venerdì 30 dicembre 2011

Jarno Saarinen conquista il “Nuovo Continente”



Con l’ultimo post dell’anno voglio “raccontare la storia” della fantastica vittoria di Jarno Saarinen alla 200 Miglia di Daytona del 1973. L’articolo è tratto da una rivista che in quegli anni era sulla cresta dell’onda: “Il Pilota Moto”. Sul numero di aprile ’73, all’indomani della strabiliante vittoria dell’alfiere della Yamaha alla grande corsa americana, un giovanissimo Gianni Crespi, scrisse questo meraviglioso articolo, carico di entusiasmo. Va detto che Saarinen ai tempi era il volto nuovo del motociclismo ed era particolarmente amato dai giovani per il suo stile di guida innovativo e per la sua condotta di gara assolutamente sprezzante del pericolo. Nel 1972, in sella ad una Yamaha aveva conquistato il titolo iridato nella classe 250 del Mondiale di velocità, relegando il nostro Renzo Pasolini in seconda posizione nella classifica finale per un solo punto. Nel 1973 stava dominando sia nella quarto di litro sia nella Classe Regina sempre portando in gara le moto della Casa dei tre diapason. Alla grande vittoria di Daytona fece seguito quella ottenuta alla 200 Miglia di Imola (primo pilota nella storia ad ottenerle entrambe nella stessa stagione) nuovamente in sella alla una “piccola” Yamaha 350, sfidando le poderose 750 derivate dalla serie, giusto per chiarire a chi ancora poteva nutrire dei dubbi in merito, chi, in quella stagione fosse il più forte di tutti! Poi il 20 maggio di quell’anno, alla “curva grande” del circuito di Monza, all’inizio del primo giro del GP delle Nazioni della classe 250.. la morte. Istantanea, fulminea, si prese sia la vita del giovane finlandese che quella del suo rivale Renzo Pasolini. Quello che conta oggi però è parlare unicamente del grande successo di Jarno a Daytona, a tal proposito, non mi resta quindi che augurarVi una buona lettura del seguente articolo:

Il giovane pilota finlandese ha fatto sua anche la famosa e spettacolare gara americana, confermando le sue eccezionali doti e le grandi qualità delle “piccole” Yamaha che sono giunte anche seconda e terza.
Negli ultimi 22 anni, dal 1950 sino ad oggi, nessun pilota europeo era riuscito a vincere sul circuito di Daytona Beach la più ricca gara americana di motociclismo. Vi è riuscito, quest’anno, il finlandese Jarno Saarinen che con la Yamaha ha ottenuto un successo di grandissimo prestigio davanti ad una folla entusiasta di oltre 60.000 spettatori. Saarinen aveva corso diverse volte negli States ma mai era riuscito ad ottenere una affermazione degna della sua classe e della sue possibilità. Con la vittoria di Daytona, Jarno non solo ha incassato 15 mila dollari (cioè oltre 8 milioni di lire) ma ha tenuto ben alto il prestigio del motociclismo europeo oltre ad aver mostrato come le sue doti di tenacia e la sua impeccabile posizione sulla moto possano avere ragione anche su di una schiera di partecipanti particolarmente agguerriti. Nella scia di quella condotta da Jarno è arrivata un’altra Yamaha, portata in gara dal “vecchio” Kel Carruthers. A rendere “rotondo” il successo della grande Casa nipponica nella gara americana ha contribuito Jim Evans, terzo al traguardo. Il successo di Jarno Saarinen in sella alla Yamaha 350cc ha definitivamente dimostrato a quanti ancora ne dubitassero che la vittoria ottenuta da Don Emde lo scorso anno qui a Daytona su di una moto analoga non è stata un episodio sporadico e fortuito ma che le piccole 350 della casa di Iwata possono competere alla pari (se non addirittura essere superiori) alle grosse moto da 750cc “derivate dalla serie”. Per la cronaca, il quarto posto all’arrivo è stato ottenuto dalla Triumph Trident di Dick Mann.
C’era grande attesa prima della gara. E volavano scommesse! Il pubblico americano dava grandi preferenze alle Kawasaki e alle Harley Davidson. Come è nel costume e nelle abitudini degli americani, molte erano le scommesse, ma i bookmakers (oltre agli scommettitori stessi..) concedevano ben poche possibilità per la vittoria finale alla Yamaha di Saarinen che nelle quotazioni non veniva certo posta tra le favorite. Il finlandese ha così smentito anche i bookmakers americani con la sua condotta di gara tenace, impeccabile, da autentico fondista. Vederlo uscire dal “catino” di velocità era uno spettacolo elettrizzante. Una autentica palla di fucile: fisico raccolto e simbiosi perfetta con il mezzo meccanico. Esaltante! Jarno, partito nelle prime posizioni, ha voluto condurre una gara di estrema regolarità, ed è andato via via rimontando e superando avversari sino ad imporsi alla media di 98,178 miglia orarie sulle 200 miglia di durata della gara. Un vero spettacolo di potenza e di perfetto controllo del mezzo meccanico. Vale la pena di ricordare che nei 32 anni di storia della leggendaria corsa di Daytona, Saarinen è il terzo europeo che è riuscito a tagliare il traguardo in prima posizione. Chi più degli altri ha cercato di contrastarlo? Diremo a questo propositi, che nel finale l’australiano Kel Carruthers ha tentato a più riprese di avvicinarsi a Saarinen e di sorprenderlo. Una lotta “in famiglia” tra i due grandi alfieri della Yamaha, regine a Daytona. Un finale elettrizzante, nel quale tuttavia Saarinen aveva modo di mostrare tutto il suo senso del traguardo, il suo temperamento di sicuro campione. Alla fine quasi un minuto ha separato il vincitore dal secondo classificato. Va detto che l’australiano aveva tutto il pubblico dalla sua parte in quanto negli USA è già da tempo un “idolo delle folle”. Giovani e vecchi impazzivano per questo pilota che ha eletto a San Diego (California) la sua residenza stabile. Carruthers è un veterano delle gare motociclistiche ed è ben noto ai pubblici di tutto il mondo poiché avendo iniziato a gareggiare a soli 15 anni, si trova da ben 18 anni in sella. I 7 mila dollari che ha incassato con il secondo posto di Daytona (oltre 4 milioni di lire) rappresentano una meritata soddisfazione per la sua lunga e gloriosa carriera. La terza Yamaha, quella di Jim Evans, ha sancito la sensazionale affermazione della casa giapponese, soprattutto in virtù del fatto che non si trattava di una moto del lotto di quelle “ufficiali”. Evans con il terzo posto, si è assicurato la vittoria nella categoria dei “privati”. La corsa di Daytona è risultata dura, quasi spietata. Secondo la moda e lo stile americano c’è stata battaglia, violentissima, sin dai primi giri. Proprio per questo acceso agonismo, si sono avuti anche degli incidenti: la collisione tra le Kawasaki condotte da Marl Brelsford e Larry Darr (partiti come saette), mentre Cal Rayborn è uscito di pista in curva. Non sono poi mancate le noie meccaniche, i soliti fastidi che si concludono con autentici drammi sportivi e che hanno visto il ritiro dell’inglese Paul Smart (Suzuki), il quale aveva segnato il miglior tempo nelle prove. Smart si era fermato una prima volta ai boxes per cambiare la candela sinistra della sua moto, aveva ripreso ma poi, doveva fermarsi per lo stesso motivo. A questo punto la moto, con gravi problemi all’accensione elettronica non ripartiva. Identica sorte e medesimo inconveniente per lo sfortunato Guido Mandracci, uno dei due italiani al via. Il secondo nostro connazionale a partecipare all’edizione del 1973 della gara di Daytona era Renzo Pasolini. Noi tutti avevamo molte speranze in lui. Ma quanta sfortuna! Parliamo un po’ dei due italiani! La Suzuki di Mandracci aveva tenuto bene per oltre metà corsa: era riuscito a risalire in terza posizione dopo 33 giri dando seri grattacapi a tutti i favoriti. La sua corsa poteva essere addirittura magnifica ma, come Smart, è stato tradito dall’accensione elettronica. Poi Renzo Pasolini. La sua Harley Davidson non riusciva a reggere il ritmo delle moto giapponesi anche se Renzo effettuava autentiche acrobazie per tentare di continuare la gara. La sfortuna lo ha davvero perseguitato. Già nei primi venti giri la sua moto faceva registrare la rottura di una pedana e Pasolini doveva gareggiare con una gamba sollevata, in continua tensione e in quella situazione non poteva logicamente tirare a lungo. Veniva colto da crampi e il suo è stato davvero un amaro abbandono. Altri favoriti messi fuori combattimento sono stati: il neozelandese Geoff Perry, gli americani Gary Nixon e Gary Fisher ed il forte canadese Yvon Du Hamel. Ancora due parole sull’andamento della corsa. Saarinen, nelle prove ufficiali, aveva ottenuto “soltanto” il dodicesimo tempo su 94 partecipanti. Giro dopo giro, con una esemplare condotta di gara, ha rimontato una posizione dopo l’altra, sfruttando anche gli inconvenienti dei suoi avversari. Così è venuto a trovarsi solo e incontrastato in testa. Solo nel finale, Saarinen è stato insidiato da Carruthers, ma ha respinto anche quest’ultimo assalto, andando a vincere da dominatore. Al termine della gara, Jarno appariva ancora abbastanza fresco ed è rientrato sorridente nel suo box per presentarsi in serata alla premiazione ufficiale. In questa occasione diversi sono stati i commenti alla gara di Daytona. Ci trovavamo in compagnia di Mandracci che andava ancora con il pensiero alla sfortunata circostanza che aveva impedito alla sua Suzuki di completare la gara e di conquistare un brillantissimo piazzamento. Guido Mandracci, ad un certo momento della competizione, pensava anche di poter vincere e, infatti, ci ha detto “Accidenti, poteva essere la mia corsa. La moto mi ha tradito per un banale inconveniente. Tanto di cappello alla Yamaha ma ritengo che si potrà ingaggiare con loro una accesa battaglia”. Di questo avviso era anche il manager Biagini, il quale ritiene che con una preparazione più accurata sia della moto che del pilota (Mandracci correva per la prima volta a Daytona) si potranno ottenere l’anno prossimo delle grosse soddisfazioni e puntare in alto. Sono state, queste, delle semplici impressioni raccolte subito dopo la gara, ma è certo che Saarinen e la sua Yamaha (entrambi stupendi protagonisti a Daytona Beach) troveranno seri avversari sul loro cammino. Lo sport è bello anche per questo. Per la rivalità che esso riesce sempre a mantenere ben viva, per i propositi di rivincita, per una schietta rivalità che con il brivido dei 200 all’ora diventa, nello stesso tempo, fascino ed ebrezza. E Daytona ci ha lasciato un ricordo inebriante!

