mercoledì 31 dicembre 2008

Honda RC45 750cc
















Nelle foto partendo dal basso:
1) La RC45 di serie "spogliata" della carrozzeria.
2) Il dettaglio del forcellone posteriore con sistema Honda PRO ARM sviluppato da Elf negli anni '80.
3) La RC45 (in configurazione SBK) "ufficiale" del team Castrol Honda del 1999
4) La RC45 (in configurazione SBK) "clienti" del team Rumi del 1994.
5) La RC45 preparata per la 8 ore di Suzuka del 1998.
La Honda RVF750R RC45 è stata una moto da corsa creata dalla Casa giapponese, con lo scopo di primeggiare per nel Superbike World Championship. La HRC (Honda Racing Corporation) volle questa motocicletta per tornare a vincere nel campionato per le derivate dalla serie e rinverdire i fasti ottenuti dalla RC30. Se Honda infatti, con Fred Merkel e la RC30 (sia sulla moto che sul pilota ho pubblicato un post in precedenza) dominò i primi due campionati del mondo della SBK (1988 e 1989) a partire dal 1990 Ducati prima e Kawasaki poi, le strapparono il dominio tra le derivate dalla serie, con una inevitabile ripercussione sul mercato delle moto di serie. La RC30 infatti, sebbene risultasse essere ancora una moto valida, non riusciva più a garantire alla Casa dell’ala dorata la supremazia nelle gare riservate alle derivate dalla serie. Anche nei GP, sebbene la NSR fosse indubbiamente la moto più potente del lotto, Honda si era dovuta inchinare a Yamaha e a Suzuki, complice anche il terribile infortunio (accadutogli in seguito alla caduta nel GP di Assen in Olanda) che fece perdere a Mick Doohan il mondiale classe 500cc del 1992, che aveva dominato nelle fasi iniziali della stagione. Le uniche soddisfazioni nelle gare di velocità arrivarono a Honda nelle classi 250cc e 125cc GP. Honda inoltre dopo aver dominato nel 1991 e nel 1992 con la RC30, nel 1993 venne sconfitta nella gara alla quale tiene di piu’ in assoluto: la 8 ore di Suzuka. La Kawasaki, condotta da Aaron Slight e da Scott Russell infatti si impose con la ZXR-7. Nella gara di durata francese, il Bol d’Or, la situazione risultò essere ancora più drammatica, in quanto dopo anni di dominio assoluto, Honda si vide scavalcata dal 1991 al 1995 da Kawasaki, Suzuki e da Yamaha. Anche al TT dell’Isola di Man, la RC30 andò progressivamente perdendo la sua competitività, lasciando spazio a Yamaha e addirittura alla Norton. Nella AMA Superbike la situazione non era affatto migliore, infatti la RC30 dopo essersi imposta nel 1988, non risultò più essere competitiva ai massimi livelli. Il campanello d’allarme a questo punto suonò in maniera perentoria e la grande Casa Giapponese, che da sempre era avvezza a vincere le competizioni, si rese conto che la situazione andava cambiata. Così il reparto corse della Honda entrò in gioco direttamente, per progettare la degna erede della RC30. Nel 1994 venne lanciata sul mercato la nuova moto. Così come la RC30, la RVF750R RC45 è caratterizzata da un propulsore a quattro tempi con schema a V4 raffreddato a liquido motore, con testate a 4 valvole per cilindro DOCH da 750cc ma a differenza della RC30 vanta l’iniezione elettronica del carburante con un sistema derivatogli dalla dream-bike NR750 del 1992. Nella versione omologata per la circolazione su strada, il propulsore da 749,2cc effettivi, vantava 101 cavalli per la moto venduta sul mercato USA (più severo come norme anti-inquinamento); mentre per la versione europea si parlava 118 cavalli. Dal punto di vista telaistico, Honda mantenne come base di partenza la ottima ciclistica della RC30, facendo però su di essa un notevole lavoro di sviluppo: il telaio venne irrigidito nei punti critici e alleggerito allo stesso tempo, raggiungendo quote incredibilmente vicine a quelle della NSR 500cc da GP. La forcella passò dagli steli tradizionali al più performante sistema Upside-down. Al posteriore rimase il bellissimo e funzionale sistema a monobraccio, ereditato dalla Honda Elf 500cc da GP (della quale ho pubblicato un post in precedenza). Il sofisticato sistema, chiamato Honda PRO ARM, era in grado di garantire leggerezza, rigidità e cosa non trascurabile visto l’impiego della moto anche nelle gare di endurance, una notevole facilità di smontaggio dello pneumatico posteriore in caso di sosta ai box. Il sistema a monobraccio, venne abbandonato da Honda, nelle moto impegnate nel campionato SBK, sono negli ultimi due anni di carriera della moto. Nel 1998 e nel 1999 Honda su alcuni esemplari introdusse un piu' classico sistema con forcellone tradizionale, in cerca di una messa a punto sempre maggiore, per tenere il passo della concorrenza, in attesa del "canto del cigno" di questa moto. Molto importante fu anche lo studio aerodinamico fatto sulla motocicletta da parte di Honda: il nuovo propulsore, nonostante derivasse da quello della RC30, venne riprogettato ex-novo e questo consentì ad Honda di contenere in maniera notevole gli ingombri laterali, rendendo possibile l’applicazione di una carena estremamente sinuosa. Caratteristica evidente del frontale erano le due bellissime prese d’aria di tipo NACA che garantivano il flusso d’aria all’AIR BOX, facendo “respirare” il propulsore e garantendo una ulteriore dose di cavalli alle alte velocità (fondamentali nei circuiti veloci, per i “sorpassi in scia” alle altre moto). La parte posteriore era caratterizzata da un bellissimo codone monoposto, “proiettato” verso l’alto. Nelle versioni da gara, e specialmente quelle gestite dal Team ufficiale Honda Castrol, la moto raggiunse potenze stratosferiche per una 750cc derivata dalla serie, arrivando a sfiorare i 190 cavalli, pur mantenendo la leggendaria robustezza Honda che ha garantito alla moto una grandissima affidabilità oltre a prestazioni di primissimo livello. La RC45 è stata impiegata in maniera ufficiale nelle competizioni dal 1994 al 1999. Nel campionato Superbike la RC45 venne portata al debutto nel 1994 dalla coppia di piloti Aaron Slight e Doug polen (sul quale ho pubblicato un post in precedenza). Nel primo anno non ottenne vittorie anche se Slight in virtù di una incredibile regolarità nei piazzamenti terminò al terzo posto nella classifica del mondiale dietro a Carl Fogarty e a Scott Russell. L’anno seguente Honda confermò la sua competitività pur non riuscendo ad agguantare la vittoria nel mondiale. Il 1996 fu l’anno in cui carl Fogarty, abbandonò momentaneamente la Ducati, cedendo alle lusinghe della Casa Nipponica. Nonostante le diverse vittorie neppure lui riuscì a laurearsi campione del mondo a fine stagione. Questa impresa riuscì invece nel 1997 all’asso statunitense John Kocinski, il quale si aggiudicò il mondiale in scioltezza, dominandolo dall’inizio alla fine. Nel 1998 e nel 1999 la moto si dimostrò ancora competitiva, finendo sempre nelle prime posizioni con Aaron Slight e Colin Edwards. Il grande potenziale di questa moto emerse prepotentemente nella 8 ore di Suzuka, gara nella quale Honda dimostrò a tutti i rivali di essere tornata al ruolo dominante che le spettava: vinse nel 1994, nel 1995, nel 1997, nel 1998 e nel 1999 demolendo la concorrenza che non si aspettava un ritorno così imperioso da parte della Casa dell’ala dorata. Nel Bol d’Or la Honda, con la RC45 si impose nel 1996. Le vittorie arrivarono anche al TT dell’Isola di Man. La più spettacolare fu senza ombra di dubbio quella ottenuta nel 1994 da Steve Hislop, che con una moto identica a quella condotta da Aaron Slight nel campionato Superbike, sbaragliò la concorrenza aggiudicandosi sia la F1TT che il Senior TT, in quella che fu la sua ultima apparizione nella gara dell’Isola. Anche la AMA Superbike divenne nuovamente terreno di conquista per la Honda, la quale si aggiudicò il campionato 1995 con in sella Miguel Duhamel e quello del 1998 con Ben Bostrom. La RC45 è quindi stata una delle moto più vincenti mai prodotta dalla Honda. Capace di trionfare in ogni tipo di competizione nella quale è stata schierata, è risultata essere una moto decisamente eclettica. Gli importanti risultati ottenuti, sono ancor più enfatizzati dal valore della concorrenza che si e’ via via trovata ad affrontere: Ducati 916, 996 e 998; Yamaha YZF 750cc; Kawasaki ZXR-7 prima e ZX7R poi; Suzuki GSX-R 750cc. Se infatti la RC30 aveva avuto vita relativamente facile, trovando a battagliare con una concorrenza “impreparata” ai cambiamenti tecnici del motociclismo a 4 tempi di fine anni ’80 e inizio anni ’90; più arduo è stato il compito di Honda nel rendere il progetto RC45 competitivo. Honda infatti partiva in una posizione di svantaggio, rispetto alla concorrenza e ha dovuto risalire la china. La RC45 si è dunque dimostrata la degna erede della gloriosa RC30, rinverdendone i fasti e dimostrando quanto il progetto di base, derivante dal modello precedente, fosse competitivo. La RC45 venne sostituita a partire dal 2000 dalla RVT 1000cc con motore bicilindrico, con la quale Honda dichiarò senza mezze misure di volere sfidare Ducati proprio nel suo territorio: quello dei motori bicilindrici di grossa cubatura.
Caratteristiche tecniche:
MOTORE
Tipo: 4 tempi, quattro cilindri a V
Cilindrata: 749,2 cc
Distribuzone: 4 valvole per cilindro
Raffreddamento: a liquido
Alimentazione: iniezione elettronica
Cambio: 6 velocità
Trasmissione finale: a catena
CICLISTICA
Telaio: scatolato, di tipo diagonale in lega di alluminio, con forcellone posteriore monobraccio con sistema Honda PRO ARM
Sospensione anteriore: Forcella pluri-regolabile con steli Upside-Down
Sospensione posteriore: Mono ammortizzatore, pluriregolabile
Freno anteriore: a doppio disco (in acciaio o ghisa, a seconda delle necessità)
Freno posteriore: a disco
Pneumatico anteriore: 130/70 16
Pneumatico posteriore: 190/50 17
DIMENSIONI
Altezza sella: 770 mm
Peso a secco: 189 Kg per la versione di serie, 140 Kg in versione corsa
PRESTAZIONI
Potenza massima: circa 190 hp a 15.200 / 15.300 rpm
Velocità massima: oltre 300 Km/h

