martedì 24 febbraio 2009

Renzo Pasolini








































































Nelle foto partendo dal basso:
1) Renzo Pasolini su Aermacchi 175cc impegnato sul tracciato di Monza.
2) Anno 1966, Paso in sella alla Aermacchi 250cc sul circuito di Charade Clermont-Ferrand.
3) In sella alla Benelli ad Assen nell'anno 1967.
4) Sempre su Benelli, sempre nell'anno 1967.
5) Paso con la Benelli a Cesenatico, anno 1698.
6) Paso alla guida della moto di Pesaro al TT dell'Isola di Man nell'anno 1698.
7-8) Due momenti della gara di Riccione 1969: Paso mentre si reca sulla linea di partenza e Paso ed Ago prima di dare il via alle ostilità.
9) Sempre in Romagna nell'anno 1969, ma questa volta a Cesenatico.
10) Altra immagine del 1969, con Renzo Pasolini in sella alla sua Benelli.
11) Anno 1970, sempre il binomio: Pasolini - Benelli.
12) Renzo Pasolini sul circuito del Sachs, anno 1970.
13) Ancora anno 1970, questa volta il pilota riminese è sul tracciato di Hockenheim.
14-15) Due immagini della gara disputata sul circuito di Monza del 1970.
16) Anno 1972, Pasolini su Aermacchi H-D, impegnato a Brno.
17) Sempre anno 1972, questa volta Paso è sul tracciato francese di Charade Clermont-Ferrand.
18-19-20) Tre fotografie scattate a Imola durante la corsa disputata nel 1972.
21) Paso osserva la poderosa H-D 750cc, sul circuito dell'Ontario, anno 1972.
22) Pasolini alla guida della grossa bicilindrica a quattro tempi made in USA, durante la 200 Miglia di Imola del 1973.
23-24) Due foto di Paso prima della gara di Daytona 1973.
25) Di nuovo a Daytona nel 1973, Paso sulla sua grossa H-D segue come un'ombra il rivale Saarinen in sella ad una più agile Yamaha.
26-27) Due tragiche foto dell'incidente che il 20 maggio 1973 fu fatale al pilota di Rimini e al suo rivale Finlandese.

I filmati, partendo dal basso:

1) Paso Story.

2) Mototemporada: Riccione 1969 (intervista a Pasolini).

3) Mototemporada: Riccione 1969 (intervista al Paso prima della partenza della classe 250cc).

4) Mototemporada: Riccione 1969 (classe 350cc, filmato del duello Agostini - Pasolini).

5) Misano 1973: Intervista al Paso.

6) Campionato Italiano: Misano 1973 (classe 350cc, filmato del duello Agostini - Pasolini).

7) Mondiale: Monza 1973 (L'ultimo giro di Renzo Pasolini, tratto da Sfide: Aspettando Valentino Rossi, andato in onda su RAI 3).

Segue breve biografia:

