domenica 26 settembre 2010
Bravissimo MAX!
sabato 25 settembre 2010
La ARMOY ARMADA
La storia che oggi pubblico su Cesena Bikers è una storia che a me sta particolarmente a cuore in quanto è la storia di una amicizia, una di quelle con la A maiuscola che ha come punto focale attorno la quale si sviluppa e cresce: la passione per la motocicletta. La Armoy Amada è la storia bellissima e purtroppo tragica di quattro amici che a metà dei fantastici Seventies hanno realizzato il loro sogno di fondare un team di corse per motociclette. Un team che stava in piedi grazie alla loro passione in quanto soldi non ce n'erano. Un team dove non esistevano meccanici e piloti ma un team dove tutti dovevano saper fare tutto aiutandosi l'un l'altro. I mezzi da gara, venivano collaudati direttamente per le strade che si snodavano attorno al villaggio di Armoy la sera, dopo l'orario di lavoro. Invece che tv e stampa, ad assistere a questi collaudi c'erano i bambini della zona che vedevano i quattro della Armoy Armada come i loro idoli indiscussi. Un team che non partecipava al Motomondiale ma che si specializzò nelle terribili Road Races. Queste gare proprio in quegli anni, data la loro pericolosità, stavano uscendo dal calendario del campionato iridato. Le Road Races, definite a torto gare "minori" una volta uscite dal calendario delle competizioni "che contano" non hanno più avuto un riscontro mediatico tale da far si che potessero attirare sponsor munifici. Le Case non vi si sono più schierate in via ufficiale (anche se lo hanno fatto in via ufficiosa, utilizzandole come banchi di prova per i loro modelli di punta..), eppure esse sono giunte sino ai giorni nostri grazie alla passione degli uomini che le tengono in vita. La Armoy Armada a mio avviso è un vero e proprio simbolo che tutti i gruppi di motociclisti dovrebbero tenere come esempio. Con queste parole non è assolutamente mio intento esortare le persone a gareggiare su strada, cosa stupida oltre che assolutamente pericolosa. Il mio discorso verte sul concetto dell'amicizia che legava questi uomini del fatto che come i moschettieri avevano come motto il "Tutti per uno..". La moto spesso è un mezzo di aggregazione, io stesso affermo con orgoglio che nella mia vita di motociclista ho conosciuto tante meravigliose persone con le quali ho stretto delle belle amicizie. A volte però capita l'esatto contrario: la moto diventa un mezzo per pavoneggiarsi, per mettere in mostra il concetto: io sono più veloce di te.. Ebbene questo è un concetto assolutamente errato di intendere la motocicletta. L'idea di motogruppo in cui credo è quella in cui i più anziani (o quelli di maggior esperienza..) insegnano ai novelli come si gira in strada con la moto in sicurezza, mostrando a loro le traiettorie, facendo loro apprezzare la bellezza di una guida rotonda e pulita.. E' l'idea della condivisione della comune passione per la moto, oltre all'uscita domenicale.. Ho volutamente preso la Armoy Armada come esempio per spiegare meglio questo mio pensiero in quanto essi fanno parte di un epoca e di un motociclismo che seppur lontano, io sento molto più mio di quello attuale. Un motociclismo fatto di uomini, della loro passione, dello loro idee e delle loro intuizioni. Un motociclismo fatto di mani sporche di grasso, di attrezzi rudimentali coi quali ottenere comunque ottimi risultati; fatto di gente che sapeva prendersi cura personalmente della propria motocicletta, arrivando ad instaurare con essa un rapporto quasi "intimo". Un motociclismo lontano da quello attuale, asettico e "ipertecnologico", dominato dall'elettronica, dagli ingegneri dove il denaro la fa sempre e comunque da padrone. E' con grande piacere quindi che presento ai lettori la mitica Armoy Armada:
L'Armada Armoy è stata fondata nel 1977 da Mervyn Robinson, Joey Dunlop, Frank Kennedy e Jim Dunlop. Questa avventura durò per l'arco di 3 stagioni ossia dal 1977-1979. Durante questo tempo i “quattro moschettieri della motocletta” dimostrarono alla causa: impegno, dedizione, cameratismo e talento facendo vedere a tutti che l'Armada Armoy sarebbe realmente entrata nella leggenda dello sport motociclistico delle corse su strada.