mercoledì 28 dicembre 2011

La vittoria di Geoffrey Duke a Monza su Libero Liberati

Geoffrey Duke: il Duca di ferro





Uno degli ultimi post che ho pubblicato, riguarda il grande Umberto Masetti, Campione del Mondo nella classe 500 nel 1950 e nel 1952. Avendo scritto di un grandissimo, tra i "pionieri" del motociclismo moderno, non potevo che pubblicare un articolo che riguardasse il pilota che di Masetti è stato il più grande rivale ossia: Geoffrey Duke.

L’eleganza, il garbo, la perfezione e un’insaziabile fame di vittorie. Geoffrey “Geoff” Duke per gli inglesi è “The iron Duke”, il Duca di ferro (in riferimento al Duca di Bretagna Geoffrey II, vissuto nel dodicesimo secolo); per gli italiani, che lo accolgono cinque anni sotto la bandiera della Gilera, semplicemente “il Duca”. Duke è il primo campione moderno del nuovo motociclismo, che dopo la guerra, vive il fermento dell’innovazione, non soltanto tecnica, ma anche organizzativa con la nascita, nel 1949, del Campionato del Mondo di velocità. Duke non è il primo titolato al torneo, ma il primo capace di cogliere due iridi in una stagione, per arrivare ad un totale di ben sei allori tra il 1951 e il 1955. Primo mattatore del campionato, a dispetto di una concorrenza ricca, si distingue per eleganza nello stile di guida, intelligenza nel gestire la strategia di gara, capacità di suggerire soluzioni tecniche. Tutto ciò è frutto di un’enorme passione. Nasce da una famiglia di umili origini il 29 marzo del 1923 a St. Helens (Lancashire – GB). Duke ha sempre amato ripetere: “Credo che il mio interesse per il motociclismo sia nato una domenica mattina del 1933, quando ho sentito prima il rombo dello scarico aperto di una Velocette e subito dopo l’aroma di uno sbuffo di Castrol Racing che penetrava nella mia stanza dalla finestra aperta”. Questo è il racconto di Duke, di come il motociclismo è entrato in maniera indelebile nella sua vita. Negli anni dell’adolescenza sfoga la sua passione, clandestinamente, assieme a due amici, smontando, elaborando, rimontando una vecchia Raleigh, prima di diventare motociclista vero su una decrepita Dot, acquistata a 17 anni con i guadagni del primo lavoro: apprendista meccanico, in una centrale telefonica delle Poste. Poi la guerra. Arruolato nel Genio Segnalatori, Duke presta servizio come motociclista porta ordini. Con lui vi sono alcuni dei più quotati piloti inglesi che diventano suoi maestri. Così, quando lascia la divisa nel 1947, Duke è già un pilota e con il premio del congedo acquista una BSA 350 da competizione per partecipare al campionato di trial. Come specialista di queste gare è assunto al reparto corse della Norton, attivissima nella velocità. Il passaggio alle corse su strada diventa così un fatto naturale, come inevitabile, nel 1948, arriva la partecipazione al Tourist Trophy dell’Isola di Man, “la corsa” per antonomasia. Anche se si schiera nella “Culbmen’s Race”, la prova riservata ai dilettanti, il terreno di gara, il Mountain Circuit di 60 chilometri e oltre 200 curve, è lo stesso, tremendo, affascinante del Senior TT. Ed ecco il perfezionista: approda sull’Isola con largo anticipo, compie un primo giro esplorativo, poi divide idealmente il circuito in tre porzioni, per i suoi allenamenti. A ciascuna dedica due giorni di prove con un continuo avanti e indietro, costellato di soste, per studiare con precisione l’andamento della strada, le traiettorie, ogni asperità dell’asfalto: è il suo primo inseguimento alla perfezione che poi ripeterà su tutte le piste. Non c’è fortuna nel primo TT ma, un po’ alla volta, arrivano le vittorie e a fine 1949 l’opportunità di entrare nella squadra ufficiale Norton. Della velocità. Il battesimo in questa veste è speciale: una serie di tentativi di record sulla pista ad alta velocità di Monthléry, alle porte di Parigi, assieme a Artie Bell. Un impegno che da la misura della sua capacità di osservazione e analisi e di trovare poi soluzioni: “Non capivo perché Artie fosse di quasi mezzo secondo al giro più veloce di me. Poi mi accorsi che la sua tuta aderiva perfettamente al corpo, non “sbatteva” frustata dall’aria come accadeva a me. Fu sufficiente applicare strisce adesive a bloccare la pelle della tuta in eccesso su braccia e gambe per risolvere il problema”. Una sorta di studio dei flussi aerodinamici che Duke perfeziona ideando a facendosi realizzare una tuta in un pezzo unico, una piccola rivoluzione che garantisce una elegante, maggiore efficienza rispetto alle tute in due pezzi usate a quell’epoca. Duke, qualche mese più tardi, completa l’opera ideando stivali aderenti, di foggia moderna. Un’idea nata dall’osservazione di una foto che lo ritrae in gara al TT e che lui studia attentamente come fosse il risultato di test in galleria del vento. Al TT nella 500 arriva quell’anno, il 1950, il primo successo in una gara iridata, preambolo a una successiva stagione d’oro: con la Norton è campione nella 350 e nella 500 sulle Manx monocilindriche che lui, anche sui circuiti più veloci, riesce a portare al successo contro le “plurifrazionate” e più potenti moto della concorrenza, in particolare le 4 cilindri MV Agusta e Gilera. E’ appena laureato e subito si conferma campione della 350, ma già sente la necessità di nuove sfide, sulle Auto con la Aston Martin ufficiale. Poche gare, in quel 1952, come coéquiper di Peter Collins. Generalmente non viene giudicato capace, al volante, quanto le è in sella. Fa eccezione il giudizio di John Wyer, responsabile della scuderia inglese (e negli anni a seguire regista delle vittorie di Jaguar, Ford e Porsche), che individua in lui un enorme potenziale. Destinato però a restare inespresso: Duke non si sente a suo agio in quella squadra e la lascia, così come abbandona la Norton che pure tenta di allettarlo proponendogli una nuova quattro cilindri non in grado però, di essere competitiva già dalla stagione successiva. Duke non ci sta, lui vuole vincere, e anche riscattarsi dopo un pauroso incidente patito sulla pista tedesca di Schotten, uno dei più gravi della carriera “L’unico del quale mi sia sentito responsabile: l’unica volta nella quale ho permesso che la mia concentrazione scemasse”. Facile a questo punto per Piero Taruffi, responsabile corse della Gilera convincere “il Duca” a legare i propri destini a quelli della Casa di Arcore. Geoff vola in Italia, prova subito le quattro cilindri a Monza: la trova formidabile ma individua anche un problema al cambio. Suggerisce modifiche, trovando resistenza da parte dei tecnici che considerano come quella moto sia la vincitrice del Mondiale di quell’anno con Masetti e che mai i tanti piloti che l’hanno portata in gara abbiano rilevato una deficienza della trasmissione. Ma accontentano il pilota inglese. Al primo test con la moto modificata è Alfredo Milani, pilota e collaudatore Gilera, a confermare stupito che la moto è nettamente migliorata. Un altro esempio della straordinaria sensibilità e capacità di Duke. Si inizia così il matrimonio con la Gilera ricco di gare e successi straordinari. Per tre stagioni arriva il titolo nella 500, anche nel 1955, l’anno dello “scandalo” di Assen. Duke, professionista superpagato non esita a manifestare la propria solidarietà ai piloti privati che inscenano nel GP d’Olanda una protesta, una sorta di sciopero bianco contro gli organizzatori, per questioni economiche. Duke paga il gesto con una squalifica di sei mesi (da scontare nel 1956) che pregiudica la stagione. Non ha fortuna nemmeno nel ’57 quando il titolo va al compagno di squadra Libero Liberati. Poi inaspettatamente la Gilera si ritira. Duke è ingaggiato dalla BMW, ma l’inferiorità della moto tedesca nei confronti della MV Agusta non può consentirgli di primeggiare. Però c’è ancora un giorno di gloria, nel GP di Svezia: un doppio successo 350-500 con la Norton. Perché il Duca è sempre di ferro. Anche se oramai ha imboccato il viale del tramonto. C’è ancora qualche gara in moto, poi in auto, con un grave incidente in Svezia. Infine un’altra iniziativa, una sorta di ponte tra passato e futuro: crea una squadra, la scuderia Duke, che porta in pista le vecchie Gilera 500 rigenerate. C’è un acuto con la doppietta di John Hartle e Phil Read nel GP d’Olanda. Ma i tempi non sono maturi per una simile avventura. Non è ancora il momento degli sponsor e Duke ci rimette di tasca propria, come in altre successive sfortunate iniziative imprenditoriali intraprese in quegli anni. La più fallimentare fu quella di una linea di traghetti tra l’Inghilterra e l’Isola di Man. Resta invece con il suo nome la Casa Editrice specializzata nella pubblicazione di libri e audiovisivi degli sport motoristici, inesauribile miniera di titoli per il piacere degli appassionati di tutto il mondo.
Il palmares del “Duca di ferro”:
Nel 1950 il suo esordio da professionista. In quell’anno arrivano le vittorie al Tourist Trophy, al GP di Belfast e al GP delle Nazioni a Monza (350 e 500). Fino al 1958 fa sue 33 vittorie sui 67 GP al quale ha partecipato (11 vittorie in 350 con la Norton; 22 vittorie in 500 di cui 14 su Gilera e 8 su Norton). Si aggiudica 2 titoli iridati in 350 (1951 e 1952, in sella alla Norton) e 4 nella 500 (1951 con la Norton; 1953, 1954 e 1955 con la Gilera). Coglie le due ultime vittorie al GP di Svezia del 1958 con la doppietta 350-500. Si ritira nel 1959.