Renzo Pasolini và inserito a pieno diritto nella categoria dei MITI del motociclismo. Pilota di quei tempi ormai andati, dove non c'erano grandi giri di soldi in mezzo le gare, di quei tempi dove e chi faceva il pilota era ben conscio di non avere di certo quegli standard di sicurezza che sono stati raggiunti ai tempi nostri; parliamo di tempi in cui la morte, veniva accettata dai corridori, come una componente del gioco, per la natura stessa dei tracciati, delle moto dell’attrezzatura ecc. ecc. Gente con un coraggio immenso ed un cuore altrettanto scalpitante tanto quanto il polso che apriva in condizioni da far paura. Renzo Pasolini era fatto per piacere alla folla. Era di quegli uomini che non si dosano in vista di un lontano risultato che va raggiunto mettendo pazientemente insieme i pezzi di un mosaico. Pasolini non era un pilota ragioniere. Per lui non esistevano calcoli; ogni gara era “quella”, la più importante, dove bisognava spendere senz’altro il meglio di sé, sul filo di un incredibile equilibrio fra lo stare in piedi e il volar via. Pilotando una motocicletta in questo modo è certo facile piacere a quel “mostro dalle centomila teste” che è il pubblico, però è altrettanto facile giocarsi la possibilità di arrivare a traguardi veramente importanti. Proprio per questa sua filosofia del “tutto e subito”, Pasolini si è perso nel ‘69 il titolo mondiale della 250 con la Benelli che avrebbe potuto benissimo essere suo, anziché di Carruthers che lo aveva rimpiazzato dopo che un paio di cadute dovute all’eccesso di generosità avevano messo fuori causa il nostro pilota. A parte queste considerazioni, veder guidare Pasolini (se si riusciva a superare quello stato di angoscia dovuto alla sensazione di un’imminente caduta) era un autentico piacere: epidermico per il pubblico e ben più profondo per gli “iniziati”, che comprendevano meglio tutte le sfumature della sua impossibile tecnica. Questa consisteva nel percorrere le curve, particolarmente quelle più strette tipiche dei circuiti “adriatici” dell’epoca, in uno stato di emergenza, con rapide e frequenti correzioni di inclinazione e con un magistrale avorio sulla manopola del gas che veniva pelato in apertura e chiusura a seconda delle condizioni di aderenza della ruota posteriore. Una tecnica fatta tutta d’istinto e sensibilità, ripresa direttamente dal cross che Renzo aveva lungamente praticato, e certamente redditizia anche se probabilmente divoratrice di energie per la costante tensione necessaria. Nonostante questo “selvaggio” modo di guidare, Pasolini è caduto relativamente poche volte nella sua carriera (anche se nei momenti sbagliati, come nel ‘69) e va detto che la caduta che gli è costata la vita, insieme a Saarinen, quel 20 maggio 1973 a Monza, non è imputabile a lui ma a un grippaggio del motore che non aveva ancora raggiunto la temperatura di funzionamento. Renzo Pasolini, oltre che trascinante per il suo modo di guidare, era anche un ragazzo molto simpatico e divertente, capace di battute di spirito improvvisate, di un umorismo intelligente e un po’ sarcastico. Accento romagnolo, “occhialini” e sguardo da Pierino, Renzo Pasolini era un tipo che suscitava simpatia fin dal primo sguardo. Noncurante nel modo di fare e di vestire, aveva l’aria di infischiarsene un po’ di tutto o comunque di non dare eccessiva importanza alle cose “terrene”. I suoi pensieri spesso erano lontani, imprendibili, più veloci persino di lui e della sua motocicletta. Molto disinvolto, sapeva strappare delle risate anche nel corso di interviste televisive, per le battutine che infilava nel discorso, specie al culmine della rivalità con Agostini. Di statura media, con gli occhiali, i capelli mossi e scuri, resistente e robusto, Renzo Pasolini aveva praticato sport faticosi come il pugilato e il motocross; anzi, diceva che se non avesse fatto il corridore motociclista lo avrebbe senz’altro attirato la boxe. Nonostante questa predisposizione per le discipline sportive, “Paso” non conduceva la vita esemplare dell’atleta, perché non rinunciava al fumo, gli piaceva fare tardi la sera, dormire fino a mezzodì il giorno seguente e non si tirava certo indietro se c’era da mangiare e bere, cosa del resto piuttosto usuale per un romagnolo purosangue. Renzo Pasolini è nato infatti a Rimini il 18 luglio 1938, figlio d’arte, in quanto il padre Massimo era stato uno dei più apprezzati piloti italiani negli anni attorno alla seconda Guerra Mondiale. Massimo Pasolini nel 1956 aveva stabilito i record mondiali del chilometro e del miglio con partenza lanciata per la classe 75cc, con una Aermacchi. Il Paso ebbe il suo primo contatto con il motociclismo da competizione arrivando a Varese ad undici anni al seguito del padre Massimo, che venne