Frank Kennedy 'Big Frank'
Frank Kennedy, o 'Big Frank' come lo chiamavano i suoi compagni della Armoy Armada in quanto “era così alto che dominava anche la più grande delle moto da corsa”. Frank era incline agli incidenti, anche se questo non ha intaccato la sua dedizione alle corse su strada: tanto che una volta provò a salire in sella alla sua motocicletta con entrambe le gambe spezzate! Frank possedeva un autosalone vicino ad Armoy, dei "quattro moschettieri" era senza ombra di dubbio il più benestante. Estremamente generoso, fu colui che permise di andare avanti finanziariamente al gruppo, girando ad esso una grossa parte dei profitti che gli fruttava la sua attività lavorativa. Il suo miglior risultato personale per quanto riguarda le Road Races fu il secondo posto ottenuto alla Nord West 200 del 1976 ottenuto alle spalle del pilota inglese Martin Sharpe vincitore di quella edizione. La sua vita si spense nel 1979 sempre alla North West 200.
Jim Dunlop
Jim Dunlop, l'unico membro superstite del quartetto. Fratello minore più giovane di Joey Dunlop è nato nella piccola città di Ballymoney. In lui l'entusiasmo per le Road Racing è cresciuto fin dalla tenera età. Nel suo palmares vanta: la partecipazione al TT dell'Isola di Man dal 1977-1981 assieme ai fratelli maggiori Joey e Robert. Recentemente Jim, in memoria delle imprese della Armoy Armada ha presentato una scultura a forma di motocicletta.
Joey Dunlop 'Il GIRK' (25 Febbraio 1952 - 2 luglio 2000)
Joey, ossia di Re delle corse su strada, è nato a Ballymoney, nella contea di Antrim. E' senza dubbio il più famoso del quartetto avendo un palmares sconfinato per quanto riguarda le Road Races. Tra gli infiniti successi ottenuti in ben 31 anni di carriera (1969-2000) vanno ricordati: 26 vittorie al TT ottenute in tutte le categurie: dalla F1, alla SBK passando per le 250 sino alle 125, che ancora oggi sono un record imbattuto. Sempre al TT ha collezionato ben tre triplette ossia ha vinto ben tre gare nella stessa edizione per tre volte! Non da meno sono le sei vittorie consecutive nel TT Formula 1 Race dal1983 al 1988. Oltre che i cinque campionati mondiali Formula 1. Inoltre ha trionfato almeno una volta in tutte le gare del calendario Road Races. Nel 1986 Joey è stato assegnato un MBE per il suo contributo alle corse. Ha anche ricevuto un OBE nel 1995 in riconoscimento della sua opera di carità. Pur essendo irlandese, gli è stata data la cittadinanza onoraria sull'Isola di Man. Nel 2000, all'età di 48 anni, Joey è purtroppo morto a causa di un incidente in sella alla sua Honda 125 in una Road Race in Estonia. Cinquantamila persone in lutto hanno partecipato al suo funerale. Tra queste c'erano motociclisti provenienti da tutta l'Irlanda, dal Regno Unito e dal resto d'Europa. Una statua memoriale è stata eretta nella sua città natale di Ballymoney, Irlanda del Nord.
Mervyn Robinson 'Robo'
Per Mervyn “Robo” Robinson carriera agonistica iniziò nel 1968. Aveva una grande passione per le corse su strada ed è stato grazie al suo grande entusiasmo che Joey Dunlop si è appassionato a questo sport. “Robo” era il cognato di Joey e anche uno dei suoi più grandi amci. Di professione faceva il meccanico e per la Armoy Armada fu il "mentore tecnico". Dato che i soldi scarseggiavano Mervyn insegnò al resto del gruppo “l'arte di arrangiarsi” costruendo i ricambi che mancavano o che erano troppo costosi e dando agli altri tre mebri la giusta competenza tecnica che nelle Road Races, soprattutto in quei tempi, era richiesta ai piloti. Joey Dunlop dovette a lui la sua grande capacità di capire le moto che nel tempo gli permise di avere sempre (o quasi) il mezzo più a punto rispetto alla concorrenza. Joey infatti sapeva benissimo di cosa aveva bisogno un mezzo per essere veloce ed affidabile nelle corse su strada e curava la messa a punto delle sue motociclette personalmente. Nel suo palmares Mervyn vanta la vittoria al sul tracciato di Kirkistown nel 1974 e soprattutto quella ottenuta nell'Ulster GP del 1975. Anche la sua vita come quella di Frank Kennedy e di Joey Dunlop finì a causa di un incidente in gara. Il suo incontro con la morte avvenne in occasione della Northwest 200 del 1980, nella gara 500cc.
