanche un centimetro quadrato fuori dalla carenatura con uno stile e una pulizia inimitabili. A lui si deve l'invenzione della prima tuta di pelle intera della storia. Alla Gilera portò tre titoli consecutivi nella massima cilindrata (500cc). Questi potevano essere quattro se la FMI non l'avesse sospeso per sei mesi, nel 1956 quando scioperò insieme ad altri piloti per ottenere premi più alti. Alla fine della sua carriera agonistica in moto, passò alle quattro ruote ma senza ottenere grandi risultati. Il successore di Duke fu John Surtees: il "figlio del vento". Il pilota inglese è l'unico della storia ad essersi fregiato del titolo di Campione del Mondo sia su due che su quattro ruote. Egli vanta infatti ben sette affermazioni iridate nel motociclismo e il titolo mondiale nella F1 nell'anno 1964 al volante della ferrari 1.5V8. John è un mito tutt'ora vivente. Dopo aver disputato 49 GP con le moto (dei quali ne vinse 38!) passò alle quattro ruote: 113 partecipazioni, 6 vittorie, 24 podi con ben 8 marchi differenti. Lui fu il testimone della MV Agusta dal 1986 al 1960. Un vero dominatore: in una sola stagione, il 1959, vinse 13 gare, facendo l'en plein, (sette su sette) nella Classe regina. Dopo Surtees arrivò a calcare le scene internazionali il mitico Mike Hailwood, detto con semplicità tutta britannica per riassumerne la grandezza: "Mike the Bike". Hailwood è il primatista nazionale per i britannici vantando nel suo palmares 76 vittorie nei GP ottenute in tutte le classi (dalla 125 alla 500) e nove titoli iridati: tre in 250, due in 350 e quattro in 500. Che il mitico Hailwood sia scomparso prematuramente (in un incidente in auto nel 1981 alla periferia di Londra) è un vero peccato. Quest'anno avrebbe compiuto settanta anni, due in più del suo acerrimo rivale Giacomo Agostini e vederlo ed ascoltarlo ancora parlarci dei golden years del motociclismo e delle sue incredibili sfide con "l'amico-rivale" italiano sarebbe satto fantastico. Hailwood era un ricco oxfordiano, figlio di un abile commerciante di auto e moto. dal facoltoso genitore venne spinto in tutti i modo ad intraprendere la carriera agonistica. Quella di Hailwood è l'esempio più unico che raro di un esperimento riuscito: a 19 anni già vinceva il suo primo GP: quello dell'Ulster in sella ad una Ducati 125cc. A 20 conquistava il titolo della 250 con la Honda e allora fu scritturato dal Conte Agusta per cavalcare le moto italiane nelle due classi più importanti: 350 e 500 come erede di Surtees. Mike inorgoglito da tanta fiducia ripose nelle corse tutto il suo impegno e ripagò la Casa italiano con quattro titoli iridati della 500 consecutivi, prima di passare il testimone ad Ago e di salire in sella alla "terribile" Honda 500. La moto nipponica era potentissima (per l'epoca) ma dal telaio di burro. Nonostante questo Mike conquistò otto vittorie nella Classe Regina vittorie e si fregò di quattro titoli iridati: due nella 250 e due nella 350 nel biennio '66-'67. La Honda a sorpresa si ritirò dalle competizioni nel motociclismo e si dice che pagò Hailwood per non salire in sella ad altre moto. Mike passò quindi all'automobilismo. Vinse l'europeo di F2 ed ebbe un terribile incidente in F1 dal quale uscì con una gamba maciullata. Il richiamo delle due ruote era però fortissimo e Mike the Bike tornò in sella nel 1978. All'epoca aveva 38 anni, era giù di forma, una gamba mezza bloccata. Il circuito dell'Isola di Man, dove era stato imbattibile ai tempi dei GP, se lo ricordava però benissimo e in sella ad una Ducati quell'anno trovò il trionfo sbaragliando la concorrenza delle potentissime Honda e del grande rivale di un tempo Phil Read. Fu un successo e Mike ci prese gusto tanto che