chiamato a lavorare alla Schiranna dove si producevano appunto le moto dell'Aermacchi. Fu proprio Massimo Pasolini, insieme ad un'altra figura storica quale è stata Lino Tonti (fondatore della Linto), a progettare l'avveniristico scooter Cigno Aermacchi a ruote alte. Nonostante un padre velocista, però, Pasolini si dedicò agli inizi al motocross, nel 1958, cominciando a correre a ventenne. Questa disciplina, gli rese le prime soddisfazioni e soprattutto risultò determinante nel forgiarne il temperamento battagliero e il modo violento di trattare la moto. Dal cross, Renzo non si staccò mai, utilizzando la motocicletta con le ruote tassellate durante la stagione invernale, per allenarsi (in questo è stato precursore di quasi la totalità dei piloti moderni!) non praticandolo però più agonisticamente. Altra passione al quale non rinunciò durante tutta la sua carriera, fu la ginnastica prepugilistica (utilizzata anche questa per tenersi in forma fisica). Nel 1962 passò alla velocità e con una Aermacchi 175 si distinse subito ottenendo due belle vittorie e battendo quindi fra l’altro un futuro campione, quel Giacomo Agostini che ritrovò in seguito diverse volte, sul proprio cammino, dando così il via ad un duello infinito. L'anno successivo segnò un periodo di sosta per il romagnolo, che rimediò solo un secondo posto di classe in una gara in salita. La pausa forzata dell’attività agonistica fu dovuta al servizio militare. Pasolini riuscì comunque a mettere a buon frutto questo periodo perché in Sardegna, dove venne destinato, conobbe Anna, una bella ragazza bruna, insegnante, che più tardi divenne sua moglie e dalla quale ebbe due figli: Sabrina e Renzo Stefano (che al momento della tragica scomparsa del padre avranno rispettivamente sei anni e due anni e mezzo). Nel ‘64 riprese l’attività ed in breve tempo, venne “promosso” tra i seniores. Le macchine di cui disponeva erano le Aermacchi 250 e 350 con le quali, benché si trattasse di semplici monocilindriche ad aste e bilancieri, ottenne alcuni risultati di rilievo, piazzandosi in diverse occasioni al primo posto, dopo le macchine più potenti e sofisticate delle sue. Concluse il campionato italiano 1965 al secondo posto dietro al grande Tarquinio Provini e alla sua Benelli nella classe 250cc; al terzo nella 350cc alle spalle di Giacomo Agostini e Giuseppe Mandolini. Nel 1965 "Paso" colse anche i primi punti nel Mondiale, nella categoria 350cc. Insieme al suo caposquadra Gilberto Dilani, in quella stagione, prese parte anche ad alcune prove concludendo quarto al Nùrburgring e al G.P. d’Olanda e quinto a Brno. Fu presente anche al Tourist Trophy dell’Isola di Man ma senza fortuna, in quanto si ritirò sia nella quarto di litro che nella 350. L'Aermacchi di cui disponeva non era sufficientemente competitiva e faticò immensamente ad emergere. MV Agusta, Honda e Yamaha inoltre, a parte il fatto di essere le moto più veloci del lotto, vantavano in sella i campioni più competitivi del momento: Giacomo Agostini, Mike Hailwood e Phil Read. Per Pasolini quindi, non disponendo di una moto non al top fu realmente impossibile poter fare meglio. Il 1966 fu ancora un anno di risultati altalenanti. I migliori in ambito nazionale furono: il secondo posto nella classe 250 a Milano Marittima, il secondo a Cesenatico nella 500 (con una 350 maggiorata) e i due terzi posti nella 250 e nella 350 a Ospedaletti. Nelle gare del Campionato Mondiale, insieme ad alcuni quarti e quinti posti prevalentemente nella 350, fece spicco la bella terza posizione ottenuta in Olanda dopo Hailwood e Agostini. Nel frattempo accadde che la Benelli si trovò senza il suo pilota di punta: il grande Tarquinio Provini infatti, al TT del ’66 subì l’infortunio che ne spezzò la carriera. La Casa di Pesaro iniziò quindi a cercare un pilota giovane e veloce, al quale affidare i suoi bolidi da GP. Sul finire della stagione, nell'ultima gara del Campionato Italiano che si disputava a Vallelunga, la Benelli decise di affidargli la sua debuttante 500 quattro cilindri. Il Paso, non sprecò questa occasione di poter disporre finalmente di una motocicletta competitiva e portò la moto pesarese alla vittoria, davanti alla Gilera di Remo Venturi, prefigurando un anno successivo ricco di soddisfazioni. Questo successo gli aprì le porte della Casa pesarese, con la quale la collaborazione risultò proficua per entrambi. Nel 1967 proseguì quindi la sua avventura con la Benelli. La storica Casa di Pesaro lo volle alle sue dipendenze per sviluppare l’inedita 500 a quattro cilindri. Ovviamente non mancò dall’attività agonistica, continuando a gareggiare nelle classi 250cc e 350cc. Proprio in sella a quest’ultima, ottenne due podi nel Campionato Mondiale, giungendo in terza posizione