mercoledì 22 settembre 2010
200 Miglia di Imola edizione 1972
Nel 1972, per la prima volta, fu organizzata sul circuito di Imola da Checco Costa, il padre di Claudio Costa, fondatore della Clinica Mobile, una gara per le moto strettamente derivate dalla serie. La 200 Miglia di Imola del 1972 fu sponsorizzata dalla Shell, e vide la partecipazione ufficiale delle squadre: Ducati, MV Agusta, Kawasaki, Suzuki, Triumph, Yamaha, Norton oltre che alla Moto Guzzi e una miriade di piloti privati in sella a mezzi ben realizzati. La 200 di Imola suscitò immediatamente degli appassionati ed ebbe un grande risonanza a livello mediatico per il tempo. Checco Costa svolse un lavoro lusinghiero di promozione dell'evento tanto che in breve la partecipazione da parte delle Case divenne un vero e proprio imperativo: vietato mancare! La gara venne presentata al pubblico con l'accattivante soprannome di “Daytona d'Europa”. Nel vecchio Continente infatti le gare di durata erano intese come 24 ore: Bol d'Or e Spa ma non a distanza. Questa formula invece era adottata maggiormente negli USA: la 200 Miglia di daytona appunto e quella dell'Ontario. Costa volle quindi portare in Italia questa formula appassionante, organizzando quella che ai tempi venne definita come la “gara del secolo” dagli addetti ai lavori. Per questa competizione, la Ducati sviluppò appositamente la 750 Imola Desmo direttamente dalla 750 GT del 1971 ossia la prima moto prodotta a Borgo Panigale, dotata di propulsore bicilindrico a “L”. La squadra corse ordinò ben dieci esemplari dalla produzione. Otto di questi vennero spediti a Imola dalla fabbrica di Borgo Panigale. La principale differenza fra la 750 e la 750 GT fu l'applicazione del sistema 'desmo', sviluppato dall'ingegner Fabio Taglioni, sui motori utilizzati per la gara di Imola. La livrea delle Ducati era stata ispirata da quella classica colore argento delle moto GP degli anni '50, ma da quando venne creata la 500 GP nel 1968, il colore diventò lucido con l'aggiunta di una speciale polvere di alluminio. Quattro 750 Imola vennero iscritte alla gara, a condurle sarebbero state: Bruno Spaggiari (9), Paul Smart (16), Alan Dunscombe (39) ed Ermanno Giuliano (45). Molto lustro venne aggiunto alla manifestazione dall'attesissima partecipazione della MV Agusta che iscrisse il “mostro sacro” di allora, Giacomo Agostini. La Casa di Cascina Costa, così come la Ducati preparò una moto preparata appositamente per l'occasione: la nuova e rivoluzionaria 750 4 cilindri. Anche questa moto per rispondere al regolamento tecnico della 200 Miglia era una derivata dalla serie. La gara fu un trionfo per la Ducati, con Spaggiari e Smart a lottare per la vittoria quasi fino al traguardo. Un fatto che non tutti sanno è che Spaggiari rimase al comando della gara fino a tre curve dalla fine, ma subito dopo le Acque Minerali, la sua moto incominciò a perdere colpi perché era finita la benzina. Smart superò Spaggiari e vinse la gara per la Ducati. Spaggiari, sfortunato e arrabbiato, riuscì comunque a concludere la gara ottenendo un più che lodevole secondo posto. I due piloti giunsero al traguardo con un vantaggio abissale su Walter Villa, in terza posizione in sella alla sua Triumph Trident, mentre Agostini fu costretto al ritiro con la sua MV dopo 42 dei 62 giri in programma per noie meccaniche. Ai tempi vedere la MV, ritirarsi era una cosa piuttosto rara e questo sicuramente fu un fatto che sicuramente il grande Ago ricorda ancora oggi. La vittoria,alla “Daytona d'Europa” ha fatto si che la bicilindrica Ducati 750 Imola Desmo diventasse una vera moto da corsa. I risultati ottenuti da questa motocicletta hanno fatto da base a quelli successivamente ottenuti dalla casa di Borgo Panigale prima in F1 e poi in SBK risultando quindi essere il primo capitolo di una bellissima storia..