lunedì 26 dicembre 2011

Grande Valentino!























Questo post non vuol essere un elogio al Campione di Tavullia, Valentino Rossi. A dire il vero il nove volte iridato non c'entra nulla con quanto riportato qui di seguito se non per la sua omonimia con il nostro amico Valentino Masini, al quale Cesena Bikers fa i suoi più sinceri complimenti per aver visto pubblicare il suo articolo inerente alla Yamaha TZ750 sul numero di gennaio/febbraio 2012 della rivista "MOTO STORICHE d'EPOCA". All'interno del servizio (della lunghezza di svariate pagine!) è anche stata pubblicata una foto dove insieme alla spettacolare TZ 750 del sig. Renzo Paganelli di Cesena (scattata nei box del circuito di Imola in occasione della 200 Miglia Revival) posano alcune delle nostre Cesena Bikers!! Grande Vale!! Con passione e competenza hai ottenuto un grande risultato!! E questo, potete scommetterci amici, non sarà che il primo dei suoi articoli a venire pubblicato!!

venerdì 23 dicembre 2011

Buon NATALE e Felice ANNO NUOVO!














Cesena Bikers, augura con il cuore: buon Natale e felice Anno Nuovo a tutti i membri del club, a tutti i lettori del blog, agli amici, ai simpatizzanti del nostro gruppo, a coloro che hanno accettato/richiesto il nostro contatto su facebook e che tramite esso seguono le nostre avventure e, a tutti i blog (e ai loro blogger) amici. Un augurio particolare va agli OLD BOYS RUFFIO con il quale esiste molto più che un gemellaggio ma a legarci è una profonda amicizia; ai ROAD SPIRITS di Cesena (FC), al MOTOCLUB PAOLO TORDI e all'AUTO-MOTO CLUB CITTA' DI CESENA, all'ASSOCIAZIONE OTELLO BUSCHERINI di Forlì. Cesena Bikers vuole inoltre ringraziare chi ha partecipato alle nostre uscite, al Motoraduno di Ruffio, al Motoaperitivo, alle cene e alle nostre varie iniziative, contribuendo a rendere anche questo 2011 una grande annata di MOTOCICLISMO e PASSIONE.

L’Anglo American Match del 1973














Yvon Du Hamel (Kawasaki ufficiale n.5), conduce su Peter Williams (John Player Norton n.12); seguono: Gary Nixon (Kawasaki n.4), Dave Croxford (Norton n.11) e Ron Grant (Suzuki n.7). La foto è stata scattata a Mallory Park durante "gara 2" delle Transatlantic Match Races (Anglo American Match) del 1973.

Anno 1973. Tra la 200 Miglia di Imola e la gara di Clermont Ferrand (sulla quale ho scritto un post in precedenza) si è svolta in Inghilterra la riuscitissima sfida Anglo- Americana (giunta in quell’anno alla sua terza edizione). Queste manifestazioni in cui si sfidavano in pista inglesi e statunitensi riscuotevano un notevole e meritato successo grazie ad un regolamento che prevedeva incontri brevi sui circuiti impegnativi. Questa formula, unita al montepremi assolutamente interessante che gli organizzatori mettevano in palio era di forte richiamo per piloti e Case Assai più qualificata che non alla maratona francese è stata la partecipazione dei piloti statunitensi e britannici, la quale ha assicurato un entusiasmante spettacolo (nonostante l’inclemenza delle condizioni metereologiche). L’Anglo American Match, si svolgeva nel 1973 sui classici circuiti salotto inglesi di Brands Hatch, Mallory Park ed Oulton Park. In ognuno di questi impianti si tenevano due gare successive ed ai piloti venivano assegnati i punti come nel Mondiale; naturalmente le squadre erano due ed il punteggio veniva ricavato sommando i punti totalizzati dai piloti individualmente. Nel 1973, per la terza volta consecutiva sono stati gli inglesi a trionfare, anche se, per un soffio! Il confronto si è infatti risolto solo nell’ultima delle sei gare in programma, ossia la seconda di Oulton Park.
Questa è la breve cronaca dei cronaca sei match:


Brands Hatch – Gara 1:
Incidente durante le prove tra Aldana e Jeffries: i due non riescono a prendere il via. Avvengono anche altri incidenti durante la gara che tolgono di mezzo i favoriti. Cadono infatti: Rayborn, Smart, Williams e Grant. Fortunatamente nessun pilota riporta alcuna conseguenza in seguito alle cadute. Vince Potter su una Norton Gus Kuhn. I numerosi piazzamenti degli americani fanno si che il punteggio sia di 81 USA e 55 Inghilterra.


Brands Hatch – Gara 2:
Prova di grande bravura di Rayborn che nonostante l’incidente nelle prove che gli aveva precluso il via di gara 1, parte con la moto riparata alla “bene e meglio” e dopo una bella rimonta vince. Nelle fasi iniziali della corsa si erano alternati in testa Baumann e Sheene. Gli inglesi questa volta conquistano più punti dei rivali: 75 a 60. Il punteggio totale dopo due prove è quindi di: 141 punti per gli USA e 130 per l’Inghilterra.


Mallory Park – Gara 1:
Vince Williams con la Norton monoscocca. La seconda Norton viene data a Craxford che sostituisce un Cooper non in grande forma. Gary Fisher, nella squadra USA sostituisce Dave Sehl, infortunatosi per un incidente. Barry Sheene prende il via con una Suzuki 500 e dopo una caduta rimonta entusiasmando il pubblico, ma viene squalificato perché a questo torneo possono prendere il via solo moto di cilindrata compresa tra i 600cc ed i 750cc. Per il maltempo viene ridotta la lunghezza delle due manche che passano da 22 tornate a 15. Gli inglesi totalizzano ancora un punteggio superiore agli Yankees: 75 a 60. Il totale ora è di: 205 Inghilterra e 201 USA.


Mallory Park – Gara 2:
Partono velocissimi i tre migliori americani: Du hamel, Nixon e Rayborn. Vince Du Hamel ma Williams e Smart (quest’ultimo superando lo statunitense Rayborn nel finale) riempiono il podio e tengono comunque alto il punteggio per i britannici. Alla fine i punti per gli USA sono 69 e quelli per l’Inghilterra 67. Il nuovo totale vede ancora davanti i britannici ai cugini d’oltre oceano per 272 a 270.


Oulton Park – Gara 1:
Vittoria sofferta del grande Peter Williams (senz’altro il migliore della squadra inglese) Per la prima metà della gara conduce Art Bauman. La sua moto accusa però un problema al selettore del cambio ed il pilota americano è costretto a ritirarsi. Emerge in questo incontro dave Aldana che riesce a stare alla ruota dei due fuggitivi (Bauman e Williams). Nelle fasi finali della gara Aldana deve però cedere alla rimonta di Smart e di Craxford. In questa gara, nonostante la prima piazza sia stata ottenuto da un portacolori della squadra britannica, sono gli Yankees a totalizzare il maggior punteggio: 69 punti contro i 67 degli avversari. Alla quinta delle sei manche in programma il punteggio tra le due squadre è in perfetta parità: 339 a 339!