sia nel GP di Germania che in quello d’Olanda, concludendo dietro hai soliti noti. In Patria fece i “fuochi artificiali” vincendo a Modena nella 500cc con Ago ritirato. Ottenne a Riccione e Milano Marittima due secondi posti dietro la MV Agusta . Nelle categorie inferiori fece registrare una bella vittoria a Cesenatico con la 350cc, il secondo posto a Imola e il terzo a Zingonia. A queste affermazioni vanno aggiunte quelle ottenute con la 250 a Milano Marittima e con la 500 a Pergusa, anche se li, non ebbe a che fare con la sua «pietra di paragone». Finalmente con una moto più competitiva, Paso, potè competere con i migliori. Fu proprio da qui che ebbe inizio la serie di duelli epici (che hanno segnato un’epoca..) con Giacomo Agostani, in sella alle sue formidabili MV Agusta e Mike Hailwood che disponeva delle potentissime Honda. Nonostante per Paso poter battere il pilota britannico, dato il suo immenso valore, fu motivo di grande orgoglio, la rivalità più accesa, il riminese la provava nei confronti di Ago. Potersi misurare alla pari con il suo antico rivale Agostini, fu per Paso una vera e propria spinta a dare il massimo. Pur rimanendo i due essenzialmente amici, la rivalità e gli "sfottò" erano all'ordine del giorno: e così tra i tifosi italiani nacquero due partiti contrapposti: gli "Agostiniani" e i "Pasoliniani" in un dualismo tutto italico che riportò alla mente degli sportivi quello che “divise” l’Italia ai tempi di Tazio Nuvolari e Achille Varzi oppure a quello tra Coppi e Bartali. Quelli del lombardo "Ago" apprezzavano il suo comportamento molto professionale, la tecnica nella guida e la preparazione approntata in anticipo studiando il più possibile i circuiti. Quelli del romagnolo "Paso" adoravano invece la sua combattività, quel suo essere impulsivo, istintivo e la sua formidabile staccata in fase di frenata. Generalmente, sugli stradali era l’istintivo "Paso" a prevalere, mentre sui circuiti permanenti la bilancia pendeva dalla parte del profeta della razionalità "Ago". Questo accesissimo antagonismo fra i due corridori italiani in sella a due macchine esse pure italiane, la Benelli e la MV Agusta, fece vivere agli appassionati alcune stagioni con l’entusiasmo alle stelle. Questi epici duelli si svolsero per lo più sul suolo nazionale perché all’estero, dove d’altro canto la Benelli non si spinse di frequente a causa dei costi elevati e della scarsa visibilità degli eventi, la contesa per la vittoria non fu soltanto affar loro, come accadeva in Italia, ma a fare da terzo “gallo nel pollaio” c’era pure un certo Mike Hailwood con la Honda che aveva la stessa premura di concludere le corse a suo favore. Nel 1968, Pasolini e la Benelli la spuntarono solo due volte sul binomio avversario, a Cesenatico e Imola, e, tra gare in Italia e all’estero, arrivarono ben otto volte al secondo posto. Il romagnolo comunque si difese come un leone, con coraggio e generosità giungendo secondo nel mondiale 350. Tra questa serie di piazze d’onore, vanno senza meno citate quelle ottenute con la 350 al Nùrburgring, al Tourist Trophy e a Monza. Sempre sul circuito brianzolo, il pilota di Rimini ottenne anche la seconda piazza nella 500. Nell’albo d’oro 1968 di Pisolini c’è anche una vittoria nella 250 nella sua Rimini. Suoi sono i titoli italiani della 250 e della 350. Quella del 1969 si presentò come una grande stagione perché Renzo partì col piede giusto, infilando sin dall’inizio della stagione una serie di strepitosi successi in patria: a Rimini vinse in 250 e in 350 (con Ago secondo nella classe maggiore con un lieve distacco); altri successi in 250 e in 350 a Modena (Ago ritirato), altra doppietta nelle stesse classi a Riccione (col pluricampione mondiale sempre secondo nella 350), e ancora bis in entrambe le cilindrate a Riccione e Imola (il rivale sempre secondo). Poi arrivò Cesenatico dove Paso si aggiudicò con facilità la 250 ma dovette arrendersi in 350, arrivando distanziato di poco più di 6" da Agostini, cui replicò però nella gara successiva a Milano Marittima, dove ottenne un’altra doppietta in 250 e in 350, mentre al grande avversario toccò l’amara sorte del ritiro. A fine stagione i titoli in entrambe le cilindrate furono per il secondo anno consecutivo suoi. L’entusiasmo era al settimo cielo: nugoli di spettatori si accalcavano ad assistere ogni volta a questi infuocati duelli, senza esclusione di colpi tra i due campioni. Duelli nei quali però, va messo in evidenza, non scesero mai agli insulti. La rivalità, veniva inevitabilmente alimentata anche da giornali e televisione. Si arrivò ad un punto tale che ad un certo punto nacque anche l’idea di una sfida a macchine pari (prima tutti e due su Benelli, poi entrambi su MV) per farla finita una