Su Cesena Bikers ho già pubblicato molto materiale inerente alla 200 Miglia di Imola del 1972. In questo post voglio però riportare il racconto di chi l'ha vissuta in prima persona: Paul Smart, vincitore in sella alla Ducati di quella prima, epica edizione. Queste sono le sue parole:
"Mi imbarcai sull’aereo già stanco, dopo aver appena corso una gara ad Atlanta, negli Stati Uniti per recarmi a quello che doveva essere il mio primo incontro con la nuova Ducati. Decisamente, non mi sorrideva l’idea di affrontare un lungo viaggio fino a Imola per disputare quella gara: era stata mia moglie ad impegnarsi per me, ed io non ero affatto sicuro di volerci andare. Arrivato in Italia, c’era una sorpresa ad aspettarmi: un “macchinone” venuto a prendermi all’aeroporto. Sapete, una di quelle auto con le tendine ai finestrini, una macchina da dirigente o cose del genere. Dire che il mio atteggiamento inizialmente fosse ostile è dire poco: ero sicurissimo che il mezzo con cui avrei gareggiato fosse l’ennesima moto superata, messa insieme in qualche modo per la gara. Dall’aeroporto, venni accompagnato direttamente al circuito di Modena, dove trovai ad aspettarmi una folla di meccanici ed altro personale di pista in tuta blu. Un chiaro segnale che stava succedendo qualcosa di importante. Franco Farné, che all’epoca dirigeva il reparto corse, parlava poco l’inglese, ma grazie al cielo aveva una segretaria sudafricana anglofona. Parlando con loro, ebbi l’impressione che si stesse preparando qualcosa di grosso. Andammo direttamente al circuito di prova a Modena, che si trovava proprio in centro città. Il circuito fungeva anche da aeroporto, e c’erano degli aerei parcheggiati a bordo pista. In quello stesso circuito si teneva una prova del Campionato Italiano. La pista era circondata da condomini, e tra case e aerei, era molto facile distrarsi. Ero in Italia da meno di un giorno, eppure all’ora di pranzo mi trovavo già al circuito di Modena, pronto a testare una moto nuova di zecca, sotto gli occhi dell’intera squadra corse e della direzione. La 200 Miglia di Imola era in programma pochi giorni più tardi, il tempo stringeva. Vidi la moto per la prima volta già in pista. Pensai: "Questa cosa è talmente lunga che non ce la farà mai a curvare …ha perfino una cerniera nel mezzo!". Ci si fanno idee preconcette giudicando una moto dall’aspetto. Ero sceso da poco da una delle moto più maneggevoli del mondo e questa nuova Ducati mi sembrava un ritorno al passato. “Una bicilindrica a quattro tempi?!” Ripetevo nella mia testa.. Comunque sia uscii e feci dieci giri. Immediatamente, mi resi conto che la grossa novità era il motore. Evidentemente, Ducati aveva lavorato parecchio, mettendoci tanto impegno. Sembrava girare a basso regime, uno scoppio ogni morte di papa (in realtà, era solo un’impressione) ma era comunque sufficientemente veloce, e il telaio pareva a posto. Dopo i primi 10 giri, mi sentii di criticare solo gli pneumatici stradali TT100. Io avrei voluto gomme da gara Dunlop, ma i meccanici erano convinti che non avrebbero resistito per tutta la 200 Miglia: io comunque continuai a insistere perché le cambiassero prima di andare a Imola. Facemmo qualche piccola modifica (le pedane, il manubrio, cose del genere) e dopo circa 20 minuti tornai a uscire. Feci altri dieci giri e poi rientrai nel paddock. Come ho già detto, ero stanchissimo e di malumore, ma quando arrivai al box, pronto a criticare e a fare a pezzi la moto, mi accorsi che era successo qualcosa. Tutti i componenti della squadra saltavano, battevano le mani e mi davano pacche sulle spalle. Avevo appena battuto il record sul giro del campione del mondo Agostini, e con pneumatici stradali!! Tra gli altri c’era l’Ingegnere, Taglioni. Aveva sempre il sorriso sulle labbra, era sempre pronto a parlarti, a fare domande, ad analizzare la situazione. Non dimenticherò mai il suo largo sorriso di quel giorno. La moto era fresca di produzione, ed era stata creata assemblando pezzi dei nuovi modelli GT appena presentati. La mia sensazione era che un mezzo tanto sperimentale difficilmente sarebbe arrivato al traguardo di una 200 Miglia. La moto era molto