martedì 30 dicembre 2008

Omobono Tenni




In questo post, mi distacco dal periodo del motociclismo che fino ad ora ho trattato. Nei post precedenti infatti ho scritto nella maggioranza dei casi di moto e di piloti degli anni ’60, ’70, ’80 e primi ’90. Omobono Tenni, in questo contesto, seppur immenso campione, non e’ molto inerente, ma ho deciso comunque di pubblicare qualche informazione su di lui, dedicando questo articolo al mio nonno materno. Come già detto in precedenza, gran parte della mia passione per le moto, mi e’ stata tramandata proprio da mio nonno, che prima ha contagiato suo figlio (mio zio) e poi me. Da giovane ha avuto diverse moto, tra cui una Moto Guzzi “Galletto”. Io ricordo ancora quando nei primi anni ottanta (credo fosse il 1983), mi faceva salire sulla Honda XL 125cc di mio zio e mi portava in giro per Gambettola, il mio paese natale. Allora si girava in moto senza casco. Ricordo che sebbene a volte fosse in “canotta” o con una camicia smanicata, non si faceva MAI mancare il fazzoletto al collo (chiamarlo foulard, non sarebbe nel suo stile). Anche oggi la passione per le moto è grande in lui. Segue in maniera appassionata e critica sia i GP che la Superbike. Parlare di moto con lui è una cosa veramente spettacolare, fatta di una esperienza maturata in altri tempi, fatta di moto che oggi non esistono più. Mio nonno, da buon romagnolo, fino al 1971 (anno in cui è stata interrotta), è stato spettatore assiduo della Mototemporada Romagnola, alla quale ha fatto assistere anche a mia madre, che ancora oggi mi racconta di quando da bambina vedeva correre Giacomo Agostini e Mike Hailwood per il lungomare di Cesenatico. Tutte le domeniche, o quasi, quando mi fermo per il classico saluto ai nonni, scambio quattro chiacchere con lui e subito si parla di un motociclismo che io ho conosciuto solo tramite le riviste o su internet: le sfide tra Agostini e Pasolini; tra Agostini ed Hailwood; quelle tra Sheene e Roberts, Lucchinelli, Mamola, Lawson e Spencer. Quest’anno, quando ho comprato la moto, l’unico della famiglia che ha apprezzato da subito il mio acquisto e’ stato proprio lui.. Appena ha visto la mia Moto Guzzi V11 Sport Naked, rossa, di un rosso sfacciato, ho visto nei suoi occhi brillare la passione e la voglia di provarla. Purtroppo per alcuni guai fisici non ha potuto farlo. Non me lo ha mai chiesto, ne mai lo farà, ma sò che un giro se lo farebbe molto volentieri. Quando mi fermo a casa dei nonni e sono in moto, mio nonno parla con me, ma non stacca mai gli occhi dalla mia Guzzi. Una domenica (e qui dopo questa divagazione, mi riallaccio al discorso di Tenni), si parlava del fatto che ora caschi, tute, stivali e guanti garantiscono una ottima protezione ai motociclisti. Mi diceva appunto che era contento che insieme alla moto mi ero comprato anche tutta l’attrezzatura, in quanto la sicurezza non e’ mai troppa. Ad un certo punto del discorso mi disse: “Ades i casch i é bun.. Andé in mutour l’é mench periculous d’una volta.. Ai timp ad Tenni us cureva si casch ad pela e u’ s’amazeva un pilota tot al d’menghi!” (Adesso i caschi sono buoni.. Andare in moto è meno pericoloso di una volta.. Ai tempi di tenni i caschi erano fatti di pelle e ogni domenica si ammazzava un pilota!). Sentirsi portare ad esempio un pilota che ha corso fino al ’48.. e del quale io avevo sentito parlare solo per il fatto che c’e’ una versione della mia moto ad lui dedicata!?! Mio nonno é fantastico! “Posto” quindi questa breve biografia di Tenni e la dedico con tutto il cuore a mio nonno: Vittorio Burioli. Da lui inoltre, sempre inerente al motociclismo, ho “ereditato” il vezzo di indossare, ogni volta che esco in moto, un foulard svolazzante al collo (sia per vanità, che come porta fortuna..).
Segue breve biografia:
Tommaso Omobono Tenni (Tirano, 28 luglio 1905 – Berna, 1º luglio 1948) è stato un motociclista italiano, soprannominato: The Black Devil. Nato a Tirano (SO), si trasferì con la sua famiglia nel 1920 a Treviso. Qui iniziò un periodo di apprendistato in un negozo di motociclette. A 19 aprì l'attività in proprio e iniziò la sua carriera da motociclista. Vinse la sua prima gara a Postumia il 24 maggio 1924 con una G.D. 125cc e da questa data collezionò una serie incredibile di vittorie e record sul giro. La sua caratteristica era quella di non mollare mai, tirare sempre al massimo anche se non ne aveva la necessità; il suo obiettivo “andare sempre più forte, non gli bastava solo vincere una gara”. Entrò in Moto Guzzi nel 1933 e la sua prima gara con la Casa di Mandello fu il “Trofeo della Velocità” a Roma sul circuito Littorio con la Bicilindrica 500cc dove fece una tremenda caduta a 180 km/h; si rialzò, ma un guasto alla Moto gli impedì di ripartire. In seguito vinse tantissimo: Verona, Pesaro, Treviso, Gran Premio d’Italia, Pescara, Circuito della Maddalena, la Milano-Roma-Napoli, Berna, Taranto. La sua vittoria più importante, la ottenne però al TT dell’Isola di Man nel 1937 in sella ad una Moto Guzzi 250cc. Divenne così il primo motociclista non Inglese a vincere quella che all'epoca era la gara più famosa al Mondo. Era la seconda volta che ci provava e la Stampa Britannica lo aveva accolto con un titolo “l’Uomo che viene dalla terra dei Cesari”. Chiude il 4° giro con 29’8”, all’ultimo giro (il settimo) rompe la candela e perde tempo prezioso per cambiarla, ma nonostante tutto infligge più di mezzo minuto al secondo arrivato, S. Wood, e 4 minuti e ½ al terzo. Chiuderà in 3h 32m 6sec alla media di 74 miglia ora (poco più di 120 km/h nel 1937). Dalla radiocronaca del tempo, ci perviene questa testimonianza: “Le notizie che mi pervengono da ogni zona del circuito concordano su un solo punto: Tenni sta curvando con pazzo abbandono creando dubbi sul fatto che egli possa finire la gara in un pezzo solo”. Già nelle prove si era messo in mostra per l’estrema audacia con cui si buttava a capofitto su quel terribile e pericolosissimo circuito lungo 37 miglia da fare in 7 giri tra muretti a secco, pali, case e nebbia nella zona interna all’isola. E’ il pilota che più ha dato lustro alla casa di Mandello del Lario e la Moto Guzzi gli ha dedicato un monumento che campeggia nel suo museo oltre che una versione speciale della sua moto di serie: V11 Le Mans. Ad Omobono Tenni è intitolato anche lo stadio di calcio di Treviso. Dopo la pausa della Seconda Guerra Mondiale riprese nel 1945 con numerose vittorie in Italia ed in Europa. Si fece notare anche nelle corse automobilistiche ma poi ritornò subito alla motocicletta. Era un uomo timido, riservato e tranquillo che si trasformava in una vera furia quando era alla guida di una moto. Di poche parole, quando vinceva una gara scriveva un semplice e breve telegramma a casa “Arrivato Primo: baci Tenni”. Era solito dire “mi ritirerò solo quando avrò trovato uno più veloce di me”. Ma non andò così e il 1° luglio del 1948 morì in prova al Gran Premio di Berna, nella stessa curva dove alcune ore dopo muore Achille Varzi, altro indimenticabile campione delle quattro ruote. Senza voler dimenticare o sminuire i meriti di tanti altri grandi piloti che l'Italia ha avuto, Tenni, per le condizioni in cui si svolgevano le corse all'epoca, per l'estremo coraggio e la voglia di vincere, per i grandi risultati ottenuti, è da considerare tra i più grandi, se non il più grande di tutti (spesso infatti la stampa, per esaltare le incredibili gesta di Valentino Rossi, ha definito il super campione di Tavullia , come l’erede di Omobono Tenni).
Dedicato al mio nonno materno: Vittorio Burioli.

lunedì 29 dicembre 2008

Premio Dardos

Sono orgogliosissimo di comunicare che in data 29/12/08 il Blog Cesena Bikers ha ricevuto il premio "Dardos"..











Questo premio simbolico è stato attribuito a Cesena Bikers dal blog amico FOLLERUMBA (del quale trovate il link nell'elenco dei siti preferiti).
Ringrazio Marco di tutto cuore per essere un mio lettore, per avermi tenuto in considerazione e per i complimenti che ogni volta scrive nei commenti ai miei posts. Vedere apprezzato il proprio "lavoro" fa sempre un grande piacere; spero di continuare a riscuotere i consensi che ho ottenuto fin'ora anche in futuro..

Pubblico qui di seguito il regolamento del premio "Dardos":

Questo è un premio destinato "ai blog che hanno dimostrato impegno nel trasmettere valori culturali, etici, letterari o personali."
Il regolamento del premio è il seguente:
1) accettare (ma chiaramente non si è obbligati) e comunicare il regolamento visualizzando il logo del premio.
2) linkare il blog che ti ha premiato.
3) premiare altri 15 blog meritevoli avvisandoli del premio.