volta per tutte con i: “Sono più bravo io! No, sono io il migliore”. Saggiamente le rispettive Case e la Federazione Motociclistica Italiana si opposero a questa specie di sfida paesana. Il 1969 fu anche l’anno in cui Pasolini si trovò più che mai a portata di mano il titolo mondiale della 250. La Benelli risultò infatti essere estremamente competitiva. Cadde però nelle prove a Hockenheim. Le ferite riportare nell’incidente sull’insidioso e velocissimo tracciato teutonico, lo costrinsero all’inattività per le successive due prove: il GP di Francia a Le Mans e quello di Gran Bretagna, al Tourist Trophy dell’Isola di Man. La Benelli gli avvicendò alla guida delle sue motociclette l’australiano Kelvin Carruthers. Rientrò ad Assen dove vinse nettamente sul compagno/rivale. Segurono una battuta a vuoto nel GP del Belgio a Spa Francorchamps per guai al motore, e due nuove splendide vittorie rispettivamente nel GP della Germania Orientale sul tracciato del Sachsenring e in quello di Cecoslovacchia a Brno davanti rispettivamente a Herrero e Gould. Nel G.P. di Finlandia, sul pericolosissimo tracciato stradale di Imatra, una nuova caduta mise fuori causa dalla lotta per il Mondiale il riminese. Il titolo, che poteva essere suo, finì invece al suo compagno di Scuderia Kelvin Carruthers, che fino a quel momento era stato il suo “scudiero” alla Benelli. Di sicuro per Renzo Pasolini, non fu facile consolarsi della perdita di un titolo mondiale (così come non lo sarebbe stato per nessun altro) ma certamente il ripetersi della vittoria nei campionati tricolori della 250 e della 350 lenì un poco il dolore causato da questa “ferita”. Nel 1970, a causa delle nuove disposizioni che limitarono ai soli bicilindrici la possibilità di correre nella 250, la Benelli si concentrò particolarmente sulla 350. Paso vinse all’inizio di stagione a Rimini e Riccione, poi fu quasi sempre secondo. Nel mondiale i migliori risultati furono i secondi posti di Assen, del Sachsenring e di Brno, sempre dietro Agostini con la sua MV Agusta. In classifica mondiale si posizionò al terzo posto. Nel GP delle Nazioni con la Benelli 500 dovette ritirarsi dopo aver stabilito il giro più veloce a circa 203 Km/h di media. Nel corso dell’annata iniziarono a scaturire dei dissapori tra lui e la Benelli. Pasolini infatti sosteneva che la moto di Pesaro aveva perso la sua competitività e che non era più tra le migliori come in passato. La Casa, ovviamente, dal canto suo sosteneva l’esatto contrario. Nel 1971 la separazione fu praticamente inevitabile e dopo molte illazioni più o meno campate in aria Renzo Pasolini tornò al suo primo amore: la Aermacchi (ora anche HarleyDavidson) che ha preparò due innovative 250cc e 350cc bicilindriche due tempi che però, erano ancora da sviluppare. Il debutto avvenne in primavera con la sola 250cc, derivata dalla Ala D’Oro. Sebbene non fosse stata ancora trovata la necessaria affidabilità, dal punto di vista delle prestazioni si ebbero dei risultati entusiasmanti, tanto che la Casa decise, di mettersi all’opera per costruire anche la 350cc, facendola strettamente derivare, come filosofia costruttiva, dalla sorella minore. Gli inizi furono deludenti perché la macchina richiese una laboriosa e complessa messa a punto che si dimostrò molto più lunga del previsto (tanto da bruciare praticamente tutta la stagione ’71). Nel ‘72 però finalmente l’ostinazione di Pasolini (che fu assunto dalla Casa anche con il ruolo di ispettore alle vendite, per quanto concerneva la produzione di serie) e dei validissimi tecnici del reparto corse, capeggiati da Gilberto Milani e Mascheroni, iniziò a dare i suoi frutti: la strepitosa vittoria nel G.P. delle Nazioni a Imola, cui fecero seguito quelle al G.P. di Jugoslavia e a Barcellona, e i secondi posti di grande valore come quelli di Clermont-Ferrand dopo Read; di Assen dopo Gould; del Sachsenring e di Brno dietro a Saarinen. In Italia, oltre alla vittoria di Imola, vinse anche a Riccione e Ospedaletti aggiudicandosi il quinto titolo italiano della sua carriera. Anche con la 350 ottenne degli ottimi risultati fra cui il secondo posto di Imola, del Sachsenring, di Brno e di Barcellona. Concluse i mondiali rispettivamente al secondo posto nella 250cc (alle spalle di Jarno Saarinen) e al terzo nella 350cc (dopo Agostini e Saarinen). Al riminese rimase sul “cuore” in maniera particolare il titolo perso nelle 250cc, nel 1972. Il giovane finlandese Jarno Saarinen, lo sopravanzò in classifica per un solo punto iridato. Il 1972 vide Pasolini correre anche al circuito dell’Ontario con una HarleyDavidson 750cc (sulla quale ho pubblicato un post in precedenza), con la quale colse il terzo posto (primo della squadra ufficiale americana). Nel 1973 a Daytona, sempre