domenica 26 settembre 2010

Bravissimo MAX!















Oggi, domenica 26 settembre 2010 sul tracciato Dino & Enzo Ferrari di Imola, il pilota romano Massimiliano "Max" Biaggi (Roma 26 giugno 1971) ha conquistato il titolo iridato SBK. Per l'Italia si tratta di un grandissimo risultato in quanto Biaggi è il primo pilota italiano a riuscire in questa impresa. Prima di lui la nostra Nazione che pure vanta una tradizione motociclistica che l'ha vista primeggiare in tutte le categorie del Motomondiale, non aveva mai visto un suo figlio, fregiarsi del titolo di Campione del Mondo nella formula iridata per le derivate dalla serie. Il Campionato Mondiale Superbike è nato nel 1988. Nelle 22 edizioni precedenti i piloti italiani, rappresentati nel tempo da: Marco Lucchinelli, Virginio Ferrari, Davide Tardozzi, Fabrizio Pirovano, Giancarlo Falappa, Piergiorgio Bontempi, Pierfrancesco Chili (solo per citarne alcuni), nonostante le innumerevoli vittorie ottenute, a fine campionato non erano mai andati oltre la piazza d'onore. Max Biaggi è riuscito quindi nell'impresa di spezzare quello che sembrava un tabù per i nostri colori. Oltre a Max quest'oggi festeggia anche l'industria italiana: nel peggiore anno della Ducati (che ha annunciato che nel 2011 non sarà al via del Campionato Mondiale SBK in forma ufficiale), è stata l'Aprilia a tenerne alto l'onore, battendo in maniera netta i colossi giapponesi e tedeschi. Grazie ad una moto "nata bene", ad un efficiente reparto corse e al pieno supporto fornitogli dalla Casa di Noale, il campione romano ha potuto dominare questa stagione, "portando a casa" l'iride con una gara d'anticipo (ossia due manches ovvero 50 punti ancora in palio). Il tricolore sventola ancor di più su questo incredibile trionfo se si pensa che pure lo sponsor (Alitalia) e i pneumatici (Pirelli) sono entrambi italiani. Per il "Corsaro" si tratta del quinto titolo iridato ottenuto durante la sua brillante carriera partita a livello Mondiale nel 1992 che lo ha visto protagonista in tutte le classi in cui ha gareggiato: 250, 500, MotoGP e Superbike. Nel suo palmares oltre al titolo odierno, brilla già da tempo un poker iridato con i quattro titoli consecutivi ottenuti nella classe 250 dal 1994 al 1997 (i primi tre in sella alla Aprilia e l'ultimo con la Honda).
Per saperne di più:

sabato 25 settembre 2010

La ARMOY ARMADA





























La storia che oggi pubblico su Cesena Bikers è una storia che a me sta particolarmente a cuore in quanto è la storia di una amicizia, una di quelle con la A maiuscola che ha come punto focale attorno la quale si sviluppa e cresce: la passione per la motocicletta. La Armoy Amada è la storia bellissima e purtroppo tragica di quattro amici che a metà dei fantastici Seventies hanno realizzato il loro sogno di fondare un team di corse per motociclette. Un team che stava in piedi grazie alla loro passione in quanto soldi non ce n'erano. Un team dove non esistevano meccanici e piloti ma un team dove tutti dovevano saper fare tutto aiutandosi l'un l'altro. I mezzi da gara, venivano collaudati direttamente per le strade che si snodavano attorno al villaggio di Armoy la sera, dopo l'orario di lavoro. Invece che tv e stampa, ad assistere a questi collaudi c'erano i bambini della zona che vedevano i quattro della Armoy Armada come i loro idoli indiscussi. Un team che non partecipava al Motomondiale ma che si specializzò nelle terribili Road Races. Queste gare proprio in quegli anni, data la loro pericolosità, stavano uscendo dal calendario del campionato iridato. Le Road Races, definite a torto gare "minori" una volta uscite dal calendario delle competizioni "che contano" non hanno più avuto un riscontro mediatico tale da far si che potessero attirare sponsor munifici. Le Case non vi si sono più schierate in via ufficiale (anche se lo hanno fatto in via ufficiosa, utilizzandole come banchi di prova per i loro modelli di punta..), eppure esse sono giunte sino ai giorni nostri grazie alla passione degli uomini che le tengono in vita. La Armoy Armada a mio avviso è un vero e proprio simbolo che tutti i gruppi di motociclisti dovrebbero tenere come esempio. Con queste parole non è assolutamente mio intento esortare le persone a gareggiare su strada, cosa stupida oltre che assolutamente pericolosa. Il mio discorso verte sul concetto dell'amicizia che legava questi uomini del fatto che come i moschettieri avevano come motto il "Tutti per uno..". La moto spesso è un mezzo di aggregazione, io stesso affermo con orgoglio che nella mia vita di motociclista ho conosciuto tante meravigliose persone con le quali ho stretto delle belle amicizie. A volte però capita l'esatto contrario: la moto diventa un mezzo per pavoneggiarsi, per mettere in mostra il concetto: io sono più veloce di te.. Ebbene questo è un concetto assolutamente errato di intendere la motocicletta. L'idea di motogruppo in cui credo è quella in cui i più anziani (o quelli di maggior esperienza..) insegnano ai novelli come si gira in strada con la moto in sicurezza, mostrando a loro le traiettorie, facendo loro apprezzare la bellezza di una guida rotonda e pulita.. E' l'idea della condivisione della comune passione per la moto, oltre all'uscita domenicale.. Ho volutamente preso la Armoy Armada come esempio per spiegare meglio questo mio pensiero in quanto essi fanno parte di un epoca e di un motociclismo che seppur lontano, io sento molto più mio di quello attuale. Un motociclismo fatto di uomini, della loro passione, dello loro idee e delle loro intuizioni. Un motociclismo fatto di mani sporche di grasso, di attrezzi rudimentali coi quali ottenere comunque ottimi risultati; fatto di gente che sapeva prendersi cura personalmente della propria motocicletta, arrivando ad instaurare con essa un rapporto quasi "intimo". Un motociclismo lontano da quello attuale, asettico e "ipertecnologico", dominato dall'elettronica, dagli ingegneri dove il denaro la fa sempre e comunque da padrone. E' con grande piacere quindi che presento ai lettori la mitica Armoy Armada:

L'Armada Armoy è stata fondata nel 1977 da Mervyn Robinson, Joey Dunlop, Frank Kennedy e Jim Dunlop. Questa avventura durò per l'arco di 3 stagioni ossia dal 1977-1979. Durante questo tempo i “quattro moschettieri della motocletta” dimostrarono alla causa: impegno, dedizione, cameratismo e talento facendo vedere a tutti che l'Armada Armoy sarebbe realmente entrata nella leggenda dello sport motociclistico delle corse su strada.


Frank Kennedy 'Big Frank'

Frank Kennedy, o 'Big Frank' come lo chiamavano i suoi compagni della Armoy Armada in quanto “era così alto che dominava anche la più grande delle moto da corsa”. Frank era incline agli incidenti, anche se questo non ha intaccato la sua dedizione alle corse su strada: tanto che una volta provò a salire in sella alla sua motocicletta con entrambe le gambe spezzate! Frank possedeva un autosalone vicino ad Armoy, dei "quattro moschettieri" era senza ombra di dubbio il più benestante. Estremamente generoso, fu colui che permise di andare avanti finanziariamente al gruppo, girando ad esso una grossa parte dei profitti che gli fruttava la sua attività lavorativa. Il suo miglior risultato personale per quanto riguarda le Road Races fu il secondo posto ottenuto alla Nord West 200 del 1976 ottenuto alle spalle del pilota inglese Martin Sharpe vincitore di quella edizione. La sua vita si spense nel 1979 sempre alla North West 200.


Jim Dunlop

Jim Dunlop, l'unico membro superstite del quartetto. Fratello minore più giovane di Joey Dunlop è nato nella piccola città di Ballymoney. In lui l'entusiasmo per le Road Racing è cresciuto fin dalla tenera età. Nel suo palmares vanta: la partecipazione al TT dell'Isola di Man dal 1977-1981 assieme ai fratelli maggiori Joey e Robert. Recentemente Jim, in memoria delle imprese della Armoy Armada ha presentato una scultura a forma di motocicletta.