più veloce di quanto mi aspettassi visti i suoi 84 cavalli effettivi, e non perdeva potenza quando si surriscaldava durante la corsa a differenza delle moto a due tempi che avevo guidato in precedenza e che allora erano viste (e non a torto..) come il futuro del motociclismo. L’erogazione di potenza era molto morbida e mi consentiva di gestire il gas in maniera più aggressiva. Ero decisamente sorpreso: la nuova Ducati era molto più guidabile e più potente della Triumph con la quale avevo corso l’anno precedente. Non rimaneva molto da fare, Ducati aveva pensato a tutto. La mia più grande preoccupazione restavano le gomme, ma i tecnici non volevano ascoltarmi. Insistetti per un po’, e poi mi dissi che ci avremmo pensato se fossi arrivato a fine corsa con solo le carcasse. Era la gara più importante in Italia, il grande evento di Checco Costa, padre del Dr. Costa, che aveva preteso la partecipazione di tutti i costruttori italiani, e di tutti i migliori piloti. Niente scuse, non erano ammesse defezioni. Arrivato al circuito, incontrai alcuni personaggi che già conoscevo: Agostini, i piloti inglesi e un paio di altri concorrenti, tutti sorpresi nel vedermi lì. La massima riservatezza ai box Ducati, il sorriso dell’ingegner Taglioni e la mia presenza a Imola erano gli argomenti del giorno: Ducati stava preparando una sorpresa. Tutti i piloti e i team più famosi si presentarono all’appuntamento: Agostini con la sua MV Agusta campione del mondo, Villa su una fortissima Triumph gestita dal team svizzero Koelliker, Jack Findlay su un’eccezionale Moto Guzzi, Saarinen con la sua Yamaha, Peter Williams e credo Croxford con le Norton e il grande team Triumph ufficiale con Pickford e Jefferies in sella. In più, c’erano le squadre Suzuki, Yamaha e Kawasaki. Era stato offerto ad alcuni tra i migliori piloti di guidare la nuova Ducati, ma tutti avevano rifiutato di salire su un mezzo così sperimentale. Le prove andarono molto bene, io e il mio compagno di squadra Bruno Spaggiari facemmo segnare quasi tutti i tempi migliori. Questo scatenò l’immediato malcontento di tutti coloro che prima avevano declinato l’offerta di correre con quella moto e che ora, con loro grande sorpresa, se la ritrovavano davanti. Agostini aveva un piano: andare fortissimo e vincere, almeno finché la sua MV non si fosse rotta. Credo che fosse in pole position. Sono quasi certo di averlo tenuto dietro in prova, ma comunque, alla fine era in pole. Dopotutto, era il campione del mondo, e nessuno contestò. Io non ero particolarmente preoccupato ne’ intimidito dalla concorrenza, e nemmeno dal mio compagno di squadra Spaggiari: ero arrivato a un punto della mia carriera in cui non mi lasciavo più impressionare dagli altri. Non mi importava chi fossero, purché arrivassero dal secondo posto in giù. Il giorno della gara, si radunò una folla incredibile. L’atmosfera era carica di elettricità, e c’era un rumore assordante, come solo gli italiani riescono a fare. Migliaia di tifosi intasavano le strade e ci volle un eternità a raggiungere il circuito. C’erano spettatori dappertutto, ovunque si potesse scorgere la pista, sui tetti delle case, arrampicati sugli alberi: guardandosi intorno, si vedeva una marea di facce. La pista è uno dei miei ricordi più precisi. Era un bellissimo circuito da Grand Prix vecchio stile, che si snodava, e ancora si snoda, lungo le colline che circondano il cuore della città di Imola. La gara si disputava anche su un tratto di strada pubblica chiusa al traffico per l’occasione, e il tipo di tracciato favoriva le alte velocità. La mia unica preoccupazione era la pioggia, in quanto il circuito era costeggiato in diversi punti da guardrail d’acciaio e alberi, e mettere una ruota fuori pista avrebbe potuto avere conseguenze piuttosto spiacevoli. L’asfalto era leggermente umido e sapevo che sarebbe stata una gara di velocità più che di durata: impossibile pensare di chiudere il gas o rimanere fuori dalla mischia. La parte critica del circuito era la curva del Tamburello (dove nel 1994 uscì di pista Ayrton Senna.ndr.). Per vincere, bisognava affrontarla a gas spalancato e trovarsi nella posizione giusta per