in sella alla tre quarti di litro made in Milwauke, non ebbe invece fortuna. Dopo una lunghissima attesa, per avere la moto a punto, il 1973 appariva come l’anno in cui tutto sembrava finalmente maturo per la battaglia ad armi pari alla conquista del mondiale. Va ovviamente ricordato che la Yamaha e l’astro Saarinen (campione del mondo l’anno precedente) rappresentavano nella classe 250cc degli avversari fortissimo, ma Renzo Pasolini si sentiva veramente fiducioso dei suoi mezzi e di quelli della sua Scuderia. Voleva infatti a tutti i costi pareggiare il conto con il rivale, che l’anno prima lo aveva beffato per un solo punto iridato. La Aermacchi Harley-Davidson mise in campo le bicilindriche raffreddate ad acqua che si rivelarono da subito estremamente competitive. La 350cc in particolare, gli permise di ottenere la vittoria a Riccione e a Vallelunga. Con questa moto Renzo Pasolini si aggiudicò il titolo di campione italiano del 1973. Non vi fu però gioia per questa affermazione, in quanto questo titolo gli venne assegnato “alla memoria” essendo, al momento della consegna ufficiale, già scomparso. La data fatale è il 20 maggio 1973. Pasolini aveva disputato una gara sensazionale nella classe 350cc, in sella alla debuttante Aermacchi raffreddata ad acqua, ricuperando 11" da Agostini e riuscendo ad agguantarlo e superarlo quando, a quattro giri dal termine, un “dritto” alla curva parabolica causato da un grippaggio metteva fine alla certezza di una grande vittoria. Ancora teso per questo sforzo, ancora accaldato e contrariato, si era subito dopo ripresentato al via per l’immediatamente successiva partenza della classe 250, dove i suoi compiti sarebbero stati altrettanto difficili contro gli uomini Yamaha. Erano appena passate le 15, quando i piloti della quarto di litro si disposero sulla linea di partenza. Tra i concorrenti serpeggiava il malumore. In primo luogo i piloti, capeggiati da Giacomo Agostini, fecero notare la pericolosità con la quale guardrail costeggiavano minacciosamente il tracciato: vicinissimi al nastro d’asfalto e protetti in malo modo da una singola fila di balle di paglia, disposte a spina di pesce. Queste terribili lame, nel modo in cui erano installate, erano forse utili per la F1, ma erano assolutamente letali per i piloti di motociclette. In seconda battuta, il malcontento era alimentato dal fatto che proprio nella Curva Grande, e proprio in traiettoria, era stata effettuata una “toppa” per rimediare ad una asperità dell’asfalto. Tale “sistemazione” fu eseguita in maniera sommaria e quando le motociclette vi transitavano sopra, faceva si che esse innescassero, a causa del dislivello creatosi, delle vistose imbarcate. La Curva Grande si affrontava infatti in sesta piena a circa 24 km/h. Da ultimo, ma sicuramente non meno importante i piloti erano fortemente contrariati per quanto accaduto nella gara delle 350cc dove la Benelli di Walter Villa aveva sparso quasi due litri d’olio sulla pista, in gran parte lungo la Curva Grande. Proprio in quel tratto, negli ultimi giri, si sono registrarono paurose sbandate che hanno coinvolto molti concorrenti e che solo per miracolo non si tradussero in rovinose cadute. Villa e la sua scuderia, nonostante la moto fumasse come una ciminiera e spruzzasse olio, non sentirono il dovere di fermarsi, andando a caccia del quinto posto al traguardo. Finita la corsa alcuni piloti e giornalisti cercarono di segnalare agli organizzatori la situazione di pericolo. La risposta, però, fu tanto secca quanto assurda: non solo la richiesta non venne accolta, ma la delegazione venne addirittura minacciata d’arresto. I piloti cercarono allora di avvertire i colleghi. Jarno, che non prese il via nelle 350 (a causa del fatto che la sua domanda d’iscrizione alla corsa venne presentata fuori tempo massimo) venne informato dall’amico Teuvo Lansivuori. Il passaparola circa lo stato del circuito brianzolo raggiunse tutti i piloti tranne Renzo Pasolini. Renzo infatti restò all’oscuro proprio a causa del suo ritiro a tre giri dal termine della gara delle 350cc. Il pilota di Rimini infatti, una volta fermata la moto, si diresse contrariato al suo box, dove non ebbe alcun scambio di opinioni con i colleghi. Si arrivò alla partenza. Oggi la cosa può apparire tanto assurda quanto incredibile, ma la direzione di gara optò si non fare il giro di ricognizione. Se la procedura fosse stata rispettata a dovere, avrebbe dato modo ai piloti di rendersi conto dell’effettivo stato della pista. Il più lesto ad avviarsi (occorre ricordare che allora si partiva a spinta, col motore spento) fu il tedesco Dieter Braun (proprio colui che a causa della morte di Saarinen e di Pasolini divenne quell’anno Campione del Mondo della 250), che