sim presentò anche nel 1979 sull'Isola e in sella ad una Suzuki 500cc da GP a due tempi vinse il Senior TT. Con questo trionfo Mike si ritirò e il destino volle la sua vita due anni dopo mentre stava andando a comprare la cena da un fish&chip in auto insieme ai due amati figlioletti. Il testimone di Hailwood passò al roccioso, duro, antipatico e velocissimo Phil Read. L'inglese fu uno dei pochissimi in grado di piegare Agostini battendolo psicologicamente prima ancora che in pista da compagno di squadra nel 1973 e bissando il titolo nel 1974. Phil Read, denominato "Phil di Ferro" fu l'ultimo pilota che regalò un titolo nella massima cilindrata alla Casa di Cascina Costa. Read in carriera conquistò ben sette titoli iridati, 122 podi e fu il primo pilota della storia a vincere i mondiali di 125, 250 e 500. E ancora come non ricordare di Bill Ivy campione del mondo delle 125, velocissimo, capace di compiere dei lunghissimi monoruota, in sella alla sua bellissima Yamaha 250 dalla livrea bianca, durante i giri di allineamento, mandando in visibilio il pubblico. E ancora Bob McIntyre, Dave Simmonds con la sua Kawasaki 125 che nel 1969 dominò il mondiale a dispetto del suo gomito destro boccato a 90° che lo costringeva a stare in sella in una posizione improbabile per nasconderlo dentro alla carenatura. L'ultimo iridato della storia dei GP tra i sudditi di Sua Maestà si chiama Barry Sheene. Un successo sulle "zanzare" monocilindriche a due tempi di 50cc e poi la 125 seguita da una carriera in 500 con all'attivo ben due titoli iridati: 1976 e 1977 e il lustro di essere il successore di Agostini come pluricampione del motociclismo. Fu il grandissimo Barry a rendere vincente la Suzuki nella Classe Regina. Sheene andava veloce, velocissimo e la sua moto, poco affidabile si rompeva spesso procurandogli infortuni gravissimi: a causa delle innumerevoli fratture si dovette trasferire a fine carriera in Australia in quanto il piovoso clima britannico era per lui deleterio. Barry era un personaggio incredibile, un play-boy dal viso d'angelo dannato, dedito alla bella vita e agli eccessi (non a caso era grande amico di Marco Lucchinelli..), in griglia si presentava sempre con la onnipresente sigaretta che gli pendeva dalle labbra. E' morto di cancro ai polmoni nel 2003. Dopo di lui la Gran Bretagna è stata rappresentata con qualche successo negli anni Ottanta da Ron "Rocket" Haslam e a cavallo tra questi e gli anni Novanta dallo scozzese Niall Mackenzie. Gente coraggiosa questi piloti britannici, mai doma, appassionata, tosta. Gli italiani a quei tempi erano fortissimi ma specialisti di cilindrata: se uno iniziava ad esempio con una 125 il più delle volte restava li per tutta la carriera. Gli inglesi no. Saltavano da una moto all'altra senza problemi, con disinvoltura e coraggio. Del resto i loro numeri fanno impressione: anche se non conquistano u titolo dal lontano 1977 sono al terzo posto di sempre come numero di GP conquistati , dietro agli USA e all'Italia. La Gran Bretagna vanta ben 43 titoli iridati complessivi, 17 dei quali ottenuti proprio nella Classe Regina. Da anni però nel Motomondiale la Union Jack non sventola più: dapprima c'è stata "l'American Wave" con lo sbarco dei mostri sacri statunitensi negli anni ottanta e primi novanta. Poi è stato il tempo dell'Australia a dettare legge. L'Italia ha raccolto il testimone e ora si sta spartendo la torta con la Spagna. Tutto questo ha relegato i britannici in una specie di "esilio nel motomondiale", esilio che sta diventando troppo lungo. Completamente diverso è il rapporto tra i piloti d'oltre Manica e la Superbike.. Ma questa è una storia diversa e ve la racconterò in un'altra occasione!