l’uscita di curva. Non bastava essere piloti esperti per fare bene questa curva: ci voleva anche una certa dose di coraggio, o di pazzia, per percorrerla a velocità da leader della corsa. Bisognava tenere il gas aperto dalla fine della discesa fino a tutta la curva, superando le 150 miglia orarie (240 kmh). Quelle moto non erano affatto lente, e montavano pneumatici strettissimi rispetto a quelli di oggi. Il direttore della squadra Ducati Fredmano Spairani era un uomo incredibilmente determinato e assolutamente deciso a vincere. Prima della gara, per prevenire eventuali dissapori, mi aveva detto, in presenza di Spaggiari: "Stammi a sentire, tu e Bruno sarete primo e secondo. Vorrei che vi metteste d’accordo per dividervi il premio in denaro che spetta ai primi due classificati, quando vinceremo." Era talmente sicuro e convincente che ci dicemmo d’accordo. E come ciliegina sulla torta, mi disse che, se avessi vinto, avrei potuto tenere la moto. In gara non c’erano tabelle di segnalazione dai box, solo tre aste: rossa, pericolo, pilota vicino, gialla, mantieni la velocità e verde, rallenta. Era prevista una fermata ai box durante la corsa, e anche in quel caso, niente segnalazioni. Avevamo una striscia trasparente sul serbatoio, per consentire ai meccanici di controllare che il serbatoio fosse pieno a fine rifornimento. Tutto molto elementare, niente di digitale allora! Durante l’allineamento per la partenza, tutto il contorno, le urla dei tifosi, cominciarono a dissolversi: in quel momento non pensi più a tutte le persone che ti stanno intorno, sei solo. Io guardavo il cielo e pensavo “oh Cristo, ora comincia a piovere”. La partenza prevista era da fermi, con il motore acceso. Agitata la bandiera, la MV di Ago partì velocissima, ma io fui più prudente perché volevo far durare a lungo la frizione … e durare a lungo anch’io! Ero perfettamente cosciente di avere un intero schieramento di concorrenti agguerriti alle calcagna, e non volevo rovinare tutto al primo tornante. Bruno ed io raggiungemmo in fretta le prime posizioni, ma quasi subito, persi la prima marcia. Mi ha sempre colpito il fatto che Bruno non se ne sia accorto: mi superò di slancio. E’ anche possibile che, senza la prima, mi sia risparmiato tante cambiate; e comunque, non credo di aver perso velocità nelle curve da prima. Fatto sta che il problema più grosso ce lo crearono i doppiati: Imola era un circuito veloce, e c’erano tanti piloti lenti su moto lente. Inoltre, la 200 Miglia era una gara massacrante, e dovevamo evitare di continuo moto che si ritiravano o che finivano il carburante: la percentuale di abbandoni era piuttosto alta. Facemmo un solo rifornimento e fu la parte più critica di tutta la gara. Per aumentare la tensione, sia io che Spaggiari rientrammo al box nello stesso momento: fu ancora più spettacolare ritrovarci insieme in testa alla gara e poi rientrare insieme al box a fare rifornimento. Ducati non voleva solo vincere, voleva che le sue moto fossero prima e seconda, in formazione, per tutta la gara e anche durante il pit stop. Ducati voleva tutto, e riuscire nell’impresa sarebbe stato magnifico (anzi, sarebbe stato, semplicemente, un miracolo). Spaggiari mi aveva superato durante la gara ma io lo avevo immediatamente ripreso. Non ci riprovò fino all’ultimo giro, quando cercò di sorpassarmi all’esterno in uscita dalle Acque Minerali. Quella parte del circuito si affrontava a gas spalancato, e quando vidi la sua ruota anteriore che mi si affiancava, per comunicargli il mio disappunto allargai la traiettoria sempre più... Non lo vidi più accanto a me, e quando alla fine mi voltai a guardare indietro mi venne il sospetto che fosse finito nella siepe a bordo pista! Avevamo un enorme margine di vantaggio su tutti gli altri . Negli ultimi giri, si sentivano le urla dei tifosi sovrastare il rumore dei motori. Che pubblico straordinario. Io e Bruno tagliammo il traguardo primo e secondo, e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai con la moto nella corsia box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare, di Taglioni e Spairani: esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Quello