giovedì 4 dicembre 2008

Paul Smart & DUCATI 750cc Imola





























Anno 1972. 200 Miglia di Imola. La gara di cui è stato protagonista Paul Smart davanti a 70.000 tifosi, è stata sicuramente la più importante della storia Ducati. Lì si diedero appuntamento undici marche, incluse le poderose MV Agusta, Honda, Triumph, Norton, BSA e Moto Guzzi, e i piloti più importanti del momento, come Phil Read, Walter Villa e il favorito Giacomo Agostini. A quel tempo la Ducati era più concentrata sulle problematiche produttive che sugli investimenti nelle competizioni, motivo per cui non era considerata tra le favorite per la vittoria. Infatti la Casa bolognese destinò a questa gara una GT 750, cioè una moto da gran turismo, nonché la prima Ducati a montare un motore desmodromico, affidandosi al pilota inglese (nato il 23 aprile del 1943 ad Eynsfords nel Kent) che, per quanto bravo, era eclissato dalla stella del grande Agostini e della sua MV Agusta. La Ducati GT 750 montava lo stesso telaio, le sospensioni e i freni della moto da strada, mentre sulla moto di “Ago” erano montati pezzi della 500 da Gran Premio. Con un team snello ma molto professionale alle spalle, Smart prese il via della 200 Miglia di Imola e la sua moto si mostrò efficace e ben messa a punto. Al quarto giro il pilota inglese agguantò la favorita MV Agusta di Agostini. Con sorpresa di molti, fu Smart a tagliare per primo il traguardo della 200 Miglia e, a impreziosire il trionfo, dietro alla Ducati di Smart c’era un’altra Ducati, quella di Bruno Spaggiari, che avrebbe lottato per la vittoria se non avesse finito la benzina proprio negli ultimi metri. I due piloti giunsero al traguardo con un vantaggio abissale su Walter Villa, in terza posizione, mentre Agostini fu costretto al ritiro con la sua MV, un fatto che sicuramente ricorda ancora oggi. Era la prima volta che venivano umiliate con un risultato così eclatante le potenti moto del conte Domenico Agusta. Prima di questa memorabile vittoria, non molti conoscevano il pilota inglese, che correva negli Stati Uniti. Il suo team americano, lo Hanson Kawasaki, utilizzava delle moto giapponesi che avevano numerosi problemi di affidabilità. Quando Ducati lo chiamò per completare il team di quattro piloti, Smart rimase sorpreso del potenziale mostrato dall’ufficio tecnico capitanato dall’ingegner Taglioni e non si spiegava il motivo per cui la Casa bolognese non investisse di più nelle competizioni. Ma già qualcosa si muoveva in tal senso, e la vittoria di Imola fece capire definitivamente quanto importanti fossero le gare anche ai fini commerciali. Tornando a ciò che precedette la gara, c’è da dire che l’ingaggio di Smart ebbe dell’avventuroso: Taglioni era riuscito a convincere il direttore Fredmano Spairani ad approvare la copertura finanziaria per i necessari investimenti, tentando anche di ingaggiare buoni piloti, come Jarno Saarinen, Barry Sheene o Renzo Pasolini. Ma nel 1972 la Ducati non era una marca conosciuta nel mondo delle competizioni per moto di grossa cilindrata, avendo sempre vinto in passato con le piccole monocilindriche, per questo i piloti facevano fatica a credere che alla sua prima partecipazione avrebbe potuto vincere con la F 750, come era stata denominata al GT 750 preparata per la gara. In un ultimo tentativo, Spairani provò ad arruolare piloti meno conosciuti, come l’inglese Alan Dunscombe e il veterano Bruno Spaggiari. Tentarono anche di contattare Smart, ma con notevoli difficoltà. Provarono così a mettersi in contatto con la sua compagna, Maggie, sorella di Barry Sheene. Nonostante in principio egli non fosse molto convinto della scelta, giunsero alla firma di un contratto. Quando Smart arrivò in Italia rimase sorpreso di vedere che all’aeroporto di Milano lo aspettava una grossa berlina per portarlo direttamente al circuito di prova di Modena; non gli diedero neppure il tempo di lavarsi o di riposarsi. Nonostante fosse esausto, si mise a provare i pneumatici Dunlop TT100 e differenti telai. Smart rimase sorpreso che quasi tutto il materiale fosse delle moto in produzione e che, senza dubbio, fosse al cospetto del team più professionale nel quale si fosse mai imbattuto. Trenta persone e dieci moto componevano la squadra, tutte al lavoro con la tenacia e la passione che sempre avevano caratterizzato la Ducati. Di lì a poco avrebbero tutti esultato per l’eclatante vittoria.

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