Io ho segnalato a mia volta il premio "Dardos" al blog:
http://rocket-garage.blogspot.com/

Gregg Hansford






















Gregg Hansford (4 aprile 1952 - 5 marzo 1995) è un ex pilota di motociclismo e di Superturismo australiano. E’ il detentore di un particolare record in Australia: e’ l’unico pilota che sia riuscito a vincere sia su due che su quattro ruote nella competizione di Bathrurst. La sua carriera agonistica iniziò in Australia e nel 1973 a soli 21 anni divenne campione nazionale della classe 500cc e della classe Unlimited: una sorta di categoria open, dove non vi sono limitazioni legate alla cilindrata, o alla tipologia di propulsore da adottare, per le motociclette che vi partecipano. La classe Unlimited oggi si puo’ paragonare ad una antenata della Superbike. Nel 1975 e nel 1976 gareggio’ con successo nella Marlboro Serie in Nuova Zelanda. Ripetè l’avventura anche nella stagione 1977-1978, trionfando in sella ad una Kawasaki KR 750cc. Sempre nel 1977 ottenne un ottimo quarto posto nella classifica finale a Daytona, sempre in sella ad una moto di Akashi. Nel 1978 fece il grande salto di qualità, venendo ingaggiato dalla Kawasaki per disputare il mondiale nelle classi 250cc e 350cc. Il compagno di scuderia di Gregg Hansford era il fortissimo Kork Ballington (sul quale ho pubblicato un post in precedenza) e Gregg Hansford, piu’ giovane di un anno e con meno esperienza nei GP fu relegato al ruolo di seconda guida, nel Team Kawasaki. Nonostante questo Gregg Hansford mostrò immediatamente le sue capacita’, vincendo al debutto nella categoria 250cc, nel GP di Spagna. Nel 1978 Hansord, nonostante fosse un debuttante ebbe comunque una stagione strepitosa: in 250cc si piazzò secondo in classifica generale con un totale di 118 punti iridati (contro i 124 del vincitore Ballington), collezionò 4 vittorie: Spagna, Francia, Svezia e Jugoslavia. In chiave mondiale, gli risultò fatale non disputare il primo GP stagionale, con i punti ottenuti da un semplice piazzamento infatti, a fine stagione, si sarebbe potuto fregiare dell'iride. In 350cc ottenne un’altra esaltante prestazione, classificandosi terzo nel campionato, con un bottino di 76 punti iridati e ottenendo 3 vittorie: GP di Francia, Svezia e Jugoslavia. La stagione successiva lo vide, solo parzialmente ripetere le belle prestazioni del 1978: in 250cc si classificò nuovamente secondo (con un totale di 81 punti iridati) alle spalle del fortissimo compagno di squadra, ma non ottenne vittorie. L’ottima posizione in classifica finale, fu frutto della sua regolarità nei piazzamenti, ma non ebbe il guizzo necessario ad agguantare nessun successo. Nella categoria 350cc invece replicò appieno la bella prestazione del 1978 ottenendo ancora una volta il terzo posto nella classifica finale, con 77 punti totali e tre vittorie all’attivo: nei GP di Italia, Olanda e Finlandia. Nel 1980 iniziò il suo declino. La stagione in verità aveva preso una buona piega, infatti ottenne un prestigioso secondo posto nella 8 ore di Suzuka, gara importantissima per le Case nipponiche. Venne però sostituito nel Team ufficiale della Kawasaki da Anton Mang nelle categorie 250cc e 350cc. Hansford venne “promosso” nella classe regina in sella alla nuova e mai competitiva Kawasaki 500cc, con la quale non ottenne risultati di rilievo. Il 1981 doveva essere l’anno del suo ritorno ai vertici del motociclismo, ma invece segnò la fine della sue carriera su due ruote: nel GP del Belgio, sul veloce e pericoloso tracciato di Spa, ebbe un grave incidente e le terribili lesioni riportate lo costrinsero al ritiro. In carriera Hansford prese parte a 33 GP, ottenendo 10 vittorie, 25 podi complessivi, 11 pole-positions e 5 giri piu’ veloci. Terminata la carriera agonistica su due ruote, l’australiano intraprese, come altri suoi colleghi quella a quattro ruote. Ottenne dei buoni risultati nel Superturismo Australiano. Purtroppo però il destino non fu favorevole ad Hansford: nel 1995 a Phillip Island, la sua Ford Mondeo sbandò e volò fuori pista, dove si schiantò su un muro di pneumatici, che la fecero rimbalzare in pista, proprio mentre sopraggiungeva Mark Adderton. L’impatto tra le due vetture fu pauroso, tanto che in quel tratto veloce di pista, la Peugeot 405 condotta da Adderton viaggiava d oltre 200 km/h. Per Hansford non ci fu nulla da fare. Su due ruote Hansford e’ il classico esempio del pilota che avrebbe potuto vincere almeno un titolo iridato, anche in virtù della competitività del mezzo meccanico di cui disponeva, ma che, purtroppo per lui, capitò in quel team nel momento sbagliato. In sella alle stesse moto di cui disponeva, Kork Ballington e Anton Mang fecero il bello e il cattivo tempo tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta. Di lui ci resta il ricordo di un pilota spettacolare e sempre pronto alla bagarre, che ha saputo infiammare il pubblico con le sue belle prestazioni.

domenica 28 dicembre 2008

Wil Hartog




































Nel filmato: le fasi finali della prima vittoria di Wil Hartog in Olanda, ad Assen nel 1977
Nelle foto (partendo dal basso):
1) Wil Hartog in sella alla Suzuki TR 750cc
2) Wil Hartog in sella alla Suzuki 500cc del Team HERON nel 1978
3) Wil Hartog in sella alla Suzuki 500cc del Team HERON nel 1979
4-5-6) Wil Hartog in sella alla Suzuki 500cc nel 1980
7) Wil Hartog in sella alla Suzuki 500cc nel 1981
Segue breve biografia:
Wil Hartog (nato il 28 maggio 1948 a Abbekerk, Paesi Bassi) è un ex pilota di motociclismo olandese. Venne scoperto da Ton Riemersa, che poi rimase suo manager per tutta la sua carriera di motociclista, che nei GP si e’ svolta sempre nella classe regina, dove ha corso dal 1973 al 1981. La sua carriera agonistica ebbe inizio nel 1967, quando in sella ad una Suzuki T 250cc prese il via a diverse competizioni nazionali di carattere minore. Anche nel 1968 Wil Hartog decise di accumulare ulteriore esperienza in pista, restando dentro ai confini nazionali. Il salto di qualità lo fece nel 1969 quando divenne campione nazionale delle 250cc. Il pilota si dimostrò da subito molto eclettico, riuscendo a gareggiare in tutte le cilindrate e facendo suoi: un secondo titolo olandese delle 250cc e uno delle 125cc. Pilota molto alto, rispetto allo standard, con i suoi 183 cm di altezza, veniva considerato svantaggiato rispetto ai suoi rivali, sia dal punto di vista del peso che da quello aerodinamico. Se in ambito nazionale risultò vincente nelle piccole cilindrate, fu da subito ovvio che nel mondiale GP, per essere competitivo, doveva cimentarsi nelle grosse. Con la sua tecnica di guida Wil Hartog riuscì comunque ad ottenere degli ottimi risultati, conquistando in carriera 5 vittorie, 12 podi complessivi e facendo registrare 2 volte il giro piu’ veloce in gara. Ha sempre gareggiato con la tuta di colore bianco, il che, unito alla sua altezza, ha fatto si che Barry Sheene prima e tutto il paddock poi, lo chiamasse: the white giant (il gigante bianco). Altro soprannome che gli venne “assegnato” fu Wil “Coyote” Hartog, in onore del veloce e simpatico personaggio inventato dalla W.B. Dal 1973 al 1976 si limitò a prendere parte al Dutch TT (o GP di Assen), come wild card ottenendo buoni piazzamenti, sino a che nel 1976, agguantando il terzo posto in classifica, ottenne il primo podio della sua carriera. Dal 1973 al 1975 gareggiò in sella ad una Yamaha, l’anno successivo passò alla Suzuki. Nel 1977, Hartog divenne il primo olandese a vincere il GP di casa. Questa vittoria unita alle belle prestazioni raggiunte quell’anno, gli fecero ottenere l’appoggio della Suzuki, che gli fornì una moto simile a quella condotta in gara da Barry Sheene (di cui era compagno di squadra e fedele scudiero). Sempre in quella stagione tentò anche l’avventura, in sella ad una Suzuki 750cc nella 200 Miglia di Daytona. La sua stagione migliore fu quella del 1978. Partì non benissimo, ma a meta’ stagione eredito’ la moto ufficiale dello sfortunatissimo Pat Hennen (infortunatosi in maniera gravissima al TT dell’Isola di Man) e infilò subito una serie di risultati positivi. Vinse in Belgio (a SPA) e in Finlandia, sul pericolosissimo tracciato stradale di Imatra. Chiuse la stagione con un ottimo quarto posto nella classifica finale, alle spalle di Kenny Roberts, Barry Sheene e Johnny Cecotto. Il 1979 lo vide ancora quarto nella classifica finale del mondiale. In quell’anno vinse il GP della Germania Ovest, sul velocissimo anello di Hockenheim e riuscì a conquistare un complessivo di ben 5 podi. Nel 1980 Wil Hartog ottenne il suo ultimo successo nei GP, chiudendo solo due volte sul podio e terminando la stagione con il sesto posto assoluto nella classifica iridata. Il 1981 fu un anno avaro di soddisfazioni, con un solo nono posto all’attivo, il pilota olandese, a fine stagione, decise di chiudere la sua carriera nei GP. Hartog ha ottenuto il KNMV che e’ la massima onorificenza concessa in Olanda ad uno sportivo. Tra gli appassionati e’ opinione diffusa che nelle annate 1977, 1978 e 1979 Wil Hartog aveva le carte in regola per fregiarsi di un titolo iridato. La “sfortuna” ha voluto che le sue annate migliori hanno coinciso con quelle altrettanto positive di due fenomeni come Barry Sheene e Kenny Roberts. Wil Hartog inoltre firmò un contratto con la Suzuki che lo relegava chiaramente al ruolo di seconda guida di Barry Sheene (il Team Suzuki HERON era inglese, ed e’ ovvio che il ruolo di prima guida fosse di diritto del due volte iridato di nazionalità britannica). Restano però indiscusse le ottime prestazioni fatte registrare dal simpatico e veloce pilota olandese, nonché il fatto che Wil Hartog è risultato da sempre il più valido pretendente al titolo della massima cilindrata, proveniente dai Paesi Bassi.