sfruttando le sue lunghe leve (Dieter è alto due metri) spinse la sua Yamaha numero 38 con più forza di tutti, e schizzò al comando. Dietro di lui, all’inseguimento si pongono Renzo e pochi metri più indietro Saarinen e Kanaya, quasi appaiati. Al via il Paso partì a razzo, col cuore gonfio di rabbia, con in corpo il furore e la determinazione a vincere davanti al suo pubblico, di vincere per la sua Squadra, di vincere per se stesso e per quel titolo mondiale che gli era sfuggito per un punto l’anno precedente. Paso oramai trentacinquenne sentiva di non potersi più permettere di lasciarsi scappare una ulteriore chance. Mario Lega, il bravo Campione di Lugo di Romagna, con la Yamaha numero 21 della Scuderia Diemme, appena al terzo Gp della carriera partì dalla seconda fila, e si trovava in quinta posizione appena dietro ai “battistrada” fu il testimone unico di quanto accadde veramente quel maledetto giorno. In seguito Braun affermò: “Sono partito bene e mi sono portato subito in testa. Sapevo dell’olio perchè avevo appena preso parte alla gara delle 350, dove avevo appunto rischiato diverse volte di cadere, ed in vari punti della pista proprio per quel motivo! Avevo dunque deciso di usare traiettorie diverse dal solito, visto che le chiazze d’olio erano tutte lungo la traiettoria ideale della pista, e di affrontare il Curvone in quinta anzichè in sesta, quindi a circa 200 Km/h invece che a 240. Forse a questo devo la vita”. Dieter ovviamente non si accorse di quanto avviene pochi metri dietro le sue spalle. Continuò a correre fino a che, ripassando al secondo giro sul luogo dell’incidente, capì cosa era accaduto attraversando un inferno di fuoco, di moto distrutte, di corpi riversi a terra, di piloti che scappavano in tutte le direzioni per mettersi in salvo. Spinto dall’abbrivio, e confuso dalla assoluta mancanza di segnalazioni da parte dei commissari di gara, si fermò, assieme a Mario Lega ed a Roberto Gallina, solo a metà del terzo giro! Braun imbocò dunque il Curvone in testa. Anche percorrendolo in quinta, aveva troppo vantaggio rispetto agli inseguitori. Qualche metro dietro di lui, all’improvviso, quasi a metà del Curvone stesso, la ruota anteriore della Aermacchi H-D numero 2 di Renzo Pasolini perse aderenza, scivolando quasi certamente su una macchia d’olio. Pasolini non potè fare nulla per evitare la caduta, e lui e la moto si infilarono di punta contro il guardrail. Pilota e moto sfondarono l’insignificante protezione fatta con le balle di paglia messa a copertura del guardrail, senza che la loro corsa venisse minimamente frenata. Cozzarono con un urto violentissimo contro la lama d’acciaio. Renzo picchiò contro il guardrail con il capo ed il viso (lo dimostrarono le sue ferite e lo stato del suo casco: il fatto che indossasse un jet invece di un integrale certo non lo aiutò) e morì pochi minuti dopo, a causa del tremendo urto. La sua moto, però, dopo l’urto contro il rigidissimo ostacolo si impennò, rimbalzò, e prense il volo e ritornando indietro verso la pista, “vomitando” dal serbatoio una cascata di miscela che istantaneamente prese fuoco e incendiò la paglia, proprio mentre stava sopraggiungendo Jarno, che venne investito in pieno dal bolide impazzito di Pasolini. Kanaya, che seguiva il suo caposquadra a meno di due metri, riuscì miracolosamente ad evitare Jarno (che stava volando in aria) e le due moto che carambolano sulla pista, passando appena all’interno, poi però chiuse troppo verso l’esterno, come ignorando la curva, forse colpito dai detriti che schizzavano in tutte le direzioni, urtò le balle di paglia, quindi ovviamente il guardrail e cadde a sua volta! Hideo Kanaya disse immediatamente dopo l’accaduto: “Subito prima della partenza Andersson venne ad informare me e Jarno che c’era molto olio in vari punti della pista. Sono partito bene e poco prima del curvone ero quasi appaiato a Jarno, mentre Renzo ci precedeva di pochissimo. Nell’impostare la curva eravamo uno dietro l’altro, quando improvvisamente ho visto la Aermacchi scivolare di sotto a Renzo, andando via con l’anteriore. Jarno non ha potuto far nulla ed è caduto, investito dalla moto di Pasolini rimbalzata in pista, mentre io sono riuscito a passare appena alla sua destra. Poi, però, mi sono allargato troppo a sinistra, verso il lato esterno della curva, sbattendo violentemente contro le balle di paglia che già avevano preso fuoco. Ho visto Jarno cadere a sinistra, in seguito però il suo corpo giaceva a pancia in giù sul lato destro della curva, cioè lungo il bordo interno. Sono tornato il giorno dopo sul luogo dell’incidente ed ho visto le tracce d’olio”. L’autopsia sul corpo di Saarinen mise infatti in evidenza che la morte non lo colpì subito dopo aver urtato la moto