Joey Dunlop 'Il GIRK' (25 Febbraio 1952 - 2 luglio 2000)

Joey, ossia di Re delle corse su strada, è nato a Ballymoney, nella contea di Antrim. E' senza dubbio il più famoso del quartetto avendo un palmares sconfinato per quanto riguarda le Road Races. Tra gli infiniti successi ottenuti in ben 31 anni di carriera (1969-2000) vanno ricordati: 26 vittorie al TT ottenute in tutte le categurie: dalla F1, alla SBK passando per le 250 sino alle 125, che ancora oggi sono un record imbattuto. Sempre al TT ha collezionato ben tre triplette ossia ha vinto ben tre gare nella stessa edizione per tre volte! Non da meno sono le sei vittorie consecutive nel TT Formula 1 Race dal1983 al 1988. Oltre che i cinque campionati mondiali Formula 1. Inoltre ha trionfato almeno una volta in tutte le gare del calendario Road Races. Nel 1986 Joey è stato assegnato un MBE per il suo contributo alle corse. Ha anche ricevuto un OBE nel 1995 in riconoscimento della sua opera di carità. Pur essendo irlandese, gli è stata data la cittadinanza onoraria sull'Isola di Man. Nel 2000, all'età di 48 anni, Joey è purtroppo morto a causa di un incidente in sella alla sua Honda 125 in una Road Race in Estonia. Cinquantamila persone in lutto hanno partecipato al suo funerale. Tra queste c'erano motociclisti provenienti da tutta l'Irlanda, dal Regno Unito e dal resto d'Europa. Una statua memoriale è stata eretta nella sua città natale di Ballymoney, Irlanda del Nord.


Mervyn Robinson 'Robo'

Per Mervyn “Robo” Robinson carriera agonistica iniziò nel 1968. Aveva una grande passione per le corse su strada ed è stato grazie al suo grande entusiasmo che Joey Dunlop si è appassionato a questo sport. “Robo” era il cognato di Joey e anche uno dei suoi più grandi amci. Di professione faceva il meccanico e per la Armoy Armada fu il "mentore tecnico". Dato che i soldi scarseggiavano Mervyn insegnò al resto del gruppo “l'arte di arrangiarsi” costruendo i ricambi che mancavano o che erano troppo costosi e dando agli altri tre mebri la giusta competenza tecnica che nelle Road Races, soprattutto in quei tempi, era richiesta ai piloti. Joey Dunlop dovette a lui la sua grande capacità di capire le moto che nel tempo gli permise di avere sempre (o quasi) il mezzo più a punto rispetto alla concorrenza. Joey infatti sapeva benissimo di cosa aveva bisogno un mezzo per essere veloce ed affidabile nelle corse su strada e curava la messa a punto delle sue motociclette personalmente. Nel suo palmares Mervyn vanta la vittoria al sul tracciato di Kirkistown nel 1974 e soprattutto quella ottenuta nell'Ulster GP del 1975. Anche la sua vita come quella di Frank Kennedy e di Joey Dunlop finì a causa di un incidente in gara. Il suo incontro con la morte avvenne in occasione della Northwest 200 del 1980, nella gara 500cc.