giovedì 25 dicembre 2008

Alberto Pagani















Alberto Pagani é nato a Milano il 29 agosto del 1938, e risiede a Schiranna (Varese) con la moglie Gitty, di origine tedesca, e con la figlia Nadia, nata nel 1965 (per curiosità va segnalato che la sorella di Gitty è moglie di un altro celebre corridore motociclista: il neozelandese Frank Perris). E' il figlio primogenito del grande pilota Nello Pagani. Ha intrapreso la carriera da motociclista professionista nel 1956, diciott’anni, gareggiando in circuito nella categoria juniores con le MV 125 ufficiali, grazie all’intervento del padre, che a quei tempi era direttore sportivo della Casa. Se gli inizi furono facilitati, dopo che la MV lasciò questo settore Alberto Pagani si adattò a fare la gavetta con una Ducati 125 monoalbero, con la quale disputò delle buone corse in Italia e si spinse ben presto all’estero per fare in fretta quell’esperienza indispensabile per divenire un campione di fama internazionale. Nel 1960 lo troviamo già al Tourist Trophy dell'Isola di Man dove corre nella classe 125 con una MV prestatagli dall’amico Webster (in sella alla quale coglie il dodicesimo posto nella classifica di categoria) e nelle classi 350cc e 500cc (trentunesimo e ventinovesimo) con le Norton Manx del preparatore Lacey. Quello stesso anno porta al debutto a Stoccarda anche la Aermacchi 250cc, ma senza fortuna. Va comunque dato ad Alberto Pagani il merito di aver convinto la Casa varesina a tentare la via dei gran premi, pilotando la 175cc e battendo così per primo una strada che avrebbe in seguito portato la Aermacchi a produrre in serie le sue 250cc e 350cc ad aste e bilancieri per corridori privati oltre che a partecipare ufficialmente alle gare (sulla Aermacchi HD ho pubblicato un post in precedenza). Nel ‘61 con la Aermacchi 175cc, Alberto Pagani coglie la sua prima importante vittoria nella combattutissima gara per le moto sport a Monza. Sempre con la Aermacchi coglierà altri due successi importanti successi in una gara prestigiosa come la Sei Ore di Monza. Nel ‘64 è vincente in coppia con Visenzi e nel ‘65, si ripete in coppia con Mandolini. Con le Aermacchi 250cc e 350cc Alberto corre dovunque all’estero, anche in prove di campionato mondiale, e nel ‘62 lo troviamo ben piazzato in alcune importanti gare fra cui il TT, (dove è quinto nella 250cc). Nel ‘62 la Honda gli affida per il G. P. delle Nazioni a Monza una 125cc e una 250cc quattro cilindri che Alberto porta brillantemente al terzo posto dopo Redman (Honda) e Provini (Morini); con la 125cc è quinto. Nel ‘63 è anche alla guida delle Kreidler 50cc ufficiali, con le quali, insieme ad altri buoni piazzamenti, è terzo al G.P. d’Argentina, in un campionato dominato dalle Suzuki. Nel ‘64 corre con la Paton 250cc con la quale, oltre al notevole terzo posto al Tourist Trophy di cui si è già detto, si piazza quinto al Sachsenring. Nel ‘65 una brutta caduta al G.P. delle Nazioni a Monza lo immobilizza per qualche tempo. Nel ‘66 vanno ricordati i bei terzi posti ottenuti a Monza con le Aermacchi 250cc e 350cc e a Fisco, in Giappone, con la 350cc. Nel ‘67 altri buoni risultati con la Aermacchi 350cc: quarto a Hockenheim, quarto al Tourist Trophy, quinto a Brno e quarto a Monza. Nel ‘68 corre con la Linto 500cc (una bicilindrica realizzata dal progettista Lino Tonti in collaborazione col V. Premoli, costituita da due motori Aermacchi 250 accoppiati). Con questa macchina Alberto Pagani è secondo al Sachsenring dopo Agostini e quarto a Monza. Meglio ancora gli riuscirà di fare nel ‘69 perchè porterà alla vittoria la Linto nel Gran Premio delle Nazioni a Imola (assenti Agostini e la MV per polemica sul cambiamento di sede Monza-Imola), conquistando il suo primo successo in un gran premio. Anche nel ‘70, con la stessa macchina, fanno spicco i terzi posti al Gran Premio di Francia a Le Mans, ad Assen e a Imatra. Nel ‘71 e nel ‘72 viene finalmente ingaggiato dalla MV (orfana di Angelo Bergamonti) che in caso di defaillance della macchina di Agostini, sente il bisogno di un secondo pilota, ligio però alle disposizioni e non battagliero come lo era stato il "Berga" (di cui ho pubblicato un post in precedenza). In questi due anni Alberto Pagani raccoglie alcune soddisfazioni di rilievo con la vittoria a Monza nel 71, classe 500, mentre nel ‘72, sempre nella 500, spiccano i secondi posti del Nurburgring, di Imola, del Tourist Trophy, di Assen, del Belgio, di Imatra, e la vittoria al G.P. di Jugoslavia. Alberto Pagani finisce secondo nella graduatoria mondiale e in quella di campionato italiano, ed è con questi brillanti risultati che chiude la sua intensa e proficua carriera.
Alberto Pagani, era un bel ragazzo intelligente, signorile e spigliato nel modo di fare, perfettamente padrone dell’inglese e del saper vivere internazionale. E' stato dunque uno dei migliori piloti italiani degli Anni Sessanta, ma pur avendo ottenuto importanti affermazioni anche in gare di campionato mondiale, per un insieme di circostanze non ha raggiunto i più elevati traguardi. D’altro canto, in cuor suo, è probabile che non mirasse neppure così in alto, conscio della realtà degli eventi che gli impedivano, quando non disponeva delle moto competitive, di sognare affermazioni impossibili e peraltro, quando con la MV tre cilindri ebbe il mezzo all’altezza, il suo ruolo di gregario di Agostini gli impedì impennate fuori luogo. Per queste potenti ma impegnative motociclette, Alberto Pagani non aveva forse neppure la necessaria esuberanza fisica, tanto che dolori ai polsi nei circuiti più tormentati (come Ospedaletti) lo misero talvolta in difficoltà. Alberto Pagani non vanta dunque titoli mondiali o italiani, ma la vittoria in alcune gare di campionato mondiale con Linto ed MV, alcune vittorie internazionali in varie cilindrate, eccellenti prestazioni tra cui fa spicco un terzo posto ottenuto al Tourist Trophy dell'Isola di Man con la Paton 250 nel ‘64 e un secondo con la MV 500 nel ‘72. Atri importanti traguardi furono la conquista di alcuni record mondiali con la Moto Guzzi nel ‘69. A conclusione della sua carriera, nel 1972, era tra i piloti che potevano vantare una delle più complete esperienze, avendo corso in ogni parte del mondo, compresi Sudamerica e Giappone, e in tutte le cilindrate, compresa la classe 50cc nella quale portò in corsa, in forma ufficiale le tedesche Kreidler. Una carriera pertanto invidiabile (costellata anche da alcuni incidenti, nessuno dei quali veramente grave) che ancor giovane, ad attività conclusa, gli ha consentito di godere di una ben meritata reputazione di serietà e competenza messa a frutto come direttore sportivo di importanti team, dopo essere stato, per lungo tempo, collaudatore di prototipi prima alla Aermacchi, quindi alla MV Agusta: un lavoro faticoso e certamente più modesto di altri incarichi a livelli superiori cui avrebbe potuto assurgere facilmente, ma cui ha rinunciato per il piacere di avere sempre una motocicletta a portata di mano. Ai tempi in cui correva era famosa la sua stima per il grande Mike Hailwood. Alberto, in onore del fuoriclasse inglese, adotto' un casco con la medesima grafica, ma a colori invertiti, per rispetto a quello che ha sempre considerato come il piu' grande di tutti i tempi.