di Pisolini, ma venne ucciso dalle moto degli altri concorrenti che non poterono evitarlo. Appena due o tre metri dietro Kanaya c’era Mario Lega, ben più spostato però verso l’interno della pista, in una posizione unica e privilegiata che gli consentì non solo di vedere tutto, ma anche di attraversare quasi indenne (Mario venne colpito alla spalla sinistra da alcuni rottami vaganti) quell’inferno di fiamme, fumo e moto sventrate: come detto in precedenza, Lega fu appunto il testimone chiave dell’accaduto e le sue parole furono le più significative per far luce, per quanto possibile, su questo terribile incidente. Nella caduta collettiva vennero coinvolti otto piloti: Pasolini, Saarinen, Walter Villa, Giansanti, Palomo, Kanaya, Mortimer e Jansson. Alcuni ne uscirono quasi indenni, altri malconci. Walter Villa entrò in coma e dal suo risveglio sino al giorno della sua morte ha sempre dichiarato di non ricordare assolutamente nulla dell'accaduto, dicendo di non essere mai riuscito a fare luce in quell'angolo buio della sua vita. I soccorsi tardarono tantissimo a sopraggiungere e quando si trovarono davanti alla raccapricciante scena dell'incidente si dimostrarono poco organizzati. Gli altoparlanti del circuito tacquero e il pubblico rimase in silenzio. Il paddock ammutolì, si sentivano nell'aria solo i pianti dei piloti superstiti alla tragedia, disperati per la consapevolezza di aver perso due compagni. Le immagini in bianco e nero inquadravano la pista desolatamente vuota. Chi era a casa, davanti alla televisione, faticò non poco a capire cosa fosse accaduto fino a quando anche Mario Poltronieri, rimasto fino a quel momento aggrappato a un irrazionale rivolo di ottimismo, non riescì più a trovare le parole. Il microfono del telecronista, sobrio e competente come sempre, restò improvvisamente muto: era il segno della resa. La gente capì e il dolore si impadronì di tutti. In quella maledetta domenica del 1973 la morte si prese quindi le giovani vite di Renzo Pasolini e di Jarno Saarinen. Oggi sembra che di quei due motociclisti il tempo non sia riuscito a sbiadire minimamente il ricordo o ad ingiallirne un po’ la memoria. Trasmissioni, siti, forum… a distanza di anni si continua a parlare ancora tanto di Renzo Pasolini e Jarno Saarinen. La dinamica dell’incidente non fu infatti mai spiegata del tutto, come già messo in evidenza, le testimonianze più attendibili, sono quelle degli avversari dei due campioni che vissero il fatto “in diretta”. La paurosa carambola non fu ripresa da alcuna telecamera, ma, come unica testimonianza ci restano solo alcune fotografie, per altro di qualità non eccelsa. Il fatto è che ancora oggi molti hanno la sensazione che quella tragedia avrebbe potuto essere evitata. Ma non è con l’immagine di questa tragedia negli occhi che voglio chiudere questo post dedicato a Renzo Pasolini. Voglio ricordarlo in un atteggiamento che a detta di chi ebbe la fortuna di conoscerlo, gli era abituale: accovacciato su una delle sue moto da corsa nel box di un circuito, con lo sguardo assente dietro le spesse lenti degli occhiali, vagare lontano col pensiero mentre i meccanici lavoravano quietamente attorno alla moto migliore. Certo il Paso sentiva che dentro quei motori messi insieme in famiglia alla Schiranna, anche se troneggiava sul serbatoio il pomposo nome HarleyDavidson, c’era la forza per arrivare al mondiale. E con quelle macchine proprio uno degli scampati alla tragedia di Monza, Walter Villa, raccolse, con quattro titoli mondiali, i frutti che solo poco tempo prima per il braccio proteso di Renzo Pasolini erano ancora acerbi. Si chiuse così per sempre la carriera (oltre che la vita) di questo fantastico pilota, proveniente dalla “mia” amatissima riviera. In carriera Renzo Pasolini ottenne sei titoli nazionale tra 250cc e 350cc ma in ambito non raggiunse mai quel mondiale che sopra ogni altra cosa aveva desiderato. Nel 1985 la Ducati, in quegli anni entrata nel Gruppo Cagiva, presentò all'EICMA di Milano la Ducati Paso, con propulsore da 750cc, in onore di Renzo Pasolini. La moto fu ideata da Massimo Tamburini uno dei fondatori della Bimota.
Allego il link al sito ufficiale, dedicato a Renzo "il Paso" Pasolini:
http://www.renzopasolini.com/

1 commento:

Unknown ha detto...

Grande storia,vissuta personalmente da tifoso assoluto dell',asso di Rimini,uomo sfortunato al contrario di Agostini che ha avuto sempre dalla sua la dea bendata,molti avversari suoi sono morti Ivy,Bergamonti,Pasolini,Saarinen,vincendo gare con moto superiori alla concorrenza,poi quando è arrivato un certo Read alla MV correndo con la stessa moto non ha più vinto ed è migrato in Yamaha.Il più bel ricordo di Renzo era vedere in corsa la sua tenacia,un grande uomo.e pilota