martedì 12 ottobre 2010

Tessere Cesena Bikers 2011

















Ehy tu!! Si, dico proprio a te!! Vuoi essere parte integrante di un motogruppo (no profit) con il quale condividere passione per la moto e amicizia? Si? Allora non perdere questa occasione!!

Parte la campagna tesseramento Cesena Bikers 2011. Chiunque fosse interessato ad avere maggiori informazioni in merito prenda contatto tramite e-mail o Faccebook o si rechi direttamente in sede il venerdì sera dalle ore 21:30. Vi aspettiamo!

lunedì 11 ottobre 2010

La distribuzione DESMODROMICA

Era il lontano 1893 quando il parigino Claude Bonjour depositò a Ginevra un brevetto che decise di chiamare “desmodromique”. Nel nome già c’era una sintetica spiegazione del funzionamento di quello che sarebbe poi diventato il motivo distintivo e d’orgoglio di ogni possessore di moderna Ducati. Desmodromico viene dall’unione delle due parole greche “desms” e “dromos” che significano rispettivamente obbligare e percorso, ma andiamo con ordine e rispettiamo la cronologia degli eventi. Negli anni successivi ripreso e perfezionato, il sistema trovò impiego in campo automobilistico equipaggiando per lo più modelli sportivi, performanti o comunque lussuosi nei quali gli elevati costi costruttivi e di frequente manutenzione avevano scarsa rilevanza. Nel dopoguerra e fino alla metà degli anni ’50 la distribuzione desmodromica equipaggiò più di un modello Mercedes e si rivelò una scelta vincente nelle competizioni automobilistiche. Furono forse proprio questi lusinghieri risultati a spingere un giovane ing. Taglioni, assunto in Ducati nel ’54 in qualità di direttore tecnico, a studiare e perfezionare tale complicato sistema di distribuzione, tanto da generare, nel ’56 la prima applicazione del sistema in campo motociclistico. Nacque così la Ducati Desmo 125 che altro non era che l’evoluzione della Ducati Gran Sport 100, monocilindrica progettata a tempo di record dallo stesso Taglioni e affettuosamente denominata Marianna, a cui l’ingegnere di Lugo ebbe la brillante intuizione di applicare la distribuzione desmodromica trialbero.

Ma perché accanirsi e volere così fortemente un sistema tanto complicato costruttivamente, in termini di manutenzione e certamente non economico? Cosa lo rendeva meccanicamente superiore ai sistemi di gestione della corsa delle valvole tradizionali?

In tutti motori a 4 tempi l’apertura delle valvole è garantita da una camma che può agire direttamente sullo stelo della valvola o su un rinvio (distribuzione ad aste e bilanceri), mentre la chiusura viene normalmente affidata a molle cilindriche montate coassialmente alle valvole stesse. Tale tipo di gestione della corsa di ritorno delle valvole presenta l’indiscusso vantaggio rappresentato dalla semplicità costruttiva, ma in motori particolarmente performanti anche una serie di limiti intrinseci. La cosa più evidente è che le molle sottraggono una certa quantità di potenza al motore stesso in quanto questo deve vincere la rigidità delle molle, per mezzo delle camme, per far si che le valvole si aprano e questo è tanto più vero quanto più è performante il motore. La potenza del motore è legata anche al regime che questo può raggiungere e quindi più è elevato il regime al quale si vuole tendere, più rigide dovranno essere le molle delle valvole affinché possano garantire un ritorno sufficientemente rapido, maggiore sarà la potenza richiesta per vincere la rigidità della molle; potenza, questa, dissipata in resistenze meccaniche e che non verrà scaricata a terra…!! In secondo luogo, la capacità dei motori di resistere a sollecitazioni e quindi a regimi sempre più elevati ha cominciato ad evidenziare i limiti delle molle nella rapidità di chiusura delle valvole: pur aumentando la rigidità delle stesse, infatti, esse non riuscivano a chiudere le valvole con sufficiente rapidità dando vita al fenomeno dello “sfarfallamento”. Con l’introduzione della distribuzione desmodromica si è voluto ovviare a questi, chiamiamoli così, inconvenienti, ma che in verità sono limiti delle distribuzioni tradizionali. In un motore desmo, infatti, non solo la corsa di apertura della valvola è gestita da una camma (blu in figura), ma pure il ritorno: viene introdotta così una seconda camma (in figura rossa) che complementarmente alla prima agisce su un bilancere e gestisce il ritorno della valvola. Grazie a questa soluzione meccanica è possibile raggiungere regimi impensabili per una distribuzione tradizionale incapace, come detto, di assicurare una corretta velocità di ritorno delle valvole; ancora grazie all’assenza delle molle vengono

minimizzate le resistenze meccaniche derivanti dalla distribuzione e questo si ripercuote positivamente sui consumi; in ultimo questo sistema permette di ottenere dei diagrammi delle alzate delle valvole particolarmete spinti, ovvero a dire che è possibile profilare le camme in maniera tale da avere una corsa delle valvole estremamente rapida a tutto vantaggio nuovamente delle prestazioni e del rendimento.


Inutile dire che, come per tutte le cose, esistono pro e contro e nel caso specifico gli aspetti negativi sono rappresentati dalla complessità costruttiva e di progettazione e dal costo dei maggiormente frequenti interventi di manutenzione richiesti per mantenere costanti i giochi che consentono all’apparato di funzionare.

Matteo "Tasso" Tassinari

Motostagione 2010: è tempo di bilanci






















La meravigliosa uscita di ieri, domenica 10 ottobre 2010 ha rappresentato il "canto del cigno" di questa MOTOSTAGIONE 2010. Da oggi in poi, il tempo e il freddo, alcune assicurazioni sospese e gli immancabili lavori invernali da fare alle moto, andranno a limitare sempre più il numero dei partecipanti ai nostri motogiri. E' bellissimo che la stagione si sia quindi nominalmente conclusa con una uscita come quella di ieri, perfetta in ogni dettaglio. Siamo quindi inevitabilmente qui, a "redigere" quello che è il bilancio della stagione che ha visto un inizio un po' incerto in quanto la primavera si è fatta molto attendere. Le cose una volta arrivato il bel tempo sono andate subito a regime e le belle uscite sono arrivate immediatamente. Purtroppo la prima metà della stagione è stata anche caratterizzata da un paio di cadute, che fortunatamente si sono risolte con danni non irreparabili. E' stato in seguito a questi avvenimenti che Cesena Bikers ha "fatto quadrato attorno a se stesso" e da li in poi si è deciso di cambiare approccio al metodo di uscire in moto. Il ritmo di noi tutti da li in poi è decisamente calato. Le uscite in sono state caratterizzate dalla tenuta di ritmi più blandi all'insegna della sicurezza e con l'idea di "godersi l'uscita". Agosto e Settembre hanno quindi visto gite bellissime condotte senza "intenti bellicosi" tra chi vi ha preso parte. Il canto del cigno come già detto lo si ha avuto ieri, con una uscita fantastica. Cesena Bikers però non è stato solo uscite in moto. Durante questa stagione a parte le varie cene che abbiamo organizzato, siamo stati parte attiva nello staff del mitico MOTOINCONTRO RUFFIO (Memorial Marcello Montalti), aiutando gli OLD BOYS nella riuscita dello stesso. Abbiamo organizzato insieme ai ROAD SPIRITS il primo "motoaperitivo" della storia della città di Cesena. Abbiamo partecipato come gruppo alla grande tre giorni del Revival della 200 Miglia di Imola. Abbiamo fatto preparare felpe, cappellini e altri gadgets ma soprattutto abbiamo fondato il nostro CLUB. La stagione 2010 verrà sicuramente archiviata come quella della CRESCITA. Proprio in funzione di questa parola il tutto è ruotato: il gruppo infatti ha visto l'aumentare delle persone che lo frequentano, ha avuto una maturazione di coscienza circa il modo di interpretare le uscite e si è evoluto dotandosi di una sede. Ci tengo a precisare che non vedo tutto questo come punto di arrivo ma per me (e spero anche per tutti Voi..) si tratta del punto di partenza sul quale gettare le basi per il nostro futuro insieme come gruppo e soprattutto come amici. Ringrazio quindi TUTTI coloro che hanno preso parte alle nostre uscite, alle nostre iniziative, a chi legge il nostro blog e a chi ci segue su Facebook. Un grazie particolare va a tutti i ragazzi e le ragazze che sono parte attiva di Cesena Bikers e che con il loro impegno e la loro voglia di fare stanno facendo si che questo meraviglioso sogno stia diventando sempre più realtà. Detto questo rinnovo l'invito a TUTTI quanti alle nostre prossime uscite, alle nostre prossime iniziative e alla stagione 2011. Ricordo inoltre che è in partenza la campagna tesseramento per il 2011 e che chiunque fosse interessato ad avere maggiori informazione in merito può contattarci tramite e-mail o su Facebook. Stay connected !!