martedì 23 dicembre 2008

Il Tourist Trophy dell'Isola di Man























Con questo post sono arrivato a 100! Sinceramente mi sembra un bel traguardo.. Ho iniziato con questo blog, un po' per gioco ma poi mi sono appassionato veramente nello scrivere "articoli" su piloti, moto e avvenimenti legati al mondo del motociclismo.. Ho iniziato questo blog parlando del TT, con i tre filmati dell'on-board camera di un giro completo del circuito dell'Isola (percorso insieme all'indimenticabile Steve Hislop), per cui, mi sembra doveroso, arrivati a quota 100, scrivere un articolo che ci aiuti a capire un po' meglio che tipo di gara si corre ogni anno a inizio giugno, su quella minuscola isola a largo delle coste di Liverpool e soprattutto perche' quella gara da oltre 100 anni, nonostante la sua terribile pericolosita', appassiona migliaia di motocilcisti, che la considerano il massimo evento sportivo al mondo..
L’ isola di Man, dove, fin dal lontano 1907, si svolge il Tourist Trophy, è anche nota come l’isola delle streghe. Qui, infatti, secondo le credenze popolari, si svolgevano i sabba infernali e tuttoggi c’è chi giura che, nelle notti di burrasca, è possibile intravedere, nella fitta coltre di nebbia che avvolge ogni cosa, rosseggiare arcani fuochi e udire voci che si rincorrono nel nulla. Qui, nell’isola di Man, nel lontano 1907, venne creata la pista del Tourist Trophy, senza dubbio la più antica e famosa corsa di moto del mondo. Il TT è sempre stato ed è qualche cosa di unico e irripetibile. I suoi sessanta infernali chilometri sono stati e sono una sfida per chi ama l’ebrezza del rischio. Il tributo di sangue pagato a tuttoggi è altissimo e destinato ulteriormente a salire, eppure vincere il TT, anche se dal 1977 non è più prova mondiale, resta, soprattutto per i piloti inglesi, il sogno più ambito. Tutto cominciò il 17 gennaio 1906, in un club di Londra, durante la cena annuale dell’Auto Cycle Club, quando, dopo i brindisi di rito, furono gettate le basi per organizzare la prima gara internazionale per motociclette da disputarsi sulle strade dell’isola di Man. La scelta del luogo era una logica conseguenza delle leggi inglesi, che imponevano limiti di velocità inferiori ai 33 km/ora per i veicoli a motore e vietavano la chiusura delle strade per scopi agonistici. L’antica Elan Vannin, meglio nota come l’isola di Man, aveva invece mantenuto la propria fiera indipendenza dal governo centrale e sulle sue strade, temporaneamente chiuse al traffico, già si disputavano gare automobilistiche a livello internazionale, tra queste il Tourist Trophy, e appunto Tourist Trophy venne chiamata la neonata competizione motociclistica. Se sulla scelta del luogo non vi furono problemi, ben diverso fu il discorso quando si trattò di stendere un abbozzo di regolamento per la gara. All’inizio del secolo, le corse motociclistiche erano si una realtà, ma non erano state ancora ben definite le regole del gioco. La moto nasceva come logica evoluzione della bicicletta e pertanto si pensò, in un primo tempo, di utilizzare le piste di legno dei velodromi. Ben presto, però, si capi che quelle “ strane” biciclette a motore avevano bisogno di ben altri terreni di gara su cui cimentarsi. L’impiego delle strade aperte al traffico si dimostrò un vero disastro, sia a causa del rischio sempre presente di possibili incidenti, sia delle indubbie difficoltà logistiche e di organizzazione della gara, facili da immaginare, soprattutto considerando le difficoltà di comunicare, di controllare gli spettatori e le caratteristiche tecniche delle motociclette dell’epoca. Ad esempio, il carburante per i motori, che funzionavano a etere di petrolio, si acquistava in drogheria e, ovviamente, il pilota non sapeva mai con certezza che cosa gli veniva venduto. In molti casi si trattava di una mistura non meglio identificabile, che poteva al massimo far funzionare una lanterna, ma non certo un motore. Per risolvere il problema, si pensò quindi di chiudere al traffico alcuni tratti di strada in modo da formare un circuito più o meno circolare, dove poter fornire un minimo di assistenza tecnica e logistica ai pionieri della moto. Tornando al primo TT, si pensò di usare il regolamento del Tourist Trophy automobilistico, opportunamente modificato per le competizioni motociclistiche.Si decise, quindi, di riservare la gara, in programma nell’estate del 1907, alle sole moto da turismo. Qui, però, sorse un problema. Mentre infatti era facile identificare un’auto, era difficile dare una definizione precisa di quelle che dovevano essere le caratteristiche di una moto da turismo. Alla fine, si stabilì che, per essere tale, un modello da turismo doveva avere: la marmitta di scarico dotata di silenziatore, una sella degna di questo nome ed essere dotata di... una borsa per gli attrezzi! Le moto erano suddivise in due classi: monocilindriche e bicilindriche. Come per le auto, erano imposti dei limiti di consumo. Le prime dovevano consumare non più di un litro per 32 km e le seconde per 27 km. Tali restrizioni avevano lo scopo di sottolineare il carattere turistico della competizione. Non vi era, invece, alcun limite per quanto riguardava la meccanica, la cilindrata e il peso. Ritenendo che le moto dell’epoca non fossero in grado di portare a termine il lungo e massacrante percorso della gara automobilistica (che si svolgeva in parte sulle impervie strade del monte Snaefell), si scelse un tracciato più breve e più facile, che iniziava e terminava a St. Johns, passando per Valacraine e Kirk Michael, formando una sorta di triangolo di 25.446 metri. Per onor di cronaca, il primo TT fu vinto da Charlie Collier, in sella a una Matchless con motore JAP monocilindrico. A Collier vennero consegnati, oltre alle 25 sterline di premio, il trofeo Tourist, una statuetta di bronzo rappresentante Mercurio in posa su una ruota alata (trofeo che viene ancora oggi assegnato al vincitore del Senior Tourist Trophy). La gara delle bicilindriche fu invece vinta da Rembrandt Fowler, alla guida di una Norton equipaggiata con motore Peugeot. Il Tourist Trophy, come abbiamo visto, rispondeva perfettamente all’immagine di trofeo mototuristico che gli avevano voluto dare i suoi ideatori. In pratica, si trattava di una gara contro il tempo, dove i concorrenti erano più impegnati a portare a termine la prova, che non a confrontarsi direttamente tra di loro. Del resto, i piloti partivano a scaglioni e la maggiore difficoltà era appunto si rappresentata dal riuscire a portare a termine la competizione, un’impresa dire il vero, non facile, visto il potenziale tecnico dell’epoca e le strade sterrate, strette, polverose o fangose dell’isola di Man. Tuttavia, nonostante le proibitive condizioni del tracciato, le medie sul giro salivano di anno in anno e Harry Collier, fratello di Charlie, il primo vincitore, portava nel 1909, la media a 78,781 km/ora contro i 61,507 km/ora fatti registrare nella prima edizione. Nello stesso anno, venivano abolite le restrizioni sui consumi di carburante la suddivisione di classe tra bicilindriche e monocilindriche e, in compenso,divenne obbligatorio il cambio a pedale. Occorre tuttavia attendere il 1911 prima che il TT cambi fisionomia, perdendo il suo aspetto turistico, per assumere quello di gara di velocità ai massimi livelli. Fu, infatti, in quell’anno che venne abbandonato il “piccolo” St. Johns, per il “Mountain”, che fino ad allora era stato riservato alle sole competizioni automobilistiche. Le classi venivano suddivise in Senior (500 cc) e Junior (350 cc). Sul nuovo impervio tracciato, in parte sulle strade intorno al monte Snaefell, si affermavano a sorpresa le americane Indian, che, nella classe regina, conquistavano le prime tre posizioni. Nel 1913, per movimentare la gara, si decideva di far svolgere la competizione in due giornate. Il primo giorno le Junior compivano due giri al mattino, mentre le Senior tre giri al pomeriggio; dopodiché, i superstiti di questa prima fase eliminatoria partecipavano tutti assieme al gran finale, in programma il giorno successivo. L’esperimento non diede però i risultati sperati e fu tosto abbandonato, ritornando, nel 1914, alla vecchia formula. Mentre però Pullin tagliava, con la Rudge, vittorioso il traguardo della mezzo litro, lontano già tuonavano i cannoni, tragico preludio ai quattro lunghi anni della Prima Guerra Mondiale. Si tornò a correre sull’isola di Man nel 1920, su un circuito in parte modificato, che portava lo sviluppo dell’intero tracciato a 60,723 chilometri, con la bellezza di 256 curve. Nel 1922, anno in cui il Tourist Trophy automobilistico venne definitivamente abolito, per l’eccessiva pericolosità del tracciato, Bennett, sulla Sumbeam, girò a oltre 90 km/ora di media, per l’esattezza 93,838 km/ora. Il primo giro a 60 miglia all’ora venne fatto registrare, nel 1924, da Jimmy Simpson, in sella a una AJS 350cc. Lo stesso Simpson portava il record, nel 1926, a 70 miglia all’ora (112,651 km/ ora) e riusciva ulteriormente a migliorarlo, con la Norton, nel 1931, portandolo a oltre 80 miglia all’ora (circa 130 km/ora). In questo turbinio di record, il Tourist Trophy acquisiva popolarità e fama anche al di fuori dei confini inglesi. Il suo infido, pericoloso tracciato era un richiamo irresistibile per i piloti e le Case motociclistiche di mezzo mondo, che lo consideravano ormai come la più qualificante prova motociclistica dell’epoca. Anche fabbriche e piloti italiani tentarono l’avventura: tra questi ricordiamo, nel 1924, il futuro campione automobilistico Achille Varzi, che, alla guida di una Dot, partecipò alla junior TT, non riuscendo però a portare a termine la massacrante maratona. Per nulla scoraggiato, Varzi ci riprovava l’anno successivo, questa volta in sella a una Sumbeam 350cc, ma era ancora un nulla di fatto; nel 1926, però, passato nella classe Senior, con la Sumbeam 500, otteneva un sofferto, quanto meritato ottavo posto, risultando il primo italiano della storia ad avere concluso il terribile Tourist Trophy. Da sottolineare, in questa edizione, la generosa, quanto inutile, prova di Pietro Ghersi, che, in sella alla Guzzi 250cc, giungeva secondo nella classe Lightweight (250cc), ma veniva squalificato per aver usato una candela di accensione di tipo diverso da quello dichiarato alla punzonatura. Le Case motociclistiche italiane guardavano con sempre maggiore interesse alla ormai classica competizione inglese: non a caso, nell’edizione del 1926, oltre all Guzzi erano presenti la Bianchi, con Luigi Arcangeli, Miro Maffei e Mari Ghersi, e la Garelli, con Erminio Visioli. Per nulla scoraggiati dai modesti risultati ottenuti al debutto, Case e piloti italiani tornavano a presentarsi a via del TT negli anni successivi. Per assistere a un gran trionfo occorre pero' attendere sino al 1935, quando la Moto Guzzi impegnava tutte le sue migliori forze, in uomini e macchine, per strappare l’ambito trofeo. Teste di serie della Casa di Mandello, nel confronto diretto con le plurivittoriose Case inglesi, erano Omobono Tenni e l’asso irlandese Stanley Woods. Sarà quest’ultimo a portare al successo le aquile di Mandello, sia nella 250cc che nella 500cc, e in quest’ultima classe sarà protagonista di un’entusiasmante lotta al coltello con il super campione dell’epoca Jimmy Guthrie, in sella alla Norton. Sarà sempre grazie a una Guzzi che un pilota italiano, Omobono Tenni, riuscirà a salire, nel 1937, sul podio più alto del TT nella classe 250cc. In quella stessa edizione, l’inglese Freddie Frith, vincitore con la Norton del Senior TT, farà registrare il giro più veloce, a oltre 90 miglia all’ora (144,837 km/ora). Il Terzo Reich voleva far sentire la sua potenza anche nelle corse: nel 1938, la supremazia delle moto e dei piloti tedeschi veniva sancita da Kluge, con la DKW, nella 250cc, e, l’anno successivo, dal sergente della Wehrmacht Georg Meier, che, in sella alla BMW sovralimentata si aggiudicava il prestigioso Senior TT. Ancora una volta il rombo dei cannoni copriva quello delle motociclette e, mentre Meier abbandonava la BMW sovralimentata per il sidecar R 75 delle Panzer Divisionen, sul TT calava il sipario. Quando il Tourist Trophy poté riaprire i battenti, nel 1947, l’industria motociclistica europea era stata spazzata via dalla guerra e ciò che ne rimaneva tentava faticosamente di riconquistare il tempo perduto. Non c’è, quindi, da meravigliarsi se la prima edizione del TT postbellica si svolse sotto tono. Inoltre, per necessità contingenti, fu proibita la sovralimentazione e fu reso obbligatorio l’uso della benzina comune, in vendita nei normali distributori, una miscela dalle dubbie caratteristiche, che a mala pena riusciva a raggiungere gli 80 ottani. Nonostante ciò, le medie sul giro si mantennero su valori estremamente elevati. Il parco dei partecipanti fu ampliato con l’inserimento nel programma di gare per moto di serie, suddivise in tre classi: 250cc, 350cc e 500cc. Sempre per creare nuovi motivi di interesse, venne ripristinata, nel 1948, la par tenza di massa e, nel 1951, entrarono in campo le Ultra-Lightweight (125cc). Nel frattempo, nasceva il Campionato del Mondo di velocità e il TT entrava a far parte del carosello delle prove iridate. Erano gli anni d’oro dell’industria motociclistica italiana, che dominava il mercato e si imponeva nelle corse. Per ben sei anni consecutivi, dal 1955 al 1960, tutte le classi del TT venivano conquistate dagli squadroni italiani, Gilera, MV, Guzzi e Mondial, tra le cui file militavano campioni del calibro di Duke, Hartle, Hocking, Kavanaeh, Mclntyre, Lomas, Provini, Surtees e Ubbiali. Il TT faceva paura, ma esaltava lo spirito combattivo dei principi della velocità e del rischio, molti dei quali, non dimentichiamolo, erano stati piloti da caccia durante il secondo conflitto mondiate. Certo, quel tragico 12 giugno del 1953, Leslie Graham, primo campione del mondo della storia del motomondiale, provava gettandosi a capofitto con la MV giù dalla discesa di Bray Hill, la stessa ebrezza di tuffarsi in picchiata con il suo Spitfire sul nemico. Al termine del discesone, c’è una brusca ripresa di quota, dove le sospensioni delle moto dell’epoca andavano completamente a fondo corsa. Qualche cosa non funzionò in quelle della MV e la picchiata del bravo Leslie terminò tragicamente contro un muro. Molti altri piloti vissero l’ultimo esaltante giorno della loro vita sui terribili sessanta chilometri del “Mountain” ed altri ancora diedero l’addio alle corse, a causa delle gravi ferite riportate.
Nonostante ciò, non furono pochi quelli che, pur avendo visto la “morte” da vicino, tornarono a sfidare il mostruoso TT. Il rhodesiano Ray Amm, vincitore per ben due anni consecutivi del Senior TT (1953-1954) soleva dire: “Se nell’entrare in curva non provo per un attimo la raggelante sensazione di non stare dentro vuol dire che l’ho presa troppo piano... Rischio e morte fanno parte del “gioco”. Sia dall’una che dall’altra parte della barricata, poco o nulla si fa per migliorare la gara sotto il profilo della sicurezza, semmai si cerca di studiare nuove formule, per rendere le competizioni ancora più emozionanti e, viste il senno di poi, più pericolose. Nel 1959, ad esempio, i concorrenti venivano selezionati in base alle loro capacítà e in base al tempi fatti segnare nelle prove, durante i giorni precedenti alla gara. I primi cinque prescelti si contendevano, a sorte, l’onore e il vantaggio di partire in testa, mentre il resto del gruppo seguiva singolarrrìente, nell’ordine designato dal tempi in prova, a intervalli di dieci secondi. La lotta per le posizioni di testa si accendeva dunque fin dalle prime battute, con emozionanti bagarre tra i cinque campioni, curva dopo curva, per tutto il lunghissimo perimetro del tracciato. Nel frattempo, l’evoluzione tecnica portava sulle strade del terribile “Mounitain” moto sempre più potenti e veloci. Nel 1960, Derek Minter polverizzava, con la Honda, il record della pista, girando a una media di oltre 160 km/ora. In quello stesso anno, Mike Hailwood conquistava il meritato titolo di re del TT, aggiudicandosi tre delle quattro classi in programma: la 500 con la Norton, la 250 e la 125 con le Honda, un record, questo, che Mike “the bike” riuscì a uguagliare nella edizione del 1967, vincendo, con le Honda, le tre classi più prestigiose:250, 350 e 500.Va ricordato, inoltre, che, sempre Hailwood, vinse ininterrottamente il Senior TT per ben sei anni consecutivi (1961-1967), prima con la Norton, poi con la Honda e infine con la MV. Da sottolineare, a questo proposito, che la Casa di Cascina Costa ha totalizzato un impressionante numero di vittorie nel TT: ben 34, a pari punti con la Norton, contro le 18 della Honda e le 1 1 della Moto Guzzi, questo, beninteso, nell’arco che va dal 1907 al 1976, anno in cui il TT cessò di essere prova del motomondiale. Ritiratasi la Honda, il TT, come del resto l’intero Campionato del Mondo della classe 500, finiva saldamente nelle mani della MV e di Giacomo Agostini, che si aggiudicavano, per ben cinque anni consecutivi (1968-1972), la mezzo litro e, fatta eccezione per l’edizione del 1971, anche la 350. Lo stesso Ago, per citare una sua affermazione che da l'idea di quanto sia pericoloso e difficile il TT, disse: "Per vincere al Tourist Trophy occorre fare le curve lente piano e le curve veloci forte". Se da una parte il TT esaltava per i valori tecnici e umani in campo, dall’altra sempre più spaventava per l’impressionante serie di incidenti mortali che costellavano la sua carriera iridata. Novantanovesima vittima del mostruoso “Mountain” era, nel giugno del 1972, Gilberto Parlotti. Pioveva quel giorno sull’isola, e Gilberto era impegnato con la Morliidelli a conquistare preziosi punti nel mondiale delle ottavo di litro, un mondiale che lo vedeva finalmente protagonista in sella a una moto vincente, dopo anni di dura gavetta. Il 1972 doveva e poteva essere il suo anno; aveva già vinto le prime due prove iridate, correndo alla disperata su altre due piste infernali del motomondiale, il tetro Núrburgring e il tortuoso Clermont-Ferrand. Anche allora aveva forse rischiato più del dovuto, per dimostrare di avere, nonostante gli anni, la stoffa del grande campione; ma l’insidioso TT gli sbagli non li perdona: affrontare il tratto di Verandah a oltre 160 km/ora con il fondo sconnesso e bagnato è pura follia; un palo di cemento metteva tristemente fine ai sogni di gloria del grande Gilberto. Il TT appariva ormai, a tutti gli effetti, inadatto a ospitare le prove del motomondiale. Nonostante ciò, la potente federazione motociclistica inglese riusciva a ottenere, per ben altri tre anni consecutivi, il nullaosta dalla Federazione Motociclistica Internazionale perché la gara facesse parte del carosello iridato. Non siamo però più ai tempi degli spericolati Graham e Amm, quando il rischio era l’elemento principale del gioco: i piloti ufficiali degli anni Settanta sono dei professionisti, forse meno romantici, ma certo più consci delle proprie possibilità e del pericolo che possono rappresentare circuiti come il Tourist Trophy. Scontato, quindi, che i numeri uno della velocità decidano di disertare in massa il TT, che si trasforma, nei tre anni in cui resta ancora in calendario come prova iridata, in una competizione tutta inglese tra spericolati piloti privati. Non mancano purtroppo gli incidenti mortali: nell’edizione del 1975, Phil Gurner finisce contro un muro in località Miltown, mentre, l’anno successivo, il TT si conclude con il tragico bilancio di due morti e un impressionante numero di feriti. Anche la FIM decide che è finalmente tempo di fermare questo inutile massacro e l’Inghilterra viene obbligata a scegliersi una nuova sede per la prova iridata. Questa decisione, però, non fa certo desistere gli organizzatori della classica inglese che, per riattizzare il sacro fuoco, escogitano formule di ogni genere. Nel 1977, vengono istituite le Formule Uno, Due e Tre per moto derivate dalla serie. Gloriosa l’edizione del 1978, quando il grande asso Mike Hailwood, ormai quarantenne, fa la sua comparsa in sella a una Ducati e conquista il TT Formula Uno girando a una media di 174,625 km/ora. Mike “the bike” si ripete l’anno successivo, questa volta in sella a una Suzuki 500 del team Heron, con la quale vince la classe Senior, classificandosi inoltre secondo, con la stessa moto, nella gara mista tra due e quattro tempi, da 250 a 1000 cc.
Il Tourist Trophy si corre, solitamente la prima settimana di giugno, sul circuito stradale dello Snaefell Mountain Course, circuito di 60,720 km (37,73 miglia) sull'isola di Man. Tremendamente pericolosa quanto affascinante, dall'anno della sua prima edizione (1907) ha mietuto molte vittime tra i piloti che ne prendevano parte, colpa di una lunghezza di 60,7 km da percorrere tra case, muretti, pali della luce e differenti condizioni climatiche, il tutto da ripetersi per ben sei volte. La gara richiamò anche sempre più l'interesse dei costruttori e, ad esempio, la Honda scelse l'Isola di Man per il debutto delle sue motociclette da corsa in Europa con la presunzione che una moto vincente al Tourist Trophy lo sarebbe stata su qualsiasi altro circuito. Il pilota più vittorioso sul circuito è Joey Dunlop, pilota britannico scomparso nel 2000 che è riuscito a conquistare ben 26 successi, seguito da un'altra leggenda del motociclismo mondiale, Mike Hailwood, con 14. Sull'Isola di Man il TT viene vissuto come un rito, e come tale vive di cerimoniali e storie antiche. Tra le storie da ricordare c'è quella legata al tabellone segnatempi, un lunghissimo casellario di legno posto sul rettilineo del traguardo, che fin dal 1907 viene aggiornato con i tempi dei piloti dai giovani boy-scout dell'isola di Man; oppure quella che vede protagonista Gwen Crellin, soprannominata la Dama bianca (sulla quale ho scritto un post in precedenza).
Le categorie:
1) La Senior TT: dal 1949 al 1976 era parte del Campionato mondiale di motociclismo. Oggi la gara si svolge il venerdì ed è l'evento di chiusura della settimana di gare. La Senior TT venne disputata per la prima volta durante l'edizione del 1911 del Tourist Trophy. La moto ammesse alla competizione potevano essere sia dotate di motore monocilindrico dalla cilindrata massima di 500cc che bicilindrico, in questo caso la cilindrata massima era di 585 cc. La gara del 1911 fu vinta da Oliver C. Godfrey su Indian che percorse i 5 giri sui quali si articolava la competizione alla velocità media di 76,65 km/h (47,63 miglia orarie). La gara si svolse sull'allora nuovo tracciato dello Snaefell Mountain Course, il famoso e temuto Circuito della Montagna ancora oggi utilizzato. L'anno successivo vennero modificate le regole di partecipazione limitando la cilindrata delle moto ammesse a 500 cc, limite che rimase in vigore fino al 1984. Attualmente (2007) la cilindrata massima è stata portata a non oltre 1.000 cc. Nel tempo però ci sono state diverse variazioni. Nel biennio 1985-1986 erano ammesse moto di 1.000 cc. La cilindrata fu poi portata a 1.300 cc nel 1987-1989. Tra il 1990 e il 1998 potevano partecipare a questa gara moto dotate di motori con cilindrata massima di 750 cc. Al giorno d'oggi possono partecipare alla Senior TT moto che siano in regola con la normativa del campionato del mondo o del campionato britannico della Superbike nella categoria TT Superbike. Possono partecipare inoltre: motociclette dotate di motore a 3 o 4 cilindri quattro tempi con cilindrata compresa tra 750 e 1.000 cc; motociclette dotate di motore bicilindrico quattro tempi con cilindrata compresa tra 800 e 1.000 cc; supersport Junior TT (senza limitazione pneumatici); superstock TT (senza limitazione pneumatici); altri mezzi (ammessi a discrezione degli organizzatori). L'attuale record sul giro è stato stabilito durante l'edizione 2007 del Tourist Trophy da John McGuinness con il tempo di 17'21"99 alla media di 209,778 km/h (130.354 miglia orarie).
2) La TT Superbike: in passato era la categoria F1. Ha il medesimo regolamento tecnico della categoria Senior TT. E' la gara di apertura della settimana sull'Isola. L'attuale giro record della categoria appartiene a: Guy Martin, in sella alla Honda CBR1000RR, effettuato nel 2008 con il tempo di 17' 28,54" alla media oraria di 208,474 km/h.
3) La Junior TT: dal 1949 al 1976 era parte del Campionato mondiale di motociclismo. La prima Junior TT risale al 1911. Vi potevano partecipare le moto dotate di motori mocilindrici o bicilindrici. La cilindrata massima per le prime era di 300cc mentre per le seconde saliva a 340 cc. La gara si svolgeva su cinque giri dello Snaefell Mountain Course e fu vinta da Percy J. Evans su Humber che concluse la gara in 3 ore 37 minuti e 7 secondi alla media di 66,70 km/h (41,45 miglia orarie). Nel 1912 il limite di cilindrata fu portato, per tutte le moto, a 350 cc. Questa regola rimase in vigore fino al 1994. Dal 2007 le cilindrate ammesse alla Junior TT sono le seguenti:
400-600 cc - Motociclette dotate di motore 4 cilindri 4 tempi
600-750 cc - Motociclette dotate di motore 2 cilindri 4 tempi
600-675 cc - Motociclette dotate di motore 3 cilindri 4 tempi
Il record sul giro nella Junior TT appartiene a John McGuiness che lo ha stabilito nell'edizione 2006 del Tourist Trophy con il tempo di 18'15"61 alla media di 199,51 km/h (123.975 miglia orarie).
4) La Lightweight TT: dal 1949 al 1976 era parte del Campionato mondiale di motociclismo. A causa del ridotto numero di iscritti la gara è stata eliminata a partire dall'edizione 2005 del Tourist Trophy. La prima gara venne svolta durante l'edizione del 1922. Venne vinta da Geoff S. Davidson su Lewis alla media di 80,29 km/h (49,89 miglia orarie). Il circuito utilizzato era lo Snaefell Mountain Course che andava percorso sette volte. Dal 1954 al 1959 la gara veniva disputata sul Clypse Course. Il record sul giro appartiene a John McGuiness che utilizzando una moto da 250 cc nell'edizione del 2004 ha stabilito il tempo di 19'18"2 alla media di 190,36 km/h (118,29 miglia orarie). Sempre a McGuinness appartiene il record della gara con 1 ora 17'31"7 secondi alla velocità media di 187,95 km/h (116,79 miglia orarie).
5) La Ultra-Lightweight TT: dal 1951 al 1976 era parte del Campionato mondiale di motociclismo. Dal 1954 al 1959 la gara veniva disputata sul Clypse Course. A causa del ridotto numero di iscritti la gara, a partire dall'edizione 2005, è stata eliminata dall'evento. La prima edizione della Ultra-Lightweight TT si tenne durante il Tourist Trophy del 1924. Potevano partecipare motociclette la cui cilindrata non superasse i 175 cc. Il percorso era lo Snaefell Mountain Course che veniva percorso per tre volte. Risultò vincitore Jack Porter su New Imperial che concluse la gara alla velocità media di 82,41 km/h (51,21 miglia orarie). La gara venne ripetuta anche nel 1925 ma venne poi eliminata a partire dal Tourist Trophy dell'anno successivo. Fu reintrodotta nel 1951. La cilindrata delle motociclette era ora limitata a 125 cc. La gara venne nuovamente eliminata a partire dal 1975 per essere nuovamente riproposta con l'edizione 1989 del Tourist Trophy per rimanere in calendario fino al 2004. Anche in questo caso la cilindrata massima ammessa era di 125 cc. Il record sul giro appartiene a Chris Palmer nel Tourist Trophy del 2004, utilizzando una motocicletta da 125 cc, ha stabilito il tempo di 19'18"2.
6) La Sidecar TT: dal 1954 al 1976 era parte del Campionato mondiale di motociclismo. I sidecar hanno gareggiato per la prima volta sull'Isola di Man nel 1923. La gara si svolgeva sullo Snaefell Mountain Course che veniva percorso tre volte per un totale di 181 km (113 miglia). La competizione fu vinta da Freddie Dixon (pilota) e Walter Perry (passeggero) su un sidecar special Douglas alla media di 85.53 km/h (53.15 miglia orarie). A partire dal Tourist Trophy del 1926 a causa dello scarso numero di iscritti la gara venne eliminata. Nel 1954 venne reintrodotta con la limitazione di cilindrata per i motori a 500 cc. La gara si disputava sul Clypse Course, tracciato che venne utilizzato fino all'edizione del 1959. A partire dal 1960 si ritornò ad utilizzare il circuito di montagna. Nel 1968 venne introdotta una classe di sidecar che utilizzavano motori da 750 cc. Questa categoria però non aveva valore per il campionato del mondo non esistendo una corrispondente categoria nei regolamenti della federazione motociclistica. Nel 1976 furono introdotte delle modifiche regolamentari: la cilindrata dei motori fu portata a 1.000 cc, unificando così le due precedenti cilindrate, e venne deciso di svolgere la gara in due frazioni. Infine nel 1990 venne introdotta la categoria Formula 2 della Federazione Motociclistica Internazionale. Con questa nuova modifica sono permessi i motori la cui cilindrata non sia superiore ai 350 cc, se 2 tempi, o 600 cc nel caso dei 4 tempi. L'attuale record sul giro appartiene alla coppia Nick Crowe e Daniel Sayle, stabilito nel 2007 con 19'24"24 alla media di 116,667 mph. Risale invece al 2005 il record della gara, quando la coppia Dave Molyneux (pilota)- Daniel Sayle (passeggero) lo ha stabilito portando a termine i tre giri del circuito in 59'06"39 alla media di 184,92 km/h (114.91 miglia orarie).
I piu' vincenti al TT:
Joey Dunlop: 26
John McGuinness: 15
Mike Hailwood: 14
Dave Molyneux: 13
Steve Hislop, Phillip McCallen: 11
Giacomo Agostini, Rob Fisher, Stanley Woods: 10
Mick Boddice, David Jefferies, Siegfried Schauzu, Charlie Williams, Dave Saville: 9
Jim Moodie, Chas Mortimer, Phil Read: 8
Mick Grant, Tony Rutter, Ian Lougher: 7
Geoff Duke, Jimmie Guthrie, Jim Redman, John Surtees, Bruce Anstey: 6
Robert Dunlop, Brian Reid, Carlo Ubbiali, Alec Bennett: 5

lunedì 22 dicembre 2008

Kawasaki KR 250cc & KR 350cc GP



























Nel 1975, la Kawasaki ha messo in pista la KR250cc. Si tratta di una moto con propulsore bicilindrico a due tempi, con cilindri paralleli dotati di due manovelle di contro-rotazione. Il raffreddamento era a liquido e l'alimentazione mediante valvola rotante, con i due carburatori, posti sul lato sinistro della moto. Inizialmente fasati a 180°, sono poi stati portati con fasatura a 360°. Questa modifica ha eliminato le fastidiose vibrazioni che caratterizzavano il primo modello, ed in oltre ha permesso di trovare qualche cavallo in piu’. Questo tipo di filosofia motoristica, ha permesso alla casa giapponese di costruire un propulsore estremamente snello, che ha influito sulla aerodinamica della moto. In Kawasaki, venne mostrata molta attenzione a questo aspetto, infatti carena, serbatoio e codone della moto vennero progettati in maniera da formare un corpo unico con le gambe del pilota, migliorando sensibilmente il coefficiente di penetrazione all'aria. Alla 250cc ben presto venne affiancata una 350cc, di pari filosofia costruttiva. Va detto che alle prestazioni notevoli, queste moto, affiancarono una estrema affidabilita', garantendo ai loro conduttori, continuita' di risultato. Questa moto venne in un primo momento schierata nei campionati nazionali australiani e statunitensi, per poi, nel 1977 essere schierata nei GP. La moto nell’anno dell’esordio ha ottenuto un secondo posto nel GP di Germania ad Hockenheim con in sella Akihiro Kiyohara e una bella vittoria, ottenuta da Mick Grant nel GP di Assen in Olanda. Il 1978 fu un anno estremamente ricco di soddisfazioni per la Kawasaki, infatti Kork Ballington vinse sia il mondiale delle 250cc che quello delle 350cc in sella ai “fulmini verdi”. Questi sucessi furono ripetuti dal pilota anche l’anno successivo. Le KR risultarono vincenti anche nelle mani del pilota Anton Mang che conquisto’ il successo nel 1980 nella 250cc, nel 1981 sia nella 250cc che nella 350cc (eguagliando cosi’ Kork Ballngton) e nel 1982 ancora nella 350cc. Sebbene non vi sia dubbio sul valore dei piloti che le hanno condotte al successo, va detto che le KR 250 e 350 dal 1978 al 1982 furono dei veri e propri "missili". Ballington e Mang si trovarono in sella a mezzi estremamente competitivi, coi quali riuscirorono a sbaragliare con facilita' la concorrenza. Purtoppo per la Kawasaki, la KR 500cc, non risulto' altrettanto competitiva e non raggiunse mai risultati di rilievo.
Caratteristiche tecniche (i dati sotto elencati si riferiscono alla 350cc):
MOTORE
Tipo: bicilindrico a due tempi, con cilindri in linea
Cilindrata: 349 cc
Alesaggio: 64 mm
Corsa: 54,4 mm
Rapporto di compressione: 13:1
Raffreddamento: a liquido
Distribuzione: valvola rotante
Potenza: 75 CV a 11.800 rpm
Alimentazione: 2 carburatori Mikuni da 36 mm posti sul ato sinistro della motocicletta
Accensione: digitale CDI con batteria kokusan
Frizione: multidisco a secco
Cambio: estraibile a 6 marce (sempre in presa)
Trasmissione: primaria a ingranaggi; Secondaria a catena
Avviamento: a spinta
CICLISTICA
Telaio: a doppia culla in alluminio
Sospensione ant.: forcella teleidraulica completamente regolabile da 36 mm
Sospensione post.: mono-ammortizzatore completamente regolabile
Freno ant.: freno a disco singolo in acciaio al carbonio da 310 mm
Freno post.: disco in acciaio al carbonio da 210 mm
Pneumatico anteriore: da 3.25 o 4.50 x 18 (Dunlop KR108) su cerchi "Campagnolo" da 2.00"
Pneumatico posteriore: 3.30 o 5.80 x 18 Dunlop radial su cerchi Dymag da 3.00"
DIMENSIONI PESI
Altezza minima: 108 mm
Interasse: 1.385 mm
Peso: 104 kg

Kork Ballington











Nelle foto (partendo dal basso):
Foto 1 e 2 Kork Ballington in sella alla Kawasaki KR 250cc da GP.
Foto 3 e 4 Kork Ballington in sella alla Kawasaki KR 500cc da GP.
Segue breve biografia:
Hugh Neville "Kork" Ballington (Salisbury, 10 Aprile 1951) è un ex motociclista sudafricano. La sua attività professionistica si è svolta nel periodo 1976-1982, iniziando con una Yamaha privata, con la quale gareggia nel 1976 e nel 1977, ottenendo come miglior risultato il 5° posto nella 350 nel '77. In questo biennio prende parte alle competizioni sia nella categoria 350cc, che in quella 250cc. Nel 1978 il sudafricano (famoso per i suoi baffi e per gareggiare con spessi occhiali da vista), passando alla Kawasaki, compie il cambiamento che gli rendera' una svolta decisiva nella carriera, permettendogli di diventare campione del mondo. In quella stagione infatti, porterà le bicilindriche di Akashi all'iride in entrambe le cilindrate. Ripeterà questo straordinario risultato anche l'anno seguente mostrando a tutti la forza dell'accoppiata Ballington / Kawasaki. Nella 1980 portò al debutto la Kawasaki KR 500 4 cilindri due tempi; l’età non più verde e problemi di gioventù della moto fanno sì che nel 1980 Ballington, in sella a questa moto, si ottenga solamente il dodicesimo posto nella classifica finale. Poco fortunata anche la stagione in 250: Ballington infatti trova come avversario piu' temibile per la corsa al titolo, il piu' giovane il compagno di Marca Anton Mang. A fine anno infatti Kork dovra' abdicare dal trono delle 250cc (dove sedeva da due anni), in favore di quest'ultimo. Ormai il campione-meteora è al declino. Il 1981, anno che lo vede correre nella sola classe 500, è avaro di successi: solo 8° nella classifica iridata. L’anonimo 9° posto del 1982 lo induce, insieme alle 31 primavere, a ritirarsi dalle competizioni. A fine carriera Kork Ballington potra' vantare: 4 titoli iridati (2 in 250cc e 2 in 350cc); 56 GP ai quali ha preso parte (correndo in tre categorie: 250cc, 350cc e 500cc); ben 31 vittorie (17 ottenute nella 250cc e 14 nella 350cc); 46 podi totali e 19 pole-positions. Attualmente l’ex pilota vive in Australia, a Brisbane, con i familiari.

venerdì 19 dicembre 2008

CAGIVA: la storia agonistica nel mondiale velocità

















Cagiva è una casa motociclistica italiana fondata nel 1950 da Giovanni Castiglioni a Varese, originariamente come produttrice di lavori di carpenteria metallica. Già nella scelta del nome aziendale il fondatore volle riunire in un termine semplice sia il proprio nome che la localizzazione geografica degli impianti (il nome significa infatti CAstiglioni GIovanni VArese). La Cagiva inizia la sua avventura nel Motomondiale nel 1977, nella classe 250 e 350, comprando le moto della Aermacchi Harley-Davidson, detentrici di tre titoli nella classe 250 e uno in 350, ma non è un esordio felice, con molti problemi meccanici e cadute, così come nel 79. La Cagiva nel 1980 approda alla classe 500 con una moto (1C2) ibrida su base Yamaha TZ 500, ma i risultati continuano a mancare, nel 1981 si produce la 2C2 prima vera moto Cagiva e a partire dal 1982 con la 3C2 si incomincia a vedere come una moto migliore, con Jon Ekerold (fresco campione mondiale della classe 350 nel 1980 a bordo di una Bimota), si riesce ad ottenere il primo punto in assoluto per Cagiva, con il 10° posto ad Hockenheim (ultima gara della stagione). Nel 1983 con la nuova 4C3 si sperimenta un telaio particolare, che però rende la moto inguidabile e compromette la stagione, nonostante la portasse in gara Virginio Ferrari. Nel 1984 la moto riesce a sviluppare 132 CV, ma per un problema con i piloti, conquista solo il decimo posto al GP di Jugoslavia. Nel 1985 la C10 adotta un motore V4 di 90° a due alberi motore controrotanti ed alimentazione a lamelle (invece dei dischi rotanti delle versioni precedenti), mentre il telaio segue lo schema Deltabox delle Yamaha ufficiali; con questa moto la Cagiva riesce a prendere punti, ma non riesce a concludere niente nel campionato, per la mancanza di piloti motivati, infatti la moto era stata testata con Kenny Roberts, segnando buoni tempi. Nel 1987 la nuova moto, la C587, ora completamente rossa e pronta in occasione della quarta prova del mondiale, il GP delle Nazioni, si dimostra subito all'altezza della situazione; il nuovo 4 cilindri ha la V da 58°, sempre con gli alberi motore controrotanti, il telaio ha ancora una struttura di tipo Deltabox ma più piccolo del precedente. Nel GP del Brasile, De Radigues conclude al quarto posto. Nel 1988 la C588, che monta pneumatici Pirelli, ha un motore più snello, un telaio rinforzato ed al posteriore monta un forcellone "a banana" per permettere d'avere le espansioni dei cilindri anteriori allo stesso lato. Al pilota Randy Mamola però non piace un granché e solo al GP d'Italia si ha un buon risultato, con il 7° posto. Successivamente Massimo Tamburini disegna una carenatura più filante, di tipo sigillato (novità assoluta) che migliora la competitività della moto, la stagione continua con il terzo posto in Belgio a Spa (primo podio per Cagiva), sotto la pioggia, il quarto in Jugoslavia ed il sesto in Francia al Paul Ricard. Nel 1989 viene presentata la C589 più leggera e potente. Probabilmente l'errata distribuzione dei pesi e l'atipico montaggio orizzontale del monoammortizzatore posteriore inficiano però le doti di trazione impedendo quindi a Mamola di scaricare a terra tutti i cavalli, di conseguenza la stagione è negativa. Tra la meta' degli anni ottanta e i primi novanta, diversi piloti si alternarono in sella al bolide italiano, tra gli altri ricordiamo: Marco Lucchinelli, Franco Uncini, Raymond Roche, Alex Barros (allora giovanissimo), Juan Garriga, ecc. ecc. Nel 1990 la C590 cade svariate volte e la stagione non viene risollevata nemmeno dalla novità tecnica, mostrata in occasione del GP di Cecoslovacchia, di una C590 con telaio e forcellone in fibra di carbonio. Alla fine del 1990, voci insistenti circa il ritiro della Squadra circolano insistentemente per il paddock. Queste voci vengono pero' smentite e nel 1991 approda in squadra Eddie Lawson (quattro volte iridato, con Yamaha e Honda) che fa crescere la moto, conquistando il 6° posto assoluto in classifica generale e nel 1992 realizza il sogno della Cagiva, con la prima vittoria nel motomondiale, in Ungheria (con condizioni atmosferiche varibili), ma il campione si ritirò dalle competizioni motociclistiche l'anno stesso. Nel 1993 la Cagiva è sempre protagonista con la V593, schierando Doug Chandler e Matew Mladin. Anche l'asso della Superbike, Carl Fogarty, schierato per il solo GP di Gran Bretgana ben figurera' in sella a questa moto, ottenendo un ottimo quarto posto (che poteva essere un terzo se non fosse rimasto senza carburante all'ultima curva..). Il salto di qualita' lo fara' pero' con John Kocinski (ingaggiato a fine stagione) che dopo due piazzamenti al quarto posto, vinse il Gran premio statunitense a Laguna Seca (questa volta in condizioni atmosferiche ideali); cogliendo cosi', con tre soli risultati utili all'attivo l'undicesimo posto in clsassifica generale. Nel 1994 con la C594 è ancora meglio (risultando la stagione più esaltante), con John Kocinski che sale sette volte sul podio, vince il Gran Premio d’Australia e conquista il terzo posto in classifica generale. La Cagiva si ritirerà a inizio nel motomondiale del '95 dopo il Gran premio d'Italia,con una carriera sportiva composta da 3 vittorie, 11 podi, 6 pole position e 3 giri più veloci in gara.

Modelli schierati nella Classe Regina:
Cagiva 1C2
Cagiva 2C2
Cagiva 3C2
Cagiva 4C3
Cagiva C9
Cagiva C10
Cagiva C587
Cagiva C588
Cagiva C589
Cagiva C590
Cagiva C591
Cagiva C592
Cagiva C593
Cagiva C594

Virginio Ferrari




Nelle foto partendo dal basso:
1) Virginio Ferrari in sella alla SUZUKI 500cc da GP del team NAVA, nel 1979.
2) Virginio Ferrari in sella alla CAGIVA 4C3, 500cc da GP nel 1983.
3) Virginio Ferrari in sella alla DUCATI 750cc F1 con la quale ha conquistato il campionato italiano del 1985.
Segue breve biografia:
Virginio Ferrari (Pellegrino Parmense, 19 ottobre 1952) è un ex motociclista italiano. Entrò casualmente nel mondo delle corse motociclistiche: all'età di 18 anni un amico lo introdusse in un motoclub milanese affinché conseguisse la licenza di pilota, all'insaputa del padre che finì per scoprirlo due anni dopo. Iniziò la carriera gareggiando nella 500 Km di Modena del 1973 e proseguendo con le gare di endurance fino a vincere il Trofeo Moto 1000 sul Circuito di Misano, nel 1975, a bordo della Laverda 750 SFC. Assieme a Lucchinelli, Uncini e Graziano Rossi è stato il protagonista della pattuglia azzurra fra gli anni settanta e ottanta. Era famoso per il suo coraggio, per la sua maniacale preparazione atletica e per la sua impressionante pignoleria nella sistemazione del mezzo (che spesso lo rendeva un vero e proprio incubo per tecnici e meccanici). Spesso di lui e' stato detto che aveva un carattere molto complicato. Nel 1979, in sella alla SUZUKI è arrivato secondo nel mondiale Classe 500, preceduto da Kenny Roberts. È stato uno dei più fieri antagonisti di piloti come Agostini, Read, Sheene, e Lucchinelli, battendosi ad armi pari e sconfiggendoli in numerose occasioni. Nei GP ha preso il via a ben 82 gare, collezionando: 2 vittorie, 10 podi complessivi e una pole-position. Nel 1985 ha conquistato il campionato italiano con la Ducati. In carriera, nonostante la sua abilita', ha conquistato un solo mondiale nel 1987, con la Bimota, nella F1 (categoria che ha preceduto la Superbike). Dopo essersi ritirato come pilota, ha intrapreso la carriera di team manager con la Ducati nel Mondiale Superbike. È stato direttore di squadra tra gli altri di Fogarty (che con lui ha vinto i mondiali superbike del 1994 e del 1995), Falappa, Lucchiari, Kocinski, Hodgson, Chili, Corser, Spencer. Il "divorzio" tra Ferrari DUCATI non e' stato esente da polemiche; Virginio Ferrari alla risoluzione del contratto dichiarera': "Mi hanno proposto condizioni inaccettabili: azzeramento del budget per squadra e piloti e fornitura di due moto senza evoluzione". Alla fine dell'avventura con la Casa bolognese, Ferrari ha intrapreso ha accettato una nuova sfida, divenendo team manager della piccola Casa riminese: BIMOTA nel 2000, con la moto SB8 (spinta dal potente bicilindrco da 1000cc di costruzione SUZUKI). Il pilota che scelse fu l'australiano Antony Gobert, che lo ripago' della fiducia conquistando sul circuito di Phillip Island, un bellissimo successo. Purtoppo pero' gravi problemi economici della Casa di Rimini, fecero si che l'avventura BIMOTA in SBK dovette interrompersi prima della fine della stagione.