mercoledì 22 settembre 2010

200 Miglia di Imola edizione 1972























Nel 1972, per la prima volta, fu organizzata sul circuito di Imola da Checco Costa, il padre di Claudio Costa, fondatore della Clinica Mobile, una gara per le moto strettamente derivate dalla serie. La 200 Miglia di Imola del 1972 fu sponsorizzata dalla Shell, e vide la partecipazione ufficiale delle squadre: Ducati, MV Agusta, Kawasaki, Suzuki, Triumph, Yamaha, Norton oltre che alla Moto Guzzi e una miriade di piloti privati in sella a mezzi ben realizzati. La 200 di Imola suscitò immediatamente degli appassionati ed ebbe un grande risonanza a livello mediatico per il tempo. Checco Costa svolse un lavoro lusinghiero di promozione dell'evento tanto che in breve la partecipazione da parte delle Case divenne un vero e proprio imperativo: vietato mancare! La gara venne presentata al pubblico con l'accattivante soprannome di “Daytona d'Europa”. Nel vecchio Continente infatti le gare di durata erano intese come 24 ore: Bol d'Or e Spa ma non a distanza. Questa formula invece era adottata maggiormente negli USA: la 200 Miglia di daytona appunto e quella dell'Ontario. Costa volle quindi portare in Italia questa formula appassionante, organizzando quella che ai tempi venne definita come la “gara del secolo” dagli addetti ai lavori. Per questa competizione, la Ducati sviluppò appositamente la 750 Imola Desmo direttamente dalla 750 GT del 1971 ossia la prima moto prodotta a Borgo Panigale, dotata di propulsore bicilindrico a “L”. La squadra corse ordinò ben dieci esemplari dalla produzione. Otto di questi vennero spediti a Imola dalla fabbrica di Borgo Panigale. La principale differenza fra la 750 e la 750 GT fu l'applicazione del sistema 'desmo', sviluppato dall'ingegner Fabio Taglioni, sui motori utilizzati per la gara di Imola. La livrea delle Ducati era stata ispirata da quella classica colore argento delle moto GP degli anni '50, ma da quando venne creata la 500 GP nel 1968, il colore diventò lucido con l'aggiunta di una speciale polvere di alluminio. Quattro 750 Imola vennero iscritte alla gara, a condurle sarebbero state: Bruno Spaggiari (9), Paul Smart (16), Alan Dunscombe (39) ed Ermanno Giuliano (45). Molto lustro venne aggiunto alla manifestazione dall'attesissima partecipazione della MV Agusta che iscrisse il “mostro sacro” di allora, Giacomo Agostini. La Casa di Cascina Costa, così come la Ducati preparò una moto preparata appositamente per l'occasione: la nuova e rivoluzionaria 750 4 cilindri. Anche questa moto per rispondere al regolamento tecnico della 200 Miglia era una derivata dalla serie. La gara fu un trionfo per la Ducati, con Spaggiari e Smart a lottare per la vittoria quasi fino al traguardo. Un fatto che non tutti sanno è che Spaggiari rimase al comando della gara fino a tre curve dalla fine, ma subito dopo le Acque Minerali, la sua moto incominciò a perdere colpi perché era finita la benzina. Smart superò Spaggiari e vinse la gara per la Ducati. Spaggiari, sfortunato e arrabbiato, riuscì comunque a concludere la gara ottenendo un più che lodevole secondo posto. I due piloti giunsero al traguardo con un vantaggio abissale su Walter Villa, in terza posizione in sella alla sua Triumph Trident, mentre Agostini fu costretto al ritiro con la sua MV dopo 42 dei 62 giri in programma per noie meccaniche. Ai tempi vedere la MV, ritirarsi era una cosa piuttosto rara e questo sicuramente fu un fatto che sicuramente il grande Ago ricorda ancora oggi. La vittoria,alla “Daytona d'Europa” ha fatto si che la bicilindrica Ducati 750 Imola Desmo diventasse una vera moto da corsa. I risultati ottenuti da questa motocicletta hanno fatto da base a quelli successivamente ottenuti dalla casa di Borgo Panigale prima in F1 e poi in SBK risultando quindi essere il primo capitolo di una bellissima storia..
Su Cesena Bikers ho già pubblicato molto materiale inerente alla 200 Miglia di Imola del 1972. In questo post voglio però riportare il racconto di chi l'ha vissuta in prima persona: Paul Smart, vincitore in sella alla Ducati di quella prima, epica edizione. Queste sono le sue parole:
"Mi imbarcai sull’aereo già stanco, dopo aver appena corso una gara ad Atlanta, negli Stati Uniti per recarmi a quello che doveva essere il mio primo incontro con la nuova Ducati. Decisamente, non mi sorrideva l’idea di affrontare un lungo viaggio fino a Imola per disputare quella gara: era stata mia moglie ad impegnarsi per me, ed io non ero affatto sicuro di volerci andare. Arrivato in Italia, c’era una sorpresa ad aspettarmi: un “macchinone” venuto a prendermi all’aeroporto. Sapete, una di quelle auto con le tendine ai finestrini, una macchina da dirigente o cose del genere. Dire che il mio atteggiamento inizialmente fosse ostile è dire poco: ero sicurissimo che il mezzo con cui avrei gareggiato fosse l’ennesima moto superata, messa insieme in qualche modo per la gara. Dall’aeroporto, venni accompagnato direttamente al circuito di Modena, dove trovai ad aspettarmi una folla di meccanici ed altro personale di pista in tuta blu. Un chiaro segnale che stava succedendo qualcosa di importante. Franco Farné, che all’epoca dirigeva il reparto corse, parlava poco l’inglese, ma grazie al cielo aveva una segretaria sudafricana anglofona. Parlando con loro, ebbi l’impressione che si stesse preparando qualcosa di grosso. Andammo direttamente al circuito di prova a Modena, che si trovava proprio in centro città. Il circuito fungeva anche da aeroporto, e c’erano degli aerei parcheggiati a bordo pista. In quello stesso circuito si teneva una prova del Campionato Italiano. La pista era circondata da condomini, e tra case e aerei, era molto facile distrarsi. Ero in Italia da meno di un giorno, eppure all’ora di pranzo mi trovavo già al circuito di Modena, pronto a testare una moto nuova di zecca, sotto gli occhi dell’intera squadra corse e della direzione. La 200 Miglia di Imola era in programma pochi giorni più tardi, il tempo stringeva. Vidi la moto per la prima volta già in pista. Pensai: "Questa cosa è talmente lunga che non ce la farà mai a curvare …ha perfino una cerniera nel mezzo!". Ci si fanno idee preconcette giudicando una moto dall’aspetto. Ero sceso da poco da una delle moto più maneggevoli del mondo e questa nuova Ducati mi sembrava un ritorno al passato. “Una bicilindrica a quattro tempi?!” Ripetevo nella mia testa.. Comunque sia uscii e feci dieci giri. Immediatamente, mi resi conto che la grossa novità era il motore. Evidentemente, Ducati aveva lavorato parecchio, mettendoci tanto impegno. Sembrava girare a basso regime, uno scoppio ogni morte di papa (in realtà, era solo un’impressione) ma era comunque sufficientemente veloce, e il telaio pareva a posto. Dopo i primi 10 giri, mi sentii di criticare solo gli pneumatici stradali TT100. Io avrei voluto gomme da gara Dunlop, ma i meccanici erano convinti che non avrebbero resistito per tutta la 200 Miglia: io comunque continuai a insistere perché le cambiassero prima di andare a Imola. Facemmo qualche piccola modifica (le pedane, il manubrio, cose del genere) e dopo circa 20 minuti tornai a uscire. Feci altri dieci giri e poi rientrai nel paddock. Come ho già detto, ero stanchissimo e di malumore, ma quando arrivai al box, pronto a criticare e a fare a pezzi la moto, mi accorsi che era successo qualcosa. Tutti i componenti della squadra saltavano, battevano le mani e mi davano pacche sulle spalle. Avevo appena battuto il record sul giro del campione del mondo Agostini, e con pneumatici stradali!! Tra gli altri c’era l’Ingegnere, Taglioni. Aveva sempre il sorriso sulle labbra, era sempre pronto a parlarti, a fare domande, ad analizzare la situazione. Non dimenticherò mai il suo largo sorriso di quel giorno. La moto era fresca di produzione, ed era stata creata assemblando pezzi dei nuovi modelli GT appena presentati. La mia sensazione era che un mezzo tanto sperimentale difficilmente sarebbe arrivato al traguardo di una 200 Miglia. La moto era molto più veloce di quanto mi aspettassi visti i suoi 84 cavalli effettivi, e non perdeva potenza quando si surriscaldava durante la corsa a differenza delle moto a due tempi che avevo guidato in precedenza e che allora erano viste (e non a torto..) come il futuro del motociclismo. L’erogazione di potenza era molto morbida e mi consentiva di gestire il gas in maniera più aggressiva. Ero decisamente sorpreso: la nuova Ducati era molto più guidabile e più potente della Triumph con la quale avevo corso l’anno precedente. Non rimaneva molto da fare, Ducati aveva pensato a tutto. La mia più grande preoccupazione restavano le gomme, ma i tecnici non volevano ascoltarmi. Insistetti per un po’, e poi mi dissi che ci avremmo pensato se fossi arrivato a fine corsa con solo le carcasse. Era la gara più importante in Italia, il grande evento di Checco Costa, padre del Dr. Costa, che aveva preteso la partecipazione di tutti i costruttori italiani, e