Oulton Park – Gara 2:
Gary Nixon e Yvon Du Hamel sono i più rapidi al via ma il solito Williams li raggiunge e li supera. Paul Smart cade, Sheene (un po’ in ombra sino a questo momento) si scatena e supera Nixon conquistando una ottima terza posizione. Percy Tait, risalito dalle retrovie agguanta e poi supera Nixon ottenendo il quarto posto. Grazie a questi tre risultati l’Inghilterra è salva! I 77 punti totalizzati dalla squadra dei ”sudditi di Sua Maestà” contro i 59 totalizzati dai ragazzi “born in the USA” fanno si che la classifica finale dell’Anglo American Match del 1973 veda i padroni di casa totalizzare 416 punti contro i 398 degli ospiti. Nonostante la vittoria dell’Inghilterra è oramai chiaro a tutti che il livello dei piloti statunitensi è in continua crescita ed oramai gli Yankees sono pronti a battersi ad armi pari con i britannici.


I punteggi totalizzati dai singoli piloti sono:
Inghilterra: Peter Williams (Norton) 84; Dave Potter (Kuhn Norton) 59; Paul Smart (Suzuki) 56; Percy Tait (Triumph) 51; Mike Grant (Triumph-Norton) 40; Barry Sheene (Suzuki) 39; Dave Craxford (Norton) 37; Tony Jefferies (Triumph) 20; John Cooper (Norton) 18; Ron Chandler (Triumph) 12.
USA: Yvon Du Hamel (Kawasaki) 84; Art Baumann (Kawasaki) 60; Gary Nixon (Kawasaki) 60; Cal Rayborn (Harley Davidson) 60; Dave Aldana (Norton) 41; Mert Lawwill (Harley Davidson) 39; Ron Grant (Suzuki) 18; Dog Sehl (Harley Davidson) 16; Gary Fisher (Harley Davidson) 11; Cliff Carr (Kawasaki) 9.

giovedì 22 dicembre 2011

Le Superbikes fanno il loro ingresso ai Bikers’ Classics















Per divulgare questa notizia credo che non ci fosse periodo dell'anno più adatto di quello a ridosso delle Festività Natalizie. Essa infatti giunge agli appassionati di motociclismo ed in particolare a coloro che come me amano queste motociclette, come una vera e propria "strenna". Nell'edizione del 2012 dei BIKERS' CLASSICS si potranno infatti ammirare in pista le leggendarie Superbikes che a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli Ottanta hanno infiammato le piste del campionato AMA. Questo è quanto dichiara l'organizzazione della manifestazione:

Per la loro decima edizione i Bikers’ Classics accoglieranno le Superbike a Spa-Francorchamps. “É il momento di una svolta significativa” dichiara il direttore di DEGECOM, Christian Jupsin. “Il nostro decimo compleanno deve essere, per noi, una nuova partenza. Affronteremo una nuova e appassionante tappa della storia delle corse motociclistiche: nel nostro meeting che registra un enorme successo, affianco alle moto classiche di grande fama, ci saranno le leggendarie Superbike”. Christian Jupsin dichiara senza ambiguità che questo cambiamento nell’approccio operativo è motivato da certe reazioni del pubblico. I Bikers’ Classics, la cui prima edizione ha avuto luogo nel 2003, si sono presto imposti come un evento irrinunciabile per gli appassionati delle corse storiche. Il pubblico, ogni anno più numeroso, ha potuto ammirare ed incontrare le leggende viventi dei Grand Prix come Giacomo Agostini, John Surtees, Phil Read, Jim Redman, Freddie Spencer e Johnny Cecotto. “Quando abbiamo creato i Bikers’ Classics volevamo che questo evento, che si svolge a Spa-Francorchamps, diventasse il punto di riferimento per il mondo degli eventi di moto da corsa storiche, pensando sempre a migliorare giorno dopo giorno il prodotto”, afferma Christian. “Penso che sia giusto dire che ci siamo riusciti andando al di là di ogni aspettativa. Come organizzatori, siamo stati poi sensibili all’appello del pubblico che ama i Bikers’ Classics e che è inoltre desideroso di un’evoluzione della manifestazione verso qualcosa di nuovo. Mettendo sotto le luci dei riflettori le Superbike delle prime corse di questo tipo organizzate negli USA, senza trascurare quelle dei primi anni del Campionato del Mondo della specialità, sono sicuro che accontenteremo i nostri visitatori abituali riuscendo allo stesso tempo ad attirare un pubblico nuovo”. Christian Jupsin è estremamente entusiasta della nuova strada intrapresa dal Bikers’ Classics 2012. “Quando abbiamo cominciato a comunicare le novità dei nostri progetti abbiamo scoperto nella maggior parte delle squadre partecipanti una grande passione. Sembra inoltre che molte persone condividano la nostra motivazione nel far progredire il nostro concetto. Con l’aiuto di questi ultimi i Bikers’ Classics rimarranno al primo posto degli eventi di corse classiche”. Christian Jupsin preferisce non svelare i nomi dei piloti attesi al Bikers’ Classics 2012. “Ma capiamo bene il desiderio degli ex piloti, che provengono dai cinque continenti, di voler di nuovo pilotare le loro moto sul circuito di Spa-Francorchamps”, ammette sorridendo il direttore di DEGECOM. “Penso che sarà un grande spettacolo vedere queste moto rudimentali, non carenate, pilotate negli anni ’70 e all’inizio degli anni ’80 da piloti come Freddie Spencer, Mike Spencer, Roberto Pietri, Wes Cooley, Eddie Lawson e tanti altri ancora.. Queste Honda, Suzuki e Kawasaki avevano un legame diretto con le moto da strada cavalcate dai centauri dell’epoca e con la prima generazione di moto del Campionato del Mondo di Superbike, che saranno ugualmente le benvenute a Francorchamps”. Questa nuova fase non vuole però dire che a Spa-Francorchamps le icone dei Grand Prix non siano più le benvenute, e questo Christian Jupsin lo vuole sottolineare chiaramente. “Assolutamente no! Avremo come sempre un numero impressionante di Yamaha, Suzuki e MV degli anni ’70 e ’80 così come numerosi vecchi campioni del mondo e vincitori dei Grand Prix impazienti di lanciarsi di nuovo in pista. Abbiamo anche l’intenzione di organizzare una sfilata con alcune moto che hanno scritto la storia degli anni ‘60”. Christian Jupsin è gia contento all’idea di presenziare ai Bikers’ Classics 2012. “Penso che guardare e ammirare una selezione formidabile di piloti del Grand Prix, e assistere allo stesso tempo a una vera e propria invasione di Superbike sarà uno spettacolo unico per Spa-Francorchamps”.
La decima edizione dei Bikers’ Classics avrà luogo da venerdì 29 giugno a domenica primo luglio.


Per saperne di più:
http://cesenabikers.blogspot.com/2011/05/quando-gli-uomini-erano-veri-uomini-e.html

The Best of: TT 2011

mercoledì 21 dicembre 2011

La matricola da Gran Premio




















Sulla testata motociclistica “Moto Sport”, nel numero di gennaio 1972 veniva pubblicato un bellissimo articolo relativo ad un giovane pilota che aveva fatto il suo debutto in pianta stabile nei GP l’anno precedente. Questa matricola del Mondiale era un giovanotto inglese di nome Barry Sheene. Sia agli appassionati più attenti che agli addetti ai lavori, non occorse molto tempo per capire che questo ragazzo aveva delle doti particolari che gli avrebbero permesso di diventare Campione del Mondo un giorno. Riporto qui di seguito l’articolo, così come l’ho trovato. In esso viene descritta in maniera minuziosa la prima parte della carriera agonistica del Campione del mondo nella Classe regina del 1976 e del 1977:

Su un punto Agostini ha ragione: il motociclismo a livello velocistico è in crisi non solo per l’assenteismo sempre più marcato delle Case, ma anche perché in questi ultimi cinque anni non è uscito alla ribalta alcun nome nuovo. Nella stagione 1971, però, qualcosa è cambiato: due figure sono uscite infatti di prepotenza dall’anonimato: Barry Sheene e Jarno Saarinen. Due piloti giovani, ma profondamente diversi come stile di guida ed impostazione. C’è chi dice la misura delle loro forze l’abbiano data, sinora, solo sul piano del rischio (in particolare il finlandese), ma indubbiamente resta la realtà che essi hanno apportato qualcosa di nuovo – e di spettacolare – ad un motociclismo che sembrava assonnato e destinato ad esaurirsi nell’arco dei corridori conosciuti da sempre. Barry Sheene, londinese purosangue, ha ora 22 anni e quest’anno ha disputato il suo primo Campionato del Mondo, riportando il secondo posto nella graduatoria iridata delle 125cc, dopo aver vinto a Spa Francorcahmps, in Svezia e ad Imatra. Ma se avesse avuto una macchina pari alla Derbi di Angel Nieto, il titolo sarebbe stato senz’altro suo, perché in fatto di classe egli è nettamente superiore allo spagnolo. Read vede in Sheene un giovane di grande avvenire: “la sua classe è già grandissima e tra i corridori dell’ultima leva nessuno gli è alla pari. Certamente conquisterà diversi titoli iridati, se avrà le moto competitive per farlo. L’importante è che non si monti la testa o che si faccia sviare da cattivi consiglieri. Ma non credo che questo succederà. Barry ha già una certa esperienza ed è in grado di andare avanti senza appoggiarsi a nessuno”. Sheene ha studiato in un College inglese ed ha riportato l’equivalente della nostra “maturità”. Il padre, che è professore di tecnologia, avrebbe voluto che il figlio continuasse con gli studi, ma si è subito dovuto arrendere di fronte ai primi risultati sportivi. E siccome papà Frank è stato anche un discreto corridore, negli anni prima dell’ultima guerra, invece di ostacolare il figlio – appena intravvistene le possibilità – lo ha aiutato. Barry Sheene, nel “Continetal Circus” ha esordito quest’anno in veste di corridore, ma nell’ambiente era già notissimo. Tre anni fa, infatti, aveva accompagnato Tommy Robb durante tutta la sua turnèe europea, guidando il camion, facendo da meccanico e da cuoco. Dopo Robb, Sheene si è agganciato ad un altro corridore inglese, Young Lewis, sempre con la mansione indefinita di “tuttofare”. E’ stato proprio con una moto preparata da se che Barry Sheene ha esordito nel 1968. Buoni piazzamenti ma niente di più, perché la sua Bultaco monocilindrica di cavalli ne aveva veramente pochi. Migliore la stagione del 1969, che lo vede arrivare secondo nel Campionato inglese delle 125cc, dietro ad un altro giovane dalle grandi possibilità: Charles Mortimer. Solo nel 1970 Sheene riesce ad avere una moto all’altezza della sua classe ed è tutto merito del padre se il grande sogno si avvera: Frank Sheene acquista infatti per il figlio le Suzuki 125cc ex-ufficiali con le quali aveva corso sino ad allora Stuart Gram. Per Barry conquistare il Campionato Britannico divenne una cosa abbastanza facile, tanto che alla fine dello scorso anno decide addirittura di saggiare le proprie chances in una gara iridata: il GP di Spagna. Dopo una lotta serrata, cede nelle fasi finali ad Angel Nieto che del tracciato di Barcellona conosce ogni singolo metro d’asfalto. Con quel secondo posto al Montjuich, il nome di Sheene balza per la prima vola agli allori delle cronache internazionali. Gilberto Milani ritorna dalla Spagna impressionato “da quel ragazzino lì, con un nome difficile, che va davvero forte!”. Inizia la stagione 1971 e Barry Sheene è puntualmente al via della prima prova iridata sul difficile e pericoloso tracciato di Salisburgo. La gara delle 125cc è una lotta a coltello tra i denti, dall’inizio alla fine tra i tre piloti dalle grandi capacità e dalla classe indiscussa: Braun, Nieto e Parlotti che però si trovano incollato alle loro ruote Sheene. Nell’arrivo in volata Barry è terzo. Poche domeniche dopo, nella corsa più veloce di tutto il Campionato del Mondo (le 125 hanno realizzato una media di quasi 178 km/h!!) Sheene ottiene la sua prima vittoria iridata. All’arrivo del padre piange mentre la sua bellissima ragazza, in strettissimi minishorts cerca i flash dei fotografi. Barry Sheene, a soli 22 anni è già un idolo! In Inghilterra, accanto alle t-shirt che riproducono i notissimi volti di Mike Hailwood e di Phil Read, sono apparse ora quelle dello Sheene “capellone”. Simpatico e cordiale, Barry è riuscito ad accentrare su di se tutte le attenzioni degli appassionati britannici, ormai a corto di grandi campioni, con un Read che ha 33 anni, John Cooper “bluf” che ne ha altrettanti e con un Percy Tait, vincitore del primo campionato per moto di 750cc che ha oramai superato la quarantina. Diversi esperti hanno paragonato lo stile di Sheene a quello dell’Hailwood prima maniera. Una somiglianza che c’è davvero, accentuata dal fatto che Barry è uno dei pochi piloti del momento che riesca a correggere le traiettorie anche quando le ha impostate male. Il suo corpo è sempre in linea con la moto e il suo viso quasi costantemente sotto la carenatura. Come pilota si può considerare completo: oltre ai successi nella 125cc, Barry Sheene ha vinto anche il GP della Cecoslovacchia nella categoria 50cc, in sella ad una Craidler. In Inghilterra, in sella alle Yamaha private si è ripetutamente imposto nelle classi 250cc e 350cc. Con una Suzuki Titan 500cc si è piazzato alle spalle di Agostini a Silverstone ed in altri circuiti. La sua più bella giornata dell’anno l’ha vissuta a Mallory Park, dove ha conquistato tre vittorie in tre classi, 125cc, 250cc,350cc. Nel 1972 Barry correrà ancora con le Suzuki 125cc e 500cc raffreddate ad acqua. Ma probabilmente avrà anche una 750cc raffreddata ad acqua per le gare della “Formula 750”. C’è molto interesse per Barry Sheene in Inghilterra. Esso coincide con un rinnovato interessamento delle Case Britanniche allo sport (BSA, nonostante i travagli, Triumph e Norton). Che da questa combinazione di fattori nasca veramente la moto con la quale Sheene potrà lottare ad armi pari col nostro Agostini?

lunedì 19 dicembre 2011

TESSERAMENTO F.M.I. 2012



Per l'anno 2012, Cesena Bikers solcherà ancora linea tracciata in questo 2011 continuando a promuovere la sottoscrizione da parte dei suoi membri della tessera F.M.I.. Siamo ben consapevoli che, visto il periodo di gravi restrizioni economiche che tutti stiamo attraversando, non sempre è facile trovare la somma da "investire" (in quanto a nostro avviso proprio di un investimento si tratta!) per la tessera. Conosciamo però bene il grande valore intrinseco della tessera e anche quest'anno ci auguriamo che quanti più di voi decidano di volerla acquistare. Per tutti coloro che decidessero volersi tesserare tramite Cesena Bikers, come sempre Vi chiedo di recarVi presso la nostra sede ogni venerdì sera per l'incontro settimanale oppure di contattarmi tramite e-mail o sulla nostra pagina di facebook per avere i necessari ragguagli in merito.
Per saperne di più:
http://www.federmoto.it/home/tesseramento/scegli-la-tua-tessera.aspx

mercoledì 14 dicembre 2011

Umberto Masetti






















Riporto un bellissimo e toccante scorcio dell'intervita che Umberto Masetti rilascio agli autori del programma SFIDE (Aspettando valentino Rossi) in onda su RAI 3:

Umberto Masetti (Parma, 4 maggio 1926 – Maranello, 29 maggio 2006) è stato Campione del Mondo della Classe 500 nel 1950 e nel 1952. Pilota temerario è stato il più acerrimo rivale del grandissimo Geoff Duke. Masetti trascorse la vita passionalmente: corse, donne, divertimento.. Sembrava quasi che non ne volesse sprecare nemmeno un istante! Dietro a questa scelta c'era però una ragione profonda, una di quelle che non ti aspetti da chi ha un viso sempre allegro come il suo:
“Mia madre quando vedeva che spendevo.. questo e quell'altro, mi diceva: “Beh in fin dei conti rischi la pelle, oggi ci sei, domani non ci sei..” Dal '50 al '55 sono morti circa una cinquantina di piloti. Tutti piloti che erano miei amici e che, una domenica si e una domenica e si e una domenica no, il lunedì andavo al funerale!”.
E c'è un ricordo che più di ogni altro Umberto Masetti si è portato dolorosamente nel cuore: quello di Roberto Colombo e di un maledetto pomeriggio di prove sul circuito di Francorchamps:
“E io ero dietro poi ho raddrizzato la moto ed ho iniziato a frenare, butto la moto li e.. corro la! Lo prendo su.. Lui era la mezzo svenuto.. Lo prendo dietro la schiena con la mano e gli dico: “Oh Columbin.. Roby.. Roberto.. Roberto!” Tologo la mano da dietro la sua schiena e sento che dietro era tutto mollo. Era tutto sfondato nella cassa toracica.. Era Morto!”
“Avevo quel vantaggio li io: che mi staccavo completamente e se mi succedeva qualcosa non ci pensavo più e mi dicevo: “Devo pensare alla corsa! Al motore, al contagiri, agli avversari, ai piloti, alla curva come si deve fare e come non si deve fare!”