fu per me un giorno davvero straordinario, anche per un altro motivo: era il mio compleanno ( 23 aprile 1943). Davvero un ottimo compleanno.. In Italia, impazzirono tutti per me, Bruno e la Ducati. Ci caricarono insieme alle moto su un grande autocarro con una parete di vetro e attraversammo Bologna in parata, con una processione di automobilisti dietro che suonavano il clacson sventolando bandiere. Ci fermammo davanti alla stazione, doveva essere una sosta di un minuto ma migliaia e migliaia di persone ci circondarono e si unirono ai festeggiamenti. Io avevo ancora addosso la tuta, ero stanchissimo, stravolto dal cambiamento di fuso orario, ma era impossibile andare a dormire nel bel mezzo di quella festa. Pareva che tutta la città si fosse riversata in strada a celebrare la gloria di Ducati, di Bologna e dell’Italia. Il giorno dopo, Spairani mi ricordò che avrei potuto tenere la moto, a patto di disputare alcune gare internazionali in Gran Bretagna. Io e la mia Ducati 750 andammo a vincere la Hutchinson 100 a Brands Hatch battendo il dominatore di allora, Phil Read. Durante la 200 Miglia di Imola e le gare successive, entrai in grandissima sintonia con quella moto. Era veloce e infallibile. Se dovessi trovarle un difetto, direi la luce da terra in piega, ma grazie al mio stile di guida "fuori" dalla moto, non è mai stato un grosso problema. Sono ancora il proprietario di quella moto, ma l’ho prestata alla Ducati e ora fa bella mostra di se’ al Museo Ducati di Bologna."
domenica 19 settembre 2010
MV Agusta 750cc
Continuo con il filone di post dedicati alla 200 Miglia di Imola scrivendo questa volta della moto che, condotta dal grandissimo Ago diede del filo da torcere alle due Ducati 750 "Imola" che condotte da Paul Smart e da Bruno Spaggiari dominaro la prima edizione di questa maratona nell'ormai lontano 1972. Scrivere di una moto da corsa prodotta a Cascina Costa obbliga sempre chi lo fa a trattare l'argomento con enorme rispetto dato lo sconfinato palmares e l'immenso blasone di questa Casa. Nello specifico pubblicare un post dedicato a questa moto, scesa in pista una sola volta e costretta prematuramente al ritiro a causa di noie meccaniche ma che nonostante questo, è una sorta di icona per gli appassionati e per gli addetti ai lavori non è affatto semplice. La MV Agusta 750cc, isieme alla Ducati 750cc "Imola", è infatti una delle moto che possono essere definite in assoluto come le prime Superbike della storia. E' grazie a queste progenitrici se negli anni è nato prima il campionato mondiale F1 per le derivate dalla serie e a seguire quello SBK. Queste moto sin dal loro esordio sui circuiti, hanno infatti raccolto il favore del pubblico, catalizzandone l'attenzione grazie al concetto: "le moto che vedi correre in pista, sono del tutto simili a quelle che puoi acquistare dal concessionario". Per quanto concerne la moto a cui questo post è dedicato, l'esempio è poi portato all'estremo in quanto essa è si una derivata dalla serie ma è scesa in pista una sola volta, in occasione appunto della gara del secolo, per poi venire accantonata dalla MV che in quegli anni vedeva il diminuire il divario esistente tra le sue moto da GP e la concorrenza Nipponica. Yamaha e Suzuki stavano infatti portando alla ribalta nel mondiale delle sempre più competitive e moto a due tempi che stavano dando molto filo da torcere alle oramai obsolete moto a quattro tempi alle quali a Cascina Costa erano indissolubilmente legati. Accadde quindi che nonostante tutti i buoni propositi in Casa MV circa lo sviluppo della 750cc, il reparto corse dovette concentrasi unicamente sulle moto da GP abbandonando questo modello sul nascere. Per entrare nello specifico riguardo alla motocicletta a cui ho dedicato questo articolo, vado a pubblicare quanto scritto nel 1986 da Alan Cathcart pilota, collaudatore e giornalista per diverse testate, che in quell'anno ebbe la fortuna e il privilegio di provare sul circuito di Misano la moto che solo Giacomo Agostini e Alberto Pagani avevano avuto l'onore di guidare ben quattordici anni prima:
giovedì 16 settembre 2010
Smart su Spaggiari per un goccio di benzina..
AUTODROMO DINO & ENZO FERRARI
Anche quest'anno, l'inizio dell'autunno sarà caratterizzato da un evento motociclistico che gli appassionati non potranno assolutamente perdere: la prova del Campionato Mondiale SBK che si disputerà sul circuito Dino & Enzo Ferrari di Imola. I palati più raffinati verranno adirittura deliziati, il week-end successivo con la rievocazione storica della 200 Miglia di Imola (la Daytona d'Europa), gara che dal 1972 ai primi anni ottanta ha visto darsi battaglia su questo tracciato, i migliori piloti di moto dell'epoca, in sella alle “derivate dalla serie” ossia le antenate delle attuali SBK. Visto che stò attendendo queste due manifestazioni con febbrile trepidazione, ho voluto pubblicare su Cesena Bikers la “biografia” del tracciato in modo da far si che anche chi non ne conosce la storia oramai sessantenaria possa farsi una idea di cosa è stato, cosa è e cosa sarà questo magnifico impianto, denominato da Enzo Ferrari “il piccolo Nurburgring”.
mercoledì 15 settembre 2010
Habemus Sede!!
Signori & Signore ora è UFFICIALE! A partire da ieri sera, martedì 14 settembre 2010, Cesena Bikers ha una sede sociale!! Questa importante crescita è stata resa possibile dalla gentilissima concessione fattaci dagli Old Boys di Ruffio che hanno deciso di condividere la loro sede con noi. Come già scritto su queste pagine web in precedenza, tra i gruppi Cesena Bikers e Old Boys Ruffio esiste un forte sodalizio e una grandissima amicizia nata attraverso la nostra partecipazione al Motoincontro che annualmente i "Ragazzacci di Ruffio" organizzano la prima domenica di agosto. Amicizia proseguita attraverso uscite in moto, cene e con il mio graduale inserimento all'interno di questo gruppo. Inserimento che l'inverno passato è diventato un vero e proprio legame tanto che, con mio immenso piacere, sono stato eletto membro del CONSIGLIO di "Old Boys Ruffio". Per questo inverno 2010-2011 i nostri "Peter Pan" della motocicletta hanno voluto fare di più, concedendoci la grande opportunità di utilizzare la loro sede per i nostri ritrovi settimanali. Orgoglioso annuncio quindi che Cesena Bikers ha ora la sua sede ufficiale che si trova presso il CIRCOLO ENDAS di Ruffio di Cesena (FC) - di fronte a Piazza terracini -. I ritrovi settimanali avverranno il mercoledì sera dalle ore 21:30.
Per saperne di più:
lunedì 13 settembre 2010
200 Miglia di Imola.. 30 anni dopo!
Dal 1° al 3 ottobre 2010 l'Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola ospiterà la prima rievocazione storica della famosa "200 Miglia di Imola", un appuntamento assolutamente da non perdere per tutti gli appassionati delle due ruote. Ducati, vincitrice nel 1972 con Smart e Spaggiari (Cesena Bikers ha già trattato questo argomento, vedi link allegati) della prima edizione della storica ga
Ingresso generale gratuito
Accesso nel paddock:
Venerdi : 10,00 €
Sabato : 20,00 €
Domenica : 20,00 €
Package 3 giorni : 30,00 €
Per ovvi motivi di sicurezza, la pitlane verrà sfollata prima di ogni parade, prova o corsa. Gratuito per i ragazzi sotto i 16 anni.
Inoltre nella serata di venerdì 1 ottobre in centro storico a Imola, presso piazza Matteotti ci sarà una magica serata all'insegna della memoria attraverso una mostra di moto , foto, filmati dell'epoca su schermo gigante 5x4. Nel corso di questa festa della motocicletta sfileranno i piloti della 200 miglia e si terranno: premiazioni ed autografi. Chi acquisterà il pass x 3 giorni riceverà un adesivo, la piastrella e numero unico (programma) della manifestazione.