di tutti i migliori piloti. Niente scuse, non erano ammesse defezioni. Arrivato al circuito, incontrai alcuni personaggi che già conoscevo: Agostini, i piloti inglesi e un paio di altri concorrenti, tutti sorpresi nel vedermi lì. La massima riservatezza ai box Ducati, il sorriso dell’ingegner Taglioni e la mia presenza a Imola erano gli argomenti del giorno: Ducati stava preparando una sorpresa. Tutti i piloti e i team più famosi si presentarono all’appuntamento: Agostini con la sua MV Agusta campione del mondo, Villa su una fortissima Triumph gestita dal team svizzero Koelliker, Jack Findlay su un’eccezionale Moto Guzzi, Saarinen con la sua Yamaha, Peter Williams e credo Croxford con le Norton e il grande team Triumph ufficiale con Pickford e Jefferies in sella. In più, c’erano le squadre Suzuki, Yamaha e Kawasaki. Era stato offerto ad alcuni tra i migliori piloti di guidare la nuova Ducati, ma tutti avevano rifiutato di salire su un mezzo così sperimentale. Le prove andarono molto bene, io e il mio compagno di squadra Bruno Spaggiari facemmo segnare quasi tutti i tempi migliori. Questo scatenò l’immediato malcontento di tutti coloro che prima avevano declinato l’offerta di correre con quella moto e che ora, con loro grande sorpresa, se la ritrovavano davanti. Agostini aveva un piano: andare fortissimo e vincere, almeno finché la sua MV non si fosse rotta. Credo che fosse in pole position. Sono quasi certo di averlo tenuto dietro in prova, ma comunque, alla fine era in pole. Dopotutto, era il campione del mondo, e nessuno contestò. Io non ero particolarmente preoccupato ne’ intimidito dalla concorrenza, e nemmeno dal mio compagno di squadra Spaggiari: ero arrivato a un punto della mia carriera in cui non mi lasciavo più impressionare dagli altri. Non mi importava chi fossero, purché arrivassero dal secondo posto in giù. Il giorno della gara, si radunò una folla incredibile. L’atmosfera era carica di elettricità, e c’era un rumore assordante, come solo gli italiani riescono a fare. Migliaia di tifosi intasavano le strade e ci volle un eternità a raggiungere il circuito. C’erano spettatori dappertutto, ovunque si potesse scorgere la pista, sui tetti delle case, arrampicati sugli alberi: guardandosi intorno, si vedeva una marea di facce. La pista è uno dei miei ricordi più precisi. Era un bellissimo circuito da Grand Prix vecchio stile, che si snodava, e ancora si snoda, lungo le colline che circondano il cuore della città di Imola. La gara si disputava anche su un tratto di strada pubblica chiusa al traffico per l’occasione, e il tipo di tracciato favoriva le alte velocità. La mia unica preoccupazione era la pioggia, in quanto il circuito era costeggiato in diversi punti da guardrail d’acciaio e alberi, e mettere una ruota fuori pista avrebbe potuto avere conseguenze piuttosto spiacevoli. L’asfalto era leggermente umido e sapevo che sarebbe stata una gara di velocità più che di durata: impossibile pensare di chiudere il gas o rimanere fuori dalla mischia. La parte critica del circuito era la curva del Tamburello (dove nel 1994 uscì di pista Ayrton Senna.ndr.). Per vincere, bisognava affrontarla a gas spalancato e trovarsi nella posizione giusta per l’uscita di curva. Non bastava essere piloti esperti per fare bene questa curva: ci voleva anche una certa dose di coraggio, o di pazzia, per percorrerla a velocità da leader della corsa. Bisognava tenere il gas aperto dalla fine della discesa fino a tutta la curva, superando le 150 miglia orarie (240 kmh). Quelle moto non erano affatto lente, e montavano pneumatici strettissimi rispetto a quelli di oggi. Il direttore della squadra Ducati Fredmano Spairani era un uomo incredibilmente determinato e assolutamente deciso a vincere. Prima della gara, per prevenire eventuali dissapori, mi aveva detto, in presenza di Spaggiari: "Stammi a sentire, tu e Bruno sarete primo e secondo. Vorrei che vi metteste d’accordo per dividervi il premio in denaro che spetta ai primi due classificati, quando vinceremo." Era talmente sicuro e convincente che ci dicemmo d’accordo. E come ciliegina sulla torta, mi disse che, se avessi vinto, avrei potuto tenere la moto. In gara non c’erano tabelle di segnalazione dai box, solo tre aste: rossa, pericolo, pilota vicino, gialla, mantieni la velocità e verde, rallenta. Era prevista una fermata ai box durante la corsa, e anche in quel caso, niente segnalazioni. Avevamo una striscia trasparente sul serbatoio, per consentire ai meccanici di controllare che il serbatoio fosse pieno a fine rifornimento. Tutto molto elementare, niente di digitale allora! Durante l’allineamento per la partenza, tutto il contorno, le urla dei tifosi, cominciarono a dissolversi: in quel momento non pensi più a tutte le persone che ti stanno intorno, sei solo. Io guardavo il cielo e pensavo “oh Cristo, ora comincia a piovere”. La partenza prevista era da fermi, con il motore acceso. Agitata la bandiera, la MV di Ago partì velocissima, ma io fui più prudente perché volevo far durare a lungo la frizione … e durare a lungo anch’io! Ero perfettamente cosciente di avere un intero schieramento di concorrenti agguerriti alle calcagna, e non volevo rovinare tutto al primo tornante. Bruno ed io raggiungemmo in fretta le prime posizioni, ma quasi subito, persi la prima marcia. Mi ha sempre colpito il fatto che Bruno non se ne sia accorto: mi superò di slancio. E’ anche possibile che, senza la prima, mi sia risparmiato tante cambiate; e comunque, non credo di aver perso velocità nelle curve da prima. Fatto sta che il problema più grosso ce lo crearono i doppiati: Imola era un circuito veloce, e c’erano tanti piloti lenti su moto lente. Inoltre, la 200 Miglia era una gara massacrante, e dovevamo evitare di continuo moto che si ritiravano o che finivano il carburante: la percentuale di abbandoni era piuttosto alta. Facemmo un solo rifornimento e fu la parte più critica di tutta la gara. Per aumentare la tensione, sia io che Spaggiari rientrammo al box nello stesso momento: fu ancora più spettacolare ritrovarci insieme in testa alla gara e poi rientrare insieme al box a fare rifornimento. Ducati non voleva solo vincere, voleva che le sue moto fossero prima e seconda, in formazione, per tutta la gara e anche durante il pit stop. Ducati voleva tutto, e riuscire nell’impresa sarebbe stato magnifico (anzi, sarebbe stato, semplicemente, un miracolo). Spaggiari mi aveva superato durante la gara ma io lo avevo immediatamente ripreso. Non ci riprovò fino all’ultimo giro, quando cercò di sorpassarmi all’esterno in uscita dalle Acque Minerali. Quella parte del circuito si affrontava a gas spalancato, e quando vidi la sua ruota anteriore che mi si affiancava, per comunicargli il mio disappunto allargai la traiettoria sempre più... Non lo vidi più accanto a me, e quando alla fine mi voltai a guardare indietro mi venne il sospetto che fosse finito nella siepe a bordo pista! Avevamo un enorme margine di vantaggio su tutti gli altri . Negli ultimi giri, si sentivano le urla dei tifosi sovrastare il rumore dei motori. Che pubblico straordinario. Io e Bruno tagliammo il traguardo primo e secondo, e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai con la moto nella corsia box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare, di Taglioni e Spairani: esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Quello fu per me un giorno davvero straordinario, anche per un altro motivo: era il mio compleanno ( 23 aprile 1943). Davvero un ottimo compleanno.. In Italia, impazzirono tutti per me, Bruno e la Ducati. Ci caricarono insieme alle moto su un grande autocarro con una parete di vetro e attraversammo Bologna in parata, con una processione di automobilisti dietro che suonavano il clacson sventolando bandiere. Ci fermammo davanti alla stazione, doveva essere una sosta di un minuto ma migliaia e migliaia di persone ci circondarono e si unirono ai festeggiamenti. Io avevo ancora addosso la tuta, ero stanchissimo, stravolto dal cambiamento di fuso orario, ma era impossibile andare a dormire nel bel mezzo di quella festa. Pareva che tutta la città si fosse riversata in strada a celebrare la gloria di Ducati, di Bologna e dell’Italia. Il giorno dopo, Spairani mi ricordò che avrei potuto tenere la moto, a patto di disputare alcune gare internazionali in Gran Bretagna. Io e la mia Ducati 750 andammo a vincere la Hutchinson 100 a Brands Hatch battendo il dominatore di allora, Phil Read. Durante la 200 Miglia di Imola e le gare successive, entrai in grandissima sintonia con quella moto. Era veloce e infallibile. Se dovessi trovarle un difetto, direi la luce da terra in piega, ma grazie al mio stile di guida "fuori" dalla moto, non è mai stato un grosso problema. Sono ancora il proprietario di quella moto, ma l’ho prestata alla Ducati e ora fa bella mostra di se’ al Museo Ducati di Bologna."
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domenica 19 settembre 2010

MV Agusta 750cc














































Continuo con il filone di post dedicati alla 200 Miglia di Imola scrivendo questa volta della moto che, condotta dal grandissimo Ago diede del filo da torcere alle due Ducati 750 "Imola" che condotte da Paul Smart e da Bruno Spaggiari dominaro la prima edizione di questa maratona nell'ormai lontano 1972. Scrivere di una moto da corsa prodotta a Cascina Costa obbliga sempre chi lo fa a trattare l'argomento con enorme rispetto dato lo sconfinato palmares e l'immenso blasone di questa Casa. Nello specifico pubblicare un post dedicato a questa moto, scesa in pista una sola volta e costretta prematuramente al ritiro a causa di noie meccaniche ma che nonostante questo, è una sorta di icona per gli appassionati e per gli addetti ai lavori non è affatto semplice. La MV Agusta 750cc, isieme alla Ducati 750cc "Imola", è infatti una delle moto che possono essere definite in assoluto come le prime Superbike della storia. E' grazie a queste progenitrici se negli anni è nato prima il campionato mondiale F1 per le derivate dalla serie e a seguire quello SBK. Queste moto sin dal loro esordio sui circuiti, hanno infatti raccolto il favore del pubblico, catalizzandone l'attenzione grazie al concetto: "le moto che vedi correre in pista, sono del tutto simili a quelle che puoi acquistare dal concessionario". Per quanto concerne la moto a cui questo post è dedicato, l'esempio è poi portato all'estremo in quanto essa è si una derivata dalla serie ma è scesa in pista una sola volta, in occasione appunto della gara del secolo, per poi venire accantonata dalla MV che in quegli anni vedeva il diminuire il divario esistente tra le sue moto da GP e la concorrenza Nipponica. Yamaha e Suzuki stavano infatti portando alla ribalta nel mondiale delle sempre più competitive e moto a due tempi che stavano dando molto filo da torcere alle oramai obsolete moto a quattro tempi alle quali a Cascina Costa erano indissolubilmente legati. Accadde quindi che nonostante tutti i buoni propositi in Casa MV circa lo sviluppo della 750cc, il reparto corse dovette concentrasi unicamente sulle moto da GP abbandonando questo modello sul nascere. Per entrare nello specifico riguardo alla motocicletta a cui ho dedicato questo articolo, vado a pubblicare quanto scritto nel 1986 da Alan Cathcart pilota, collaudatore e giornalista per diverse testate, che in quell'anno ebbe la fortuna e il privilegio di provare sul circuito di Misano la moto che solo Giacomo Agostini e Alberto Pagani avevano avuto l'onore di guidare ben quattordici anni prima:
"La MV Agusta ha vinto ben 275 Gran Premi e 75 titoli mondiali conquistati nelle cilindrate 125-250-350 e 500, per un totale di 3028 corse conquistate nell'arco di un quarto di secolo a partire dal 1950, fino a quando, nell'ottobre del 1976, una MV ufficiale fu portata in gara per l'ultima volta. Nonostante che il Conte Domenico Agusta avesse sempre privilegiato le competizioni, piuttosto che la produzione di serie, dopo la sua morte, avvenuta nel 1971, suo fratello Corrado mise in produzione la 750 Sport con trasmissione finale ad albero, vale a dire la prima sportiva europea a quattro cilindri della "nuova generazione". Tutto ciò accadeva nel 1972, quando un'unica MV 750 ufficiale fu portata in gara dal plurititolato Giacomo Agostini nella prima 200 Miglia di Imola, manifestazione che portò alla ribalta il nome della Ducati grazie alla doppietta messa a segno da Smart e Spaggiari in sella ai loro bicilindrici desmodromici. In realtà erano due le MV iscritte alla gara, ma l'altra, affidata al compagno di squadra di Agostini, Alberto Pagani, percorse appena nove giri in prova, dopo di che fu costretta al ritiro per un guasto. Dopo cinque anni di autentico dominio nei Gran Premi con la MV, dunque, Ago si ritrovò in difficoltà, tanto che nelle qualifiche non riuscì ad andare oltre il quarto posto, dietro alle Ducati di Smart e Spaggiari e alla Kawasaki di Dave Simmonds, che però non prese il via per problemi a un pistone. Il fatto che Agostini e la sua MV fossero comunque schierati rappresentava già di per sé un mezzo miracolo, visto che la decisione di allestire le due moto era stata presa solo venticinque giorni prima della gara. Infatti, tutte le ventisette persone impegnate nel reparto corse di Cascina Costa furono costrette a lavorare senza sosta per far sì che le MV rosse e bianche arrivassero a Imola in tempo per le prove cronometrate. Inevitabilmente, però, non vi fu tempo per nessuna opera di collaudo, se non un brevissimo test sul rettilineo dell'aeroporto di Modena. Fu così che, all'inizio delle prove della 200 Miglia, Agostini risultò più lento di Smart di ben tre secondi al giro, con Pagani che pativa addirittura un ritardo di sei secondi nei confronti del pilota inglese. A quel punto, il Team MV preferì concentrarsi su Ago, trascurando Pagani, tant'è che alla fine Agostini riuscì a guadagnare la prima fila sullo schieramento. Quando la gara prese il via, però, la situazione cambiò radicalmente. Tutti si aspettavano che la MV quattro cilindri fosse talmente poco competitiva da perdere subito il contatto con il gruppo di testa, ma Agostini dimostrò ancora una volta tutta la sua classe, come testimonia lo stesso Paul Smart: “Giacomo stava guidando una MV ufficiale con trasmissione finale ad albero. Qualcuno lo derise per questo, ma lui affrontò quella gara con la solita determinazione di sempre. Inoltre, non bisogna dimenticare che eravamo in Italia, dunque correva in casa e ci teneva a ben figurare. Non appena fu dato il via, infatti, Ago scattò come un fulmine e rimase in testa per i primi cinque giri. La MV era veloce, ma fumava molto, tant’è che dopo 42 dei 62 giri previsti finì per rompersi definitivamente. Devo comunque riconoscere che Agostini era davvero coraggioso nel guidarla, visto che la sua moto si muoveva molto, anche in rettilineo, ma insisteva col gas spalancato”. Prima che la MV di Agostini cominciasse a fumare più del dovuto da uno dei suoi quattro scarichi a megafono costringendolo al ritiro, il pilota più titolato della storia del motociclismo aveva solo 8 secondi di ritardo dalle due Ducati argentate in testa alla corsa. Ufficialmente il ritiro di Ago fu imputato a un problema di valvole, ma poi si scoprì che la causa vera era l’allentamento di una delle viti che mantenevano in sede un albero a camme. Non per questo la squadra MV sembrò abbattersi più di tanto: “Non siamo venuti a Imola per vincere – spiegò l’allora direttore del reparto corse, Pietro Bertola – ma semplicemente per mostrare la nostra sportività nel prendere parte a una competizione così importante e per fare esperienza. Questa categoria rappresenta una novità per noi, ma sono certo che entro poco tempo raggiungeremo la competitività necessaria”. Naturalmente, quella previsione non si avverò mai, anche se la moto di Agostini fu oggetto di alcune modifiche nell’intento di renderla più performante nelle gare di Formula 750 in Europa e negli Stati Uniti, in modo da promuovere il modello stradale della 750 Sport. Il problema principale era costituito dal regolamento del campionato AMA, che aveva permesso a un team americano di comprare la BSA ufficiale con la quale John Cooper aveva vinto la 200 Miglia di Ontario, in California, l’anno precedente. La MV non intendeva correre negli Stati Uniti fino a quando fosse stato permesso di gareggiare a quella moto, ma allo stesso modo non vedeva grandi opportunità nemmeno in Europa. Alla fine, dunque, preferì concentrare gli sforzi sul mondiale 500 GP, dove la squadra italiana cominciava a soffrire la presenza della Yamaha di Jarno Saarinen, col risultato che la F750 non venne più impiegata in forma ufficiale. La MV 750 4 cilindri fu di nuovo utilizzata in pista soltanto nel 1986. Nella collezione di MV Agusta ufficiali che furono vendute al Team Obsolete, con sede a New York, nell’autunno di quell’anno, c’era infatti anche la 750 guidata da Agostini, che fu amorevolmente restaurata da Roberto Gallina e dal suo staff su commissione dei proprietari americani. L’intenzione, infatti, era quella di far gareggiare la moto a Daytona, nel Marzo del 1987, ma purtroppo non fu possibile allestirla in tempo. Fu dunque in vista di quell’appuntamento che mi venne chiesto di contribuire all’opera di messa a punto di un mezzo così prezioso da parte dello stesso Gallina, che tuttavia non poté partecipare al test, svoltosi in una fredda mattina di dicembre sul circuito di Misano, per via di un appuntamento con la dirigenza Honda in Giappone in merito alla disponibilità di una NSR 500 per Pierfrancesco Chili nella stagione successiva. Ad ogni modo, dopo aver percorso circa 40 giri in sella alla MV 750, intervallati da frequenti soste ai box per gli interventi del caso ad opera dei meccanici del Team Gallina, non solo la moto andava come doveva, ma la mia ammirazione per la bravura e il coraggio di Agostini era, per quanto possibile, addirittura aumentata. Il fatto che, quattordici anni prima, Ago fosse riuscito a non farsi staccare dalle Ducati di Smart e Spaggiari con questa moto la dice lunga sulle sue doti. Certe volte, infatti, la bravura di un pilota consiste anche nel rendersi conto che non è possibile vincere. Per Agostini, la 200 Miglia di Imola del 1972 rappresentava una corsa persa in partenza. Avendo a disposizione soltanto venticinque giorni per allestire le due moto da portare a Imola, il capotecnico della squadra MV, Arturo Magni, fu costretto a realizzare le 750 da gara su una base piuttosto vicina a quella del modello stradale da cui derivavano. Questo significa che la moto di Agostini era equipaggiata con la trasmissione ad albero e il cambio di serie, anche se per mitigare gli effetti del cardano sulla ciclistica fu realizzato un nuovo telaio e un nuovo forcellone. Furono poi montati dei freni a tamburo davanti e dietro, con l’anteriore da 230 mm, un Ceriani 4LS, invero sottodimensionato rispetto alla destinazione d’uso del mezzo, e il posteriore da 200 mm prelevato dalla MV tre cilindri da GP. Il fatto è che la 750 a quattro cilindri pesava ben 190 Kg (e raggiungeva i 240 Km/h...), contro i 126 Kg della 500 a tre cilindri. Dopo la 200 Miglia, durante la quale i negativi effetti della trasmissione finale ad albero furono evidenti, Magni progettò un sistema di conversione della trasmissione dal cardano alla catena che, in seguito, diventò parte di un kit di trasformazione di grande successo tra i ricambi aftermarket che lui stesso ha commercializzato attraverso il proprio marchio a partire dalla definitiva chiusura del reparto corse MV, avvenuta nel 1976. Questa evoluzione fu collaudata da Pagani a Misano insieme a una coppia di freni a disco Scarab da 280 mm che, grazie alla riduzione di peso, pari a 6 Kg, dovuta all’eliminazione dell’albero di trasmissione finale, gli permisero di abbassare di ben quattro secondi il suo tempo sul giro. Tuttavia, come già detto, la MV preferì concentrare le risorse del reparto corse sulla 500 da Gran Premio e la 750 fu messa in un angolo fino a quando l’intervento del Team Obsolete e di Roberto Gallina non la riportò alla luce. Così come la moto da Gran Premio dalla quale deriva, la 750 di Agostini ha una catena centrale che comanda il doppio albero a camme in testa, ma si differenzia per il blocco dei cilindri realizzato in un solo pezzo, montato su un basamento pressofuso di serie e sormontato da teste simili a quelle di serie, eccezion fatta per gli alberi a camme, che erano di tipo racing. Nonostante che il modello di serie della 750 avesse i cilindri separati tra loro, i regolamenti dell’epoca permettevano quel tipo di modifiche. L’angolo delle valvole era stato inoltre ridotto di due gradi, mentre il diametro di quest’ultime (due per cilindro) era passato da 30 a 34 mm per quelle di aspirazione e da 28 a 29 mm per quelle di scarico, con le alzate maggiorate da 8,5 a 9 mm. In questo modo, la potenza massima passava dai 69 CV a 8500 giri della moto stradale agli 85 CV a 10.400 giri della 750 da gara, che impiegava un impianto di scarico a megafono di tipo quattro in quattro ed era caratterizzata da un rapporto di compressione pari a 10,8:1, contro il 9:1 della moto di serie. Veniva mantenuto il sistema di accensione della moto di serie, anche se ciò obbligava all’installazione di una batteria a bordo, cosa piuttosto insolita su una MV da gara. Così come il modello stradale, poi, la 750 di Agostini impiegava uno schema a carter umido che conteneva tre litri di lubrificante nella coppa dell’olio. Tra le modifiche che furono apportate dopo la 200 Miglia c’era anche un cambio di tipo ravvicinato da abbinare alla trasmissione finale a catena, ma questa mossa non si rivelò azzeccata. Il comando risultava infatti piuttosto duro e, a differenza di tutte le altre MV a quattro cilindri che ho avuto la possibilità di provare quello stesso giorno a Misano, sulla 750 di Agostini non si poteva fare a meno di utilizzare la frizione per innestare le marce, altrimenti si rischiava incappare in rovinose sfollate. Tuttavia, anche utilizzando quest’ultima, la cambiata risultava lenta e macchinosa, a discapito dell’accelerazione fornita dal motore. Inoltre, ad aggravare le cose ci pensava la spaziatura piuttosto ampia tra i rapporti, che faceva emergere il carattere appuntito del motore, dovuto principalmente alla presenza degli alberi a camme racing. La spinta, infatti, si faceva interessante solo a partire dai 6000 giri, ma a quota 10.000 era già evidenziata la zona rossa sul contagiri Veglia a fondo nero. Pertanto, se si andava sotto a quella soglia, l’erogazione si faceva irregolare e si era costretti a intervenire sulla frizione per tornare nella fascia utile dell’erogazione, ma con un calo di circa 2500 giri tra una marcia e l’altra questa operazione non era affatto facile. Bisognava guidare in modo molto preciso, facendo girare il motore costantemente in alto, altrimenti si correva il rischio di vanificare tutto con un cambio marcia sbagliato. Come se non bastasse, la moto era piuttosto difficile da guidare al limite per un tempo prolungato. La stretta fascia di utilizzo era infatti abbinata a un regime di coppia massima molto vicino a quello in cui veniva erogato il massimo valore della potenza. Questo faceva sì che, per ottenere il meglio da questa moto si fosse costretti a mantenere il motore in prossimità dei 10.000 giri. Se per sbaglio si anticipava una cambiata o, per qualsiasi motivo, si chiudeva il gas e lo si riapriva di nuovo si perdeva inevitabilmente la potenza, la coppia e la velocità faticosamente guadagnate e bisognava aspettare un bel po’ prima di ottenerle di nuovo. Inoltre, a giocare un ruolo fondamentale in tutto questo era la carburazione. Durante le molte soste tecniche nei box di Misano, infatti, ho avuto modo di constatare quanto sensibili fossero i carburatori Dell’Orto da 29 mm (che sull’esemplare guidato da Agostini erano stati alesati a 30 mm), tanto che anche la più piccola modifica in termini di getti e taratura produceva effetti tangibili. La MV somigliava nella stazza alla sua rivale di allora: la Honda 750. In effetti, aveva più o meno la stessa maneggevolezza, che non era certo un gran che. Si trattava dunque di una moto piena di contraddizioni. Ad esempio, nonostante che, come detto, la 750 risultasse piuttosto grossa, la posizione di guida era viceversa molto raccolta. Agostini aveva sì un fisico piuttosto minuto, ma l’impressione era che i manubri e le pedane si trovassero proprio in una posizione sbagliata rispetto a dove sarebbero dovuti essere, cosa che viceversa non succedeva sulla MV 500 a quattro cilindri da Gran Premio che ho avuto la possibilità di provare quello stesso giorno. Rispetto a quest’ultima, poi la 750 sembrava larga il doppio. Per contro, l’interasse era davvero contenuto per una moto di quella cilindrata: appena 1340 mm. La 750 era più corta di molte 250, dunque, e possedeva una geometria di sterzo improntata alla massima maneggevolezza. L’inserimento in curva, in effetti, era degno del marchio che la moto portava impresso sul serbatoio e lo sterzo rimaneva piuttosto neutro nei tornanti da seconda marcia che caratterizzavano il vecchio circuito di Misano. Tuttavia, non appena si affrontavano i tratti più veloci con il motore in tiro emergeva un tremendo sottosterzo che proiettava la moto diritta verso lo spazio di fuga all’esterno della curva. Un comportamento davvero atipico per una moto dotata di un interasse così corto. Non doveva perciò essere facile guidare la F750 nei veloci curvoni di Imola. Il motore della 750 non consentiva dunque la minima distrazione ed era sempre lì a ricordare al pilota la sua derivazione stradale attraverso la tipica rumorosità, amplificata dalla carenatura integrale. Dal canto suo, il telaio in tubi numero 1402 (uno dei due fatti realizzare appositamente per la F750 da gara, caratterizzati da un punto di attacco supplementare del motore al telaio stesso), si comportava in modo onesto, così come le sospensioni, Ceriani davanti e Girling dietro, mentre decisamente superiore alle aspettative era l’efficacia dell’impianto frenante Scarab. Tuttavia, il livello ciclistico della 750 non aveva nulla a che vedere con l’eccellenza che la MV era riuscita a raggiungere nei GP. Molti si domandano ancora se la 750 da gara avrebbe potuto, con i dovuti accorgimenti, rivelarsi competitiva contro le tre cilindri Triumph e BSA, oltre che nei confronti dei bicilindrici Ducati. Ma questo, purtoppo, non lo sapremo mai..".

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giovedì 16 settembre 2010

Smart su Spaggiari per un goccio di benzina..














Con l'annuncio della rievocazione storica della 200 Miglia di Imola in programma nel week-end che andrà dal 01 al 03 ottobre 2010, ho aperto tutta una serie di post inerenti a questo argomento. Su Cesena Bikers avevo già scritto in passato circa le imprese di Paul Smart e Bruno Spaggiari che infuocarono la prima edizione della "Daytona d'Europa" con il loro mitico duello, risoltosi solo poche centinaia di metri prima del traguardo a causa della fine del carburante nel serbatoio del pilota italiano. In questo articolo voglio riproporre una piccola cronaca di questa epica sfida tra le due moto di Borgo Panigale che infiammò i 100.000 assiepati lungo il Tracciato del Santerno, riportando le parole scritte da un grande giornalista che visse in primam persona questo evento. Vado quindi a proporre l'articolo che comparve su "Il Resto del Carlino" di Bologna all'indomani di quella storica 200 Miglia e che porta la firma del Ezio Pirazzini:
Il varo della Daytona di Imola era strepitoso, superiore ad ogni aspettativa. La corsa del secolo appariva tale per 42 giri, fintanto che Agostini non si fermava col suo bestione sfiatato e ansante per lo sforzo sostenuto. Da quel momento le due Ducati di Smart e Spaggiari, si involavano verso il prestigioso e milionario traguardo della 200 Miglia Shell, la corsa che appunto entrava negli annali della storia come la Daytona d'Europa. Il tandem della Ducati, tolti i primi quattro giri lasciati a Giacomo Agostini, dominava per tutto il resto della contesa con un piglio e una autorità tali da lasciare increduli sulla possibilità elevata e continuata per 321 Km. La lotta fra i due si svolgeva all'insegna dell'ultimo goccio di benzina, perché Spaggiari, in testa fino all'ultimo giro, alla discesa della Rivazza, doveva rassegnarsi a spendere con parsimonia il suo residuo di carburante, lasciando così via libera a Smart giunto quasi a secco pure lui. Anche il Direttore di Corsa, Checco Costa rimaneva talmente sbalordito di questo finale a sorpresa che abbassava la bandiera a scacchi sull'italiano di Reggio Emilia. Spaggiari aveva fatto da battistrada dal 56° al 62° giro, anzi era rimasto in tale posizione fino a poche centinaia di metri dal termine, dimostrando quindi di essere degno di un traguardo che meritava, oltretutto, per festeggiare la sua seconda giovinezza sulle soglie dei quarant'anni.
Quanto Agostini sia permesso dire che aveva colto il destro per compiere una delle gare più belle e impegnate della sua carriera. La sconfitta non lo ridimensionava ma ne ingigantiva il tratto. Quando era costretto a fermarsi per la rottura del motore, Agostini era terzo a sette secondi dalla lepre Smart. Intelligentemente stava sostenendo un ruolo d'attesa come lui stesso sottolineava: "C'erano ancora molti giri da compiere e più di una probabilità per recuperare. Non so proprio se fossi riuscito a farcela, però avevo realizzato il giro record come i miei due antagonisti e sette secondi sono una inezia nel contesto di una maratona del genere. Chissà..!".
A conclusione dell'amaro sfogo, dopo essersi battuto come un autentico gigante, Agostini aggiungeva:"Potevo anche vincere e sarebbe stato il giorno in cui avrei vinto veramente io". L'allusione al mezzo meccanico sperimentale non completamente all'altezza della situazione appariva evidente. Infatti la sua MV 750, con trasmissione a cardano, ballava la samba nelle accelerazioni imponendo al suo fantino miracoli d'equilibrismo per mantenerla in linea. Il trionfo della Casa di Borgo Panigale recava anche un marchio imolese, quello del progettista ing. Taglioni non nuovo del resto a imprese del genere.
Le moto inglesi che mai avevano vinto Imola e che nell'occasione speravano, si arrendevano ancora. un italiano era il loro miglio guidatore. Walter Villa buon terzo a 29" da Smart. Phil Read, era quarto dopo essersi mantenuto sempre nelle prime posizioni. Fatto curioso il vincitore Paul Smart proprio il giorno del suo trionfo compiva i 29 anni e riceveva un bel regalino: oltre 7 milioni di lire di premio, una motocicletta che ne valeva altri due, più bazzecole varie. Una giornata doppiamente felice per il ragazzone californiano che aveva scoperto per primo l'Eldorado del motociclismo.
Ezio Pirazzini

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AUTODROMO DINO & ENZO FERRARI











Anche quest'anno, l'inizio dell'autunno sarà caratterizzato da un evento motociclistico che gli appassionati non potranno assolutamente perdere: la prova del Campionato Mondiale SBK che si disputerà sul circuito Dino & Enzo Ferrari di Imola. I palati più raffinati verranno adirittura deliziati, il week-end successivo con la rievocazione storica della 200 Miglia di Imola (la Daytona d'Europa), gara che dal 1972 ai primi anni ottanta ha visto darsi battaglia su questo tracciato, i migliori piloti di moto dell'epoca, in sella alle “derivate dalla serie” ossia le antenate delle attuali SBK. Visto che stò attendendo queste due manifestazioni con febbrile trepidazione, ho voluto pubblicare su Cesena Bikers la “biografia” del tracciato in modo da far si che anche chi non ne conosce la storia oramai sessantenaria possa farsi una idea di cosa è stato, cosa è e cosa sarà questo magnifico impianto, denominato da Enzo Ferrari “il piccolo Nurburgring”.


L'Autodromo Enzo e Dino Ferrari è un circuito automobilistico situato nel comune di Imola (BO), intitolato a Enzo Ferrari, fondatore dell'omonima casa automobilistica e al figlio Dino. Prima della morte di Enzo Ferrari avvenuta nel 1988 era chiamato Autodromo Dino Ferrari. È colloquialmente noto come Autodromo di Imola, e ha ospitato, dal 1981 al 2006, il Gran Premio di San Marino di Formula 1, oltre a molte altre corse automobilistiche e motociclistiche di caratura mondiale. È uno dei pochi tracciati in cui si corra in senso antiorario. Dopo la chiusura a fine 2006 le competizioni sulla pista sono riprese il 21 settembre 2008 con la gara del monomarca Porsche Cayman Cup, gara di contorno disputatasi poche ore prima della corsa valida per il campionato mondiale WTCC. Un'altra manifestazione è stata in calendario il 2 novembre successivo. Questo circuito - su cui hanno corso i più grandi corridori di motociclismo e automobilismo di ogni tempo – venne ideato alla fine degli anni anni '40 dall'ESTI (Ente Sport e Turismo Imolese) al fine di rivitalizzare la depressa economia della zona che, come molte altre, risentiva dei disagi del dopoguerra. Furono messi in cantiere diversi lavori pubblici che prevedevano, fra l'altro, la costruzione di una strada di collegamento tra la via Emilia e il vicino centro di Codrignano. Da questo progetto presero spunto un gruppo di amici - Alfredo Campagnoli, Graziano Golinelli, Ugo Montevecchi e Gualtieri Vighi, cui si aggiunse poi Checco Costa - che progettarono la realizzazione di un autodromo nella zona. La posa della prima pietra del circuito imolese avvenne il 22 marzo 1950; un primo collaudo si ebbe il 19 ottobre quando Enzo Ferrari fece provare una 340 Sport sulla quale si alternarono i piloti Alberto Ascari, Giannino Marzotto, Luigi Villoresi e Nino Farina. La Maseraii dal canto suo mandò Bertocchi. Le origini dell’Autodromo di Imola sono così ricordate da un testimone di eccezione, Enzo Ferrari, in un suo libro del 1980: “Il mio primo contatto con Imola risale alla primavera del 1948. Valutai fin dal primo momento che quell’ambiente collinoso poteva un giorno diventare un piccolo Nurburgring per le difficoltà naturali che il costruendo nastro stradale avrebbe compendiato, offrendo così un percorso veramente selettivo per uomini e macchine. Da questo mio parere i promotori di Imola si sentirono confortati. Nel maggio del 1950 si cominciò a costruire. Ero presente alla cerimonia della prima pietra, che fu posata dall’avvocato Onesti con il saluto del CONI e un contributo di 40 milioni che credo sia stato il primo gesto dell’Ente nei confronti dell’automobilismo sportivo. Un piccolo Nurburgring – mi ripetevo quel giorno volgendo lo sguardo intorno – un piccolo Nurburgring, con pari risorse tecniche, spettacolari e una lunghezza di percorso ideale. Questa mia convinzione si è realizzata attraverso i decenni che da allora sono trascorsi.” In quella occasione vi furono prove anche di motociclismo, col campione della Gilera Umberto Masetti su Gilera Lorenzetti sulla Moto Guzzi. Dovettero passare tre anni perché, il 25 aprile 1953, avvenisse l'inaugurazione ufficiale con una gara motociclistica GP CONI valida per il campionato italiano delle classi 125 e 500 che vedrà vincitori gli stessi Masetti e Lorenzetti. Nello stesso anno la gestione dell’Autodromo è assunta dall’E.S.T.I. (Ente Sport e Turismo Imolese), con presidente Tommaso Maffei Alberti. L'automobilismo fece il suo debutto a Imola il 20 giugno 1954 con la Conchiglia d'oro Shell promosso dall’Automobil Club di Bologna per vetture Sport, con una grande sfida tra Ferrari e Maserati: Umberto Maglioli (su Ferrari) giunse primo davanti a Musitelli e Luigi Musso che guidavano delle Maserati. A seguire la vittoriosa Ferrari di Umberto Maglioli giunse si classificarono anche due futuri protagonisti della storia dell’automobilismo mondiale: l’inglese Colin Chapman e l’australianoJack Brabham. Un altro big dell’automobilismo mondiale, Bernie Ecclestone, corse ad Imola nel 1956, in una gara di motociclismo con una Norton Max. Il 21 aprile 1963 si è assistito agli esordi della Formula 1 sul tracciato imolese, data in cui si svolse la prima gara non ufficiale, che però, vinta dallo “scozzese volante” Jim Clark con la Lotus Climax Brm con la quale alla fine della stagione diventò Campione del Mondo. La gara venne boicottata dalla Ferrari per via di alcune diatribe con gli organizzatori. Ciò nonostante, la massima categoria automobilistica non tornerà a correre dalle parti del Santerno per molti anni. Il 7 settembre 1967, invece, fu la volta del Motomondiale ad approdare sul tracciato con il “Gran Premio delle Nazioni”. Nel 1970 l'autodromo prese il nome di Dino Ferrari, il figlio di Enzo prematuramente scomparso negli anni '50. Il 1972 fu l’anno di un’altra grande idea motociclistica: Checco Costa si inventò la “Daytona d’Europa”, ovvero la mitica 200 Miglia trasportata sull’altro lato dell’Atlantico. In breve partirono i lavori di ammodernamento dell'impianto che riguardarono la zona del traguardo, con la costruzione della Variante Bassa per rallentare le percorrenze nel rettilineo dei box. Un'altra variante, la Variante Alta, venne creata nello stesso periodo per spezzare il tratto che scollinava verso le curve della Rivazza. Sempre negli anni '70, col passaggio della gestione dell'autodromo dal Moto club Santerno alla SAGIS, la direzione dell'autodromo riallacciò i contatti con la Formula 1 per ospitare una gara titolata. Dopo diversi sopralluoghi da parte della FOCA e dei piloti, ulteriori modifiche vennero realizzate per ampliare le vie di fuga; laddove ciò non fosse stato possibile, il disegno del tracciato fu modificato, come nel caso della chicane inserita nella curva delle Acque Minerali. Dopo ampi lavori di ristrutturazione del circuito e la costruzione del nuovo edificio box – all’epoca il più moderno d’Europa – si svolse, il 16 settembre del settembre 1979, un nuovo GP di Formula 1, non valido per il Campionato del Mondo ma con la presenza di tutti i team partecipanti al campionato; vinse Niki Lauda sulla Brabham di Bernie Ecclestone. L'anno successivo, il 14 settembre 1980, l'autodromo ospitò la sua prima gara di Formula 1 valida per il titolo mondiale: il 51° Gran Premio d'Italia, in quella circostanza spostato dal circuito di Monza. Dall'anno seguente, tornata la tappa italiana del mondiale a Monza, la pista imolese divenne sede del Gran Premio di San Marino. Sin da allora sul tracciato imolese si disputarono gare tra le più spettacolari del calendario del Campionato Mondiale F1, tant’è che secondo un’indagine effettuata dalla Federazione Internazionale dell’Automobile (FIA) nel 2005, il 35% degli appassionati nel mondo aveva dichiarato che il loro interesse verso la Formula 1 era strettamente connesso alla presenza del circuito “Enzo e Dino Ferrari” in calendario. A seguito della scomparsa di Enzo Ferrari, il 14 agosto 1988, al nome del figlio Dino venne affiancato quello del Drake. Nel 1994 è stato vissuto il GP più drammatico, con molti incidenti, alcuni mortali: venerdì 29 aprile, durante le prove, Rubens Barrichello si schianta all'uscita della Variante Bassa, ma nonostante il grave incidente riporta solo la rottura del setto nasale e l'inclinazione di una costola che lo costringono a saltare il resto della gara; sabato 30, l'ala anteriore della Simtek di Roland Ratzenberger si stacca e l'auto va a schiantarsi alla curva Villeneuve; il pilota muore e si tratta della prima fatalità in Formula 1 dalla morte di De Angelis nel 1986. Domenica 1º maggio, giorno della gara: allo spegnersi della luce verde la Benetton di JJ Lehto rimane ferma sullo schieramento e viene presa in pieno dalla Lotus di Lamy; i pezzi, tra cui una ruota, volano in tribuna centrale ferendo alcune persone tra il pubblico. Entra la Safety Car che per 5 giri scorta il gruppo. Alla ripartenza passano 2 soli giri (7º giro) quando laWilliams di Ayrton Senna esce dritta al Tamburello per la rottura del piantone dello sterzo e va a finire contro il muro. Senna viene trasportato all'ospedale di Bologna dove morirà poche ore dopo. Infine, ai box il panico è seminato da una ruota, staccatasi dalla Minardi di Michele Alboreto, che ferisce quattro meccanici. Dopo questa gara, il circuito ha subito nuove e radicali modifiche, in modo da renderlo meno pericoloso. La curva del Tamburello, teatro dell'incidente di Senna, è stata sostituita da una più lenta chicane, meno spettacolare ma più sicura, mentre il curvone dove picchiò Ratzenberger nelle qualifiche, denominato Villeneuve, è stato a sua volta soppiantato da due curve lente. Modificato anche il tratto denominato Acque Minerali, dove ora ci sono due pieghe veloci al posto della vecchia chicane e una via di fuga molto più ampia, le curve Rivazza, e la Variante Bassa, punto in cui Rubens Barrichello, come detto, rischiò la vita a causa di un brutto incidente. Di nuovo, a partire dal 1996 e per i tre anni successivi, tornò a fare tappa a Imola il Motomondiale con il GP Città di Imola e, sempre restando in tema di motociclismo, il 2001 vide debuttare da protagonista lo spettacolare ed affascinante Campionato del Mondo Superbike che permise a Imola di affermarsi nuovamente come primario circuito anche per le grandi manifestazioni internazionali motociclistiche. Nel 2004 il circuito ospitò per la prima volta il Campionato Europeo Turismo FIA (ETCC) dedicato alle vetture turismo e la gara del Campionato Mondiale FIA GT; entrambe le manifestazioni si sono ripetute nel 2005, questa volta con validità mondiale. Il 19 novembre 2006 alle ore 16:14, il vecchio corpo box è stato demolito utilizzando 700 candelotti di dinamite. All’esplosione hanno assistito 3.000 persone assiepate in un commosso silenzio sulla collina della Rivazza. Il circuito e le strutture annesse sono state oggetto di un piano di riqualificazione e di ammodernamento, conclusosi nel settembre 2007 e curato dal noto architetto tedesco Hermann Tilke, specializzato nella realizzazione di circuiti automobilistici. Il pit-building è stato interamente ricostruito: la nuova struttura conta 32 box (contro i precedenti 18), è stato creato un paddock molto più spazioso e realizzata la nuova Race Control che, concepita secondo i più moderni criteri, ospita uffici, direzione gara, sala cronometraggio, speakeraggio ed una vip-lounge. A queste opere hanno fatto seguito ulteriori interventi, eseguiti a ritmo serrato durante i mesi estivi del 2008, che hanno riguardato la ridefinizione del layout dell’ingresso della pit lane e l’ampliamento della via di fuga della Curva Piratella, oltre alla riasfaltatura del tratto di tracciato compreso tra l’uscita dei box e la fine della Curva del Tamburello nonché vari approntamenti di sicurezza quali cordoli, banchine erbose e barriere di gomme. Il 6 marzo 2008, viene firmata la convenzione per la nuova gestione trentennale del circuito. Nonostante l'esistenza di un contratto sino al 2009 il Gran Premio di San Marino è stato estromesso dal calendario 2007 e 2008 del Mondiale di F.1, in quanto i pesanti lavori di ammodernamento, richiesti dalla Federazione, non sarebbero stati completati in tempo utile per l'effettuazione del Gp. A questo va poi aggiunto la pesante crisi che ha travolto la SAGIS, ovvero la società che gestiva l'autodromo. Ad ogni modo, sarà ben difficile per Imola reinserirsi nel giro iridato della F1, stante la volontà politica della Formula One Management di non far disputare più di una corsa nello stesso Paese, oltre a quella di spostare il baricentro del Mondiale fuori dall'Europa. Grazie all'intraprendenza del gruppo Norman, il Comune di Imola, proprietario dell’impianto, ne affida la gestione a Formula Imola S.p.A. che riapre ufficialmente i cancelli dell’Autodromo il 3 maggio con l’evento “Imola torna in pista”: una due giorni di grande festa all’insegna di musica, sport, spettacolo e gastronomia alla quale intervengono 38.000 persone entusiaste di partecipare alla kermesse e soprattutto di poter accedere di nuovo all’interno dell’impianto simbolo storico della città. L’inaugurazione del tracciato, dal punto di vista sportivo, è avvenuta con la gara del Campionato del Mondo Vetture Turismo (WTCC) nel mese di settembre dello stesso anno e, dato il successo riscosso, il WTCC è stato ripetuto anche nella stagione 2009 il 18, 19 e 20 settembre. Nell’estate 2009 è stata realizzata la Nuova Variante Bassa, necessaria per rispondere ai requisiti omologativi richiesti dalla Federazione Motociclistica Internazionale. Tale intervento, atto a neutralizzare la lieve piega a destra caratteristica del tracciato per le auto, si colloca di fronte alla corsia dei box e apporta dal punto di vista sportivo un nuovo spunto di tecnicità, agonismo e spettacolo. I lavori per la realizzazione di questa variante si sono conclusi il 7 luglio e sono stati sperimentati in anteprima dai Campioni della Superbike in occasione dei successivi Test ufficiali che hanno avuto luogo dal 14 al 16 luglio in vista dell’attesissimo round del Campionato del Mondo Superbike che Imola ha ospitato dal 25 al 27 settembre 2009. Nell’ambito delle grandi manifestazioni di carattere non motoristico, va sicuramente citato il celebre Heineken Jammin’ Festival che dal 1998 ha richiamato oltre centomila spettatori per ciascuna sua edizione e proprio sullo scenario dell’Autodromo ha accresciuto di anno in anno la sua fama internazionale. Dal punto di vista morfologico degli spazi e delle strutture fisiche complementari, il circuito è da sempre considerato all’avanguardia in termini di flessibilità e funzionalità, l’utilizzo polifunzionale del circuito rappresenta, quindi, uno dei più importanti driver di sviluppo del piano industriale dell’Autodromo, per sfruttare al massimo il patrimonio immobiliare, territoriale ed organizzativo che il complesso esprime, per garantire l’indotto sul contesto circostante, generando revenue economiche con caratteristiche di continuità e di programmabilità.
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ALBO D'ORO MOTOMONDIALE:
ALBO D'ORO SBK:

mercoledì 15 settembre 2010

Habemus Sede!!






















Signori & Signore ora è UFFICIALE! A partire da ieri sera, martedì 14 settembre 2010, Cesena Bikers ha una sede sociale!! Questa importante crescita è stata resa possibile dalla gentilissima concessione fattaci dagli Old Boys di Ruffio che hanno deciso di condividere la loro sede con noi. Come già scritto su queste pagine web in precedenza, tra i gruppi Cesena Bikers e Old Boys Ruffio esiste un forte sodalizio e una grandissima amicizia nata attraverso la nostra partecipazione al Motoincontro che annualmente i "Ragazzacci di Ruffio" organizzano la prima domenica di agosto. Amicizia proseguita attraverso uscite in moto, cene e con il mio graduale inserimento all'interno di questo gruppo. Inserimento che l'inverno passato è diventato un vero e proprio legame tanto che, con mio immenso piacere, sono stato eletto membro del CONSIGLIO di "Old Boys Ruffio". Per questo inverno 2010-2011 i nostri "Peter Pan" della motocicletta hanno voluto fare di più, concedendoci la grande opportunità di utilizzare la loro sede per i nostri ritrovi settimanali. Orgoglioso annuncio quindi che Cesena Bikers ha ora la sua sede ufficiale che si trova presso il CIRCOLO ENDAS di Ruffio di Cesena (FC) - di fronte a Piazza terracini -. I ritrovi settimanali avverranno il mercoledì sera dalle ore 21:30.
Concludo ringraziando di cuore ancora una volta, a nome di TUTTI i Cesena Bikers, gli Old Boys Ruffio per questa grande opportunità concessaci.
Il Presidente Enrico Zani
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lunedì 13 settembre 2010

200 Miglia di Imola.. 30 anni dopo!















Dopo 30 lunghi anni torna una delle gare più emozionanti degli anni '70!
Dal 1° al 3 ottobre 2010 l'Autodromo Enzo e Dino Ferrari di Imola ospiterà la prima rievocazione storica della famosa "200 Miglia di Imola", un appuntamento assolutamente da non perdere per tutti gli appassionati delle due ruote. Ducati, vincitrice nel 1972 con Smart e Spaggiari (Cesena Bikers ha già trattato questo argomento, vedi link allegati) della prima edizione della storica ga
ra del Santerno, sarà presente alla manifestazione con una esposizione storica di alcuni tra i suoi modelli più famosi.
Le giornate di sabato e domenica rappresentano il clou della manifestazione con l'attesissima Parata GP, a cui parteciperanno più di cento campioni di una volta che, per l'occasione, gireranno in pista in sella alle repliche delle loro moto originali. L'evento prevede anche altre numerose attività distribuite nell'arco di tutte e tre le giornate, come alcune sezioni di prove libere in pista, riservate alle moto storiche di qualsiasi marca e cilindrata costruite dal 1972 al 1980 e la possibilità di entrare nel paddock per il classico "Pit-walk" sulla Pit Lane.

Tariffa di accesso al paddock della 200 Miglia :

Ingresso generale gratuito

Accesso nel paddock:

Venerdi : 10,00 €

Sabato : 20,00 €

Domenica : 20,00 €

Package 3 giorni : 30,00 €

Per ovvi motivi di sicurezza, la pitlane verrà sfollata prima di ogni parade, prova o corsa. Gratuito per i ragazzi sotto i 16 anni.

Inoltre nella serata di venerdì 1 ottobre in centro storico a Imola, presso piazza Matteotti ci sarà una magica serata all'insegna della memoria attraverso una mostra di moto , foto, filmati dell'epoca su schermo gigante 5x4. Nel corso di questa festa della motocicletta sfileranno i piloti della 200 miglia e si terranno: premiazioni ed autografi. Chi acquisterà il pass x 3 giorni riceverà un adesivo, la piastrella e numero unico (programma) della manifestazione.






































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