Per saperne di più:

Dopo un passato da dilettante (la sua prima vittoria in gara fu nel 1947, a Reggio Emilia, alla guida di un "Guzzino"), esordì nel motomondiale nel 1949 alla guida di una Moto Morini nella classe 125. Nello stesso anno impiegò anche una Benelli nella 250 e una Gilera nella classe regina, la 500. Talento precocissimo, nel 1950 fu il primo italiano a vincere il mondiale nella 500 grazie alle vittorie in due Gran Premi (in Belgio ed in Olanda) e ai 28 punti racimolati in classifica generale, solo un in più del secondo classificato, il britannico Geoff Duke. Grazie a questo successo Masetti divenne il primo "divo" del motociclismo. Nel 1951, ancora alla guida di una Gilera, vinse l'inaugurale Gran Premio motociclistico di Spagna, effettuatosi nello stesso circuito in cui correvano le vetture di Formula 1. L'anno seguente bissò il successo del 1950 grazie ancora alle vittorie in Belgio ed Olanda e ai 28 punti in classifica. Soprannominato "Topolino", nonostante il trionfo nella classe regina Masetti preferì autodeclassarsi e passare nella 250 con la NSU, ma un infortunio causatogli da un caduta avvenuta ad Imola gli permise di disputare solo il Gran Premio delle Nazioni, in cui si piazzò in sesta posizione. Nel 1954 tornò nella 500 con la Gilera, ma ancora una volta corse solo il Gran Premio delle Nazioni, in cui si aggiudicò la seconda piazza dietro il vecchio rivale Geoff Duke. L'anno successivo divise la stagione tra 500 (in cui arrivò terzo nella classifica generale grazie a 19 punti frutto di una vittoria, due terzi ed un quarto posto) e 250 (in cui si piazzò al quarto posto della graduatoria con un secondo, un terzo ed un sesto posto), stavolta in sella ad una MV Agusta, squadra a cui rimase fedele fino al 1958. Dal 1956 in poi le sue apparizioni nei circuiti internazionali si fecero più rare e nel 1958, dopo aver corso senza successo nella classe 350, decise di ritirarsi dal professionismo. Oltre ai successi in campo internazionale, Masetti si aggiudicò anche 6 titoli nel Campionato Italiano Velocità tra il 1949 e il 1955, in varie classi. A inizio anni sessanta emigrò in Cile, dove corse sino alla fine di quel decennio; nel biennio 1962-1963 lo si rivide anche nel Mondiale, in occasione solo del Gran Premio motociclistico d'Argentina quando corse con una Moto Morini nella 250 grazie ad una licenza cilena, ottenendo due piazzamenti a podio. Tornò in Italia nel 1972, chiamato da Checco Costa per l'inaugurazione della 200 miglia di Imola e, nell'occasione, ebbe modo di provare alcune macchine portate per la gare, dichiarando alla stampa la sua disponibilità al rientro nelle corse europee, nonostante i suoi 46 anni. Tale offerta non fu colta da alcun team e Masetti si stabilì con la famiglia a Maranello, trovando occupazione presso una vicina stazione di servizio. Rientrò nel settore motociclistico dal 1997, stavolta in qualità di dirigente della Aprilia. Negli ultimi anni della sua vita è stato direttore dell'"Associazione Italiana per la Storia dell'Automobile" insieme ad un'altra vecchia gloria del motociclismo, Nello Pagani. È deceduto all'età di 80 anni appena compiuti, nella sua casa nella notte tra domenica 28 e lunedì 29 maggio 2006 per complicazioni all'apparato respiratorio.
Info by Wikipedia.

martedì 13 dicembre 2011

Clermont Ferrand 1973: Barry Sheene sopra le polemiche.



Nelle foto, partendo dall'alto:
Barry Sheene (Suzuki 750cc), vincitore della gara; John Dodds (Yamaha 350cc), secondo al traguardo; Peter Williams (Norton JP 750cc "monocoque"), terzo classificato.

Clermont Ferrand 27 maggio 1973. Sulla carta, la gara di Formula 750, seconda prova del Trofeo, in programma sul pericoloso ed impegnativo tracciato transalpino, doveva essere più o meno una replica della riuscita 200 Miglia di Imola ma, nei fatti, non fu così. In prima battuta alla "Charade" ci fu una forte defezione da parte di tutti (o quasi) gli squadroni ufficiali che avevano preso parte alla gara imolese, nonostante gli organizzatori d'oltralpe dessero per certa la loro presenza. Nelle liste di iscrizione invece comparirono per lo più i nomi di piloti privati di nazionalità francese. Questo fece si che agli occhi del pubblico e degli addetti ai lavori la gara risultasse sin dall'inizio "sotto tono" rispetto alle premesse. Un altro punto a sfavore di questa manifestazione lo si dovette attribuire alle lacune del regolamento della Formula 750. Esso infatti concedeva alle moto di 350cc da GP, raffreddate ad acqua (purché prodotte in numero sufficiente per ottenere l'omologazione come moto di serie) di cimentarsi contro le 750 realmente derivate dalla produzione ordinaria. La vittoria di Don Emde alla Daytona 1972, in sella appunto ad una Yamaha 350cc a due tempi contro le grosse "settemmezzo" doveva essere un chiaro segnale che, così come era scritto il regolamento necessitava di essere rivisto, aumentando la cilindrata minima delle moto ammesse al via. In questo modo si sarebbe tolta di fatto la possibilità di schierare al via delle gare della Formula 750 delle 350cc a due tempi da GP. Il segnale arrivato dalla gara americana dell'anno precedente non fu invece accolto dalla Federazione e nel 1973 le cose restarono identiche all'anno precedente. Puntualmente quindi successe che una Yamaha 350cc, condotta dal fortissimo Jarno Saarinen mise a segno una storica doppietta: vittoria alla 200 Miglia di Daytona ed alla 200 Miglia di Imola. Ovviamente non si vuol metter in dubbio in questo articolo il fatto che Saarinen avesse un talento talmente fuori dal comune che con ogni probabilità avrebbe vinto anche con un mezzo differente entrambe le corse. Quanto scritto vuol solamente mettere in evidenza che a quel tempo, una 350 da GP poteva competere tranquillamente (quando non essere addirittura favorita..), con una 750 derivata dalla serie grazie al suo minor peso, al minor ingombro (tradotti quindi in una maggiore maneggevolezza) e al suo minor consumo. La Yamaha fu bravissima ad interpretare il regolamento e a comprenderne le lacune. Per un'azienda delle sue dimensioni, produrre il numero minimo di moto da corsa, necessario ad ottenete l'omologazione, non fu affatto un problema. Tornando alla gara di Clermont Ferrand va detto che la sopra citata lettura del regolamento, con il mero scopo di riempire la griglia di partenza da parte degli organizzatori, toccò un livello di farsa: furono infatti ammesse al via la Harley Davidson 350cc bicilindriche a due tempi da GP. Se da un lato la Casa di Iwata almeno aveva dalla sua il fatto di aver realmente prodotto un numero tale di moto 350cc da GP superiore a quello necessario da regolamento per ottenere l'omologazione come "derivata dalla serie", di certo la Aermacchi HD non si era neppure lontanamente avvicinata a quella cifra con le sue 350cc! Ultimo fattore a minare quella che sarebbe dovuta essere una "festa per il motociclismo" fu il fattore sicurezza del tracciato francese. La settimana precedente alla gara della Charade, alla Curva Grande del circuito di Monza morivano tragicamente Renzo Pasolini e Jarno Saarinen in un incidente la cui tragicità scosse notevolmente tutto l'ambiente del motociclismo. Questo drammatico avvenimento fece finalmente salire nella coscienza dei piloti la consapevolezza che in certi tracciati e in determinate condizione non si poteva correre! Allora infatti chi gareggiava, lo faceva troppo spesso a rischio della propria vita si circuiti insicuri. Allora era una tendenza comune tra gli organizzatori delle gare motociclistiche quella di dare molto poco peso alla vita di chi scendeva in pista! Ciò che si riteneva importante era il fattore risparmio sui costi di organizzazione e l’elemento propagandistico al fine di ottenere un forte richiamo del pubblico. Alla Charade la nuova consapevolezza da parte dei piloti, sfociò in una contestazione. La stessa è stata portata avanti da due piloti, delegati dagli altri nel far valere le proprie ragioni per il bene della categoria. Offerstand e Bourgeois, si sono fatti portavoce di 46 su 47 (Jacques Roca fu l’unico dissenziente) loro colleghi iscritti alla gara. Essi minacciarono gli organizzatori di fare in modo che nessuno scendessi in pista se non fossero state disposte molte più balle di paglia di quante già non ce ne fossero lungo il tracciato (e soprattutto nei punti giudicati più critici). Marcel Cornet, organizzatore dell’evento seppe però agire utilizzando tutta la sua furbizia: fece arrivare in tutta fretta un camion con cinquecento balle di paglia (ne erano state chieste almeno millecinquecento!!), facendole disporre dove indicato dai piloti. In questo modo incantò quelli meno tenaci e battaglieri, spezzando di fatto il fronte dei contestatori. Cornet, con astuzia speculò sulla passione dei piloti isolando di fatto Offerstand e Bourgeois. I primi a prendere le distanze dal fronte degli oppositori, furono i conduttori inglesi. Nei primi anni settanta, tra i piloti era infatti molto comune la mentalità che data la natura stessa del loro mestiere, i piloti “dovevano” rischiare, spesso più del dovuto proprio per “il fatto stesso di essere piloti”. A sposare in maniera particolare questa teoria erano i piloti britannici. Quelli che correvano sotto i colori della Union Jack infatti si formavano presso la “scuola del TT” e a differenza dei loro colleghi “continentali” avevano una visione molto più datata ed approssimativa del concetto di sicurezza dei circuiti. Un esempio tra tutti veniva offerto dal fortissimo Peter Williams che sosteneva con convinzione: “Un pilota di motociclette può dirsi tale solo se prende parte anche al TT!”. Cornet, forte di questa spaccatura che era riuscito a creare, addirittura riuscì a ribaltare la questione a proprio favore, proponendo per i due piloti per una squalifica a vita in quanto essi, persa la contestazione, provarono comunque a prendere il via della corsa, senza aver effettuato le qualifiche. L’abile francese, colse al balzo l’opportunità offertagli dal comportamento ingenuo di Offerstand e Bourgeois accusandoli di voler mettere a rischio l’incolumità degli altri piloti! Essi per paradosso passarono quindi dall’essere quelli che pretendevano maggior sicurezza a coloro che la minavano con il loro incauto comportamento! La Federazione non fu affatto tenera con questi piloti ed in un clima oramai avvelenato dalle troppe polemiche, inflisse ai due una squalifica di un biennio! Dopo aver illustrato ampiamente il clima che ha caratterizzato le fasi preliminari della manifestazione che, da festa del motociclismo si era trasformata in un vero e proprio incubo, torniamo alla cronaca della gara. Infatti, fortunatamente, una volta in pista, tutto ciò che aveva caratterizzato (ed avvelenato!) il pre-gara, passò in secondo piano e i riflettori tornarono su piloti e motociclette. Trentadue su quarantasette furono i piloti a prendere il via. Al primo passaggio in testa alla corsa passò John Dodds su Yamaha 350cc bicilindrica a due tempi. Subito tutto l’ambiente pensò di trovarsi di fronte ad un nuovo trionfo da parte di una “tre e mezzo” della Casa dei tre diapason ma, il pilota inglese veniva tallonato molto da vicino da Peter Williams su Norton 750 “monocoque”, da Barry Sheene e John Woods entrambi su Suzuki 750. Anche il nostro Gianfranco Bonera, in sella alla Triumph Trident 750 del Team di Bepi Koelliker seguiva da vicino l’alfiere della Yamaha. Rougerie in sella alla contestata Aermacchi H-D 350cc a due tempi tagliò il traguardo della prima tornata in settima posizione. Fino al sesto giro Dodds mantenne il comando della gara anche se Barry Sheene gli si fece sotto in maniera sensibile. Anche il transalpino Rougerie si mise in mostra con una rimonta sfrenata che lo vide arrivare in terza posizione, alle spalle del giovane pilota inglese. Il sogno di Rougerie si interruppe però qualche tornata dopo, quando cadde senza conseguenze per se stesso ma causando gravi danni alla motocicletta che non fu più nelle condizioni di poter riprendere le ostilità. Bonera nel frattempo occupava un’ottima quinta piazza che però gli sfuggi sul più bello quando alla sua Trident si svitò il bulloncino della leva del cambio costringendo il forte pilota italiano al ritiro. Dopo Imola, anche alla Charade l’accoppiata Bonera Triumph, fu costretta al ritiro da un guasto banale quanto decisivo. Alla fine della sesta tornata Sheene attaccò con decisione Dodds e prese il comando della gara. Giro dopo giro il pilota inglese della Suzuki seppe prendere sempre più distacco dal rivale in sella alla Yamaha potandolo ad oltre 42” alla fine della contesa. Il secondo posto per Dodds non fu affatto scontato in quanto Peter Williams e la sua spettacolare Norton iniziarono a recuperare secondi su secondi arrivando al traguardo con soli 16” di svantaggio. Barry Sheene si aggiudicò così la sua prima vittoria di livello assoluto nelle “grosse cilindrate”. La sua carriera sino a quel momento era stata caratterizzata da alti e bassi e nonostante la grande notorietà di cui già godeva, Barry non aveva ancora convinto appieno gli addetti ai lavori che non vedevano per lui (sbagliando grossolanamente ndr.) un futuro da “stella del motociclismo”. Questa affermazione segnò un decisivo punto di svolta per la carriera di Barry Sheene. Nel 1973, il pilota inglese si aggiudicò il Trofeo F.I.M. 750. Nei sette anni in cui si gareggiò in questa formula, Barry fu l'unico pilota a trionfare con una moto che non fosse una Yamaha. L'apice della sua carriera Sheene lo raggiunse con la conquista dei due titoli iridati consecutivi nella Classe 500 nel 1976 e nel 1977.

Per saperne di più:


venerdì 9 dicembre 2011

mercoledì 7 dicembre 2011

Joey Dunlop











Stupenda serie di video su Joey Dunlop e sulla mitica Armoy Armada.


Per saperne di più:





























La storia che oggi pubblico su Cesena Bikers è una storia che a me sta particolarmente a cuore in quanto è la storia di una amicizia, una di quelle con la A maiuscola che ha come punto focale attorno la quale si sviluppa e cresce: la passione per la motocicletta. La Armoy Amada è la storia bellissima e purtroppo tragica di quattro amici che a metà dei fantastici Seventies hanno realizzato il loro sogno di fondare un team di corse per motociclette. Un team che stava in piedi grazie alla loro passione in quanto soldi non ce n'erano. Un team dove non esistevano meccanici e piloti ma un team dove tutti dovevano saper fare tutto aiutandosi l'un l'altro. I mezzi da gara, venivano collaudati direttamente per le strade che si snodavano attorno al villaggio di Armoy la sera, dopo l'orario di lavoro. Invece che tv e stampa, ad assistere a questi collaudi c'erano i bambini della zona che vedevano i quattro della Armoy Armada come i loro idoli indiscussi. Un team che non partecipava al Motomondiale ma che si specializzò nelle terribili Road Races. Queste gare proprio in quegli anni, data la loro pericolosità, stavano uscendo dal calendario del campionato iridato. Le Road Races, definite a torto gare "minori" una volta uscite dal calendario delle competizioni "che contano" non hanno più avuto un riscontro mediatico tale da far si che potessero attirare sponsor munifici. Le Case non vi si sono più schierate in via ufficiale (anche se lo hanno fatto in via ufficiosa, utilizzandole come banchi di prova per i loro modelli di punta..), eppure esse sono giunte sino ai giorni nostri grazie alla passione degli uomini che le tengono in vita. La Armoy Armada a mio avviso è un vero e proprio simbolo che tutti i gruppi di motociclisti dovrebbero tenere come esempio. Con queste parole non è assolutamente mio intento esortare le persone a gareggiare su strada, cosa stupida oltre che assolutamente pericolosa. Il mio discorso verte sul concetto dell'amicizia che legava questi uomini del fatto che come i moschettieri avevano come motto il "Tutti per uno..". La moto spesso è un mezzo di aggregazione, io stesso affermo con orgoglio che nella mia vita di motociclista ho conosciuto tante meravigliose persone con le quali ho stretto delle belle amicizie. A volte però capita l'esatto contrario: la moto diventa un mezzo per pavoneggiarsi, per mettere in mostra il concetto: io sono più veloce di te.. Ebbene questo è un concetto assolutamente errato di intendere la motocicletta. L'idea di motogruppo in cui credo è quella in cui i più anziani (o quelli di maggior esperienza..) insegnano ai novelli come si gira in strada con la moto in sicurezza, mostrando a loro le traiettorie, facendo loro apprezzare la bellezza di una guida rotonda e pulita.. E' l'idea della condivisione della comune passione per la moto, oltre all'uscita domenicale.. Ho volutamente preso la Armoy Armada come esempio per spiegare meglio questo mio pensiero in quanto essi fanno parte di un epoca e di un motociclismo che seppur lontano, io sento molto più mio di quello attuale. Un motociclismo fatto di uomini, della loro passione, dello loro idee e delle loro intuizioni. Un motociclismo fatto di mani sporche di grasso, di attrezzi rudimentali coi quali ottenere comunque ottimi risultati; fatto di gente che sapeva prendersi cura personalmente della propria motocicletta, arrivando ad instaurare con essa un rapporto quasi "intimo". Un motociclismo lontano da quello attuale, asettico e "ipertecnologico", dominato dall'elettronica, dagli ingegneri dove il denaro la fa sempre e comunque da padrone. E' con grande piacere quindi che presento ai lettori la mitica Armoy Armada:

L'Armada Armoy è stata fondata nel 1977 da Mervyn Robinson, Joey Dunlop, Frank Kennedy e Jim Dunlop. Questa avventura durò per l'arco di 3 stagioni ossia dal 1977-1979. Durante questo tempo i “quattro moschettieri della motocletta” dimostrarono alla causa: impegno, dedizione, cameratismo e talento facendo vedere a tutti che l'Armada Armoy sarebbe realmente entrata nella leggenda dello sport motociclistico delle corse su strada.


Frank Kennedy 'Big Frank'

Frank Kennedy, o 'Big Frank' come lo chiamavano i suoi compagni della Armoy Armada in quanto “era così alto che dominava anche la più grande delle moto da corsa”. Frank era incline agli incidenti, anche se questo non ha intaccato la sua dedizione alle corse su strada: tanto che una volta provò a salire in sella alla sua motocicletta con entrambe le gambe spezzate! Frank possedeva un autosalone vicino ad Armoy, dei "quattro moschettieri" era senza ombra di dubbio il più benestante. Estremamente generoso, fu colui che permise di andare avanti finanziariamente al gruppo, girando ad esso una grossa parte dei profitti che gli fruttava la sua attività lavorativa. Il suo miglior risultato personale per quanto riguarda le Road Races fu il secondo posto ottenuto alla Nord West 200 del 1976 ottenuto alle spalle del pilota inglese Martin Sharpe vincitore di quella edizione. La sua vita si spense nel 1979 sempre alla North West 200.


Jim Dunlop

Jim Dunlop, l'unico membro superstite del quartetto. Fratello minore più giovane di Joey Dunlop è nato nella piccola città di Ballymoney. In lui l'entusiasmo per le Road Racing è cresciuto fin dalla tenera età. Nel suo palmares vanta: la partecipazione al TT dell'Isola di Man dal 1977-1981 assieme ai fratelli maggiori Joey e Robert. Recentemente Jim, in memoria delle imprese della Armoy Armada ha presentato una scultura a forma di motocicletta.


Joey Dunlop 'Il GIRK' (25 Febbraio 1952 - 2 luglio 2000)

Joey, ossia di Re delle corse su strada, è nato a Ballymoney, nella contea di Antrim. E' senza dubbio il più famoso del quartetto avendo un palmares sconfinato per quanto riguarda le Road Races. Tra gli infiniti successi ottenuti in ben 31 anni di carriera (1969-2000) vanno ricordati: 26 vittorie al TT ottenute in tutte le categurie: dalla F1, alla SBK passando per le 250 sino alle 125, che ancora oggi sono un record imbattuto. Sempre al TT ha collezionato ben tre triplette ossia ha vinto ben tre gare nella stessa edizione per tre volte! Non da meno sono le sei vittorie consecutive nel TT Formula 1 Race dal1983 al 1988. Oltre che i cinque campionati mondiali Formula 1. Inoltre ha trionfato almeno una volta in tutte le gare del calendario Road Races. Nel 1986 Joey è stato assegnato un MBE per il suo contributo alle corse. Ha anche ricevuto un OBE nel 1995 in riconoscimento della sua opera di carità. Pur essendo irlandese, gli è stata data la cittadinanza onoraria sull'Isola di Man. Nel 2000, all'età di 48 anni, Joey è purtroppo morto a causa di un incidente in sella alla sua Honda 125 in una Road Race in Estonia. Cinquantamila persone in lutto hanno partecipato al suo funerale. Tra queste c'erano motociclisti provenienti da tutta l'Irlanda, dal Regno Unito e dal resto d'Europa. Una statua memoriale è stata eretta nella sua città natale di Ballymoney, Irlanda del Nord.


Mervyn Robinson 'Robo'

Per Mervyn “Robo” Robinson carriera agonistica iniziò nel 1968. Aveva una grande passione per le corse su strada ed è stato grazie al suo grande entusiasmo che Joey Dunlop si è appassionato a questo sport. “Robo” era il cognato di Joey e anche uno dei suoi più grandi amci. Di professione faceva il meccanico e per la Armoy Armada fu il "mentore tecnico". Dato che i soldi scarseggiavano Mervyn insegnò al resto del gruppo “l'arte di arrangiarsi” costruendo i ricambi che mancavano o che erano troppo costosi e dando agli altri tre mebri la giusta competenza tecnica che nelle Road Races, soprattutto in quei tempi, era richiesta ai piloti. Joey Dunlop dovette a lui la sua grande capacità di capire le moto che nel tempo gli permise di avere sempre (o quasi) il mezzo più a punto rispetto alla concorrenza. Joey infatti sapeva benissimo di cosa aveva bisogno un mezzo per essere veloce ed affidabile nelle corse su strada e curava la messa a punto delle sue motociclette personalmente. Nel suo palmares Mervyn vanta la vittoria al sul tracciato di Kirkistown nel 1974 e soprattutto quella ottenuta nell'Ulster GP del 1975. Anche la sua vita come quella di Frank Kennedy e di Joey Dunlop finì a causa di un incidente in gara. Il suo incontro con la morte avvenne in occasione della Northwest 200 del 1980, nella gara 500cc.

martedì 6 dicembre 2011

La musica del passato..









Il post che state per leggere mi è stato "dettato" da un’amico qualche sera fa, al Motoclub. Si profilava essere una "normalissima serata": una delle tante passate insieme a parlare di motociclette, una di quelle in cui ognuno "dice la sua", dove passione e goliardia si fondono insieme. La classica serata al Motoclub insomma. Tutto si stava svolgendo secondo il "classico copione settimanale" quando, ad un certo punto, si è iniziato a parlare della Ducati 750 SS e della Moto Guzzi V7 Sport. In quel preciso istante ha preso la parola l'amico sopra menzionato (che per pura timidezza mi ha chiesto di rimanere anonimo..) ed ha iniziato il suo discorso:
"Nel 1970 avevo sette anni. Per tutta la prima parte degli anni Settanta, e anche per buona parte della seconda, ero solito, la domenica, uscire con i miei genitori, quando non lavoravano. Non si andava mai al mare o per lo meno non la mia famiglia e la nostra compagnia. Mio padre lavorava come facchino allo scalo merci ferroviario e mia madre invece come operaia in un magazzino ortofrutticolo. I miei erano soliti ripetere che le poche domeniche di primavera o di estate in cui non lavoravano, l'idea di andare in spiaggia, "in mezzo a tutta quella confusione" e in quel gran caldo, non li sfiorava neppure! L'unica maniera di trovare un po' di relax, dopo le fatiche lavorative accumulate durante la settimana, era quello di "andare a cercare il fresco" sulle nostre colline. Ecco allora che la domenica mattina, di buon ora, caricavamo la nostra FIAT 128 verdona con tutto l'occorrente per fare una bella scampagnata e, insieme ai colleghi di mio padre e alle loro famiglie, partivamo. Nella maggioranza dei casi, la meta dei nostri "pick-nick" era fissata nei pressi di Cancellino, una piccola località che si trova lungo il Passo dei Mandrioli. Bene o male si arrivava a destino ancor prima delle nove del mattino! Noi bambini, per non soffrire il mal d'auto, venivamo fatti partire a digiuno, per cui, giusto il tempo di scendere dalle automobili, dare una mano agli adulti a scaricare l'occorrente e venivamo rifocillati. Ricordo ancora quei gustosi panini ripieni di burro e marmellata fatta in casa che le nostre mamme ci preparavano! Mentre i nostri padri parlavano di politica, giocavano a bocce o a carte, le nostre madri, si prodigavano per preparare "l'accampamento" ed il pranzo. Noi bambini, appena ricevuta la nostra ambita leccornia, eravamo "liberi". I più piccoli scorrazzavano per i boschi facendo i loro giochi; noi, "i grandi" del gruppo, andavamo invece ad appostarci sul ciglio della strada, ansiosi di assistere allo spettacolare show che tutte le domenica "andava in onda" lungo lo spettacolare nastro d'asfalto che da Bagno di Romagna (FC) conduce sino a Soci (AR). Protagoniste assolute della scena erano le splendide moto di quegli anni, condotte con maestria dai temerari centauri dell'epoca. Nonostante fossimo giovanissimi e la copertura mediatica dedicata al motociclismo in quegli anni fosse alquanto limitata, noi eravamo molto ferrati in materia dato che leggevamo a scrocco, ogni mese, la copia di Motociclismo che Guerrino (un signore che tutt'ora, frequenta il bar) immancabilmente acquistava. Ci “ranicchiavamo” nel fosso che costeggia l'allungo che passa proprio di fronte alla chiesetta di Cancellino, dove i frati hanno il convitto. Li potevamo udire benissimo i propulsori delle motociclette "cantare" in quanto quel rettilineo consente di tirare sia la terza che la quarta, prima della staccata per la curva a destra da affrontare in seconda marcia. Ogni volta era un "vero tripudio musicale"! Ricordo chiaramente il "rombo di tuono" che usciva dagli scarichi Lanfranconi o dai Conti delle Ducati 750SS. Quella moto era fantastica! Aveva il cupolino filante e pareva una moto da corsa, trapiantata sulla strada! Simile per sonoro alla Ducati era la favolosa Moto Guzzi V7 Sport con i sui bassi pieni e corposi. Le prime volte, ad un orecchio "non allenato", era addirittura difficile capire quale, tra la desmodromica di Borgo Panigale e la "aste e bilancieri" di Mandello del Lario fosse in avvicinamento. Sempre bicilindrica, ma dal suono completamente differente era la meravigliosa Laverda 750 SF. Il suo fronte marcia monoalbero emetteva un suono gutturale e pieno, tanto da renderla riconoscibile già qualche chilometro prima che apparisse ai nostri occhi. E' ovvio che per strada ai tempi le moto più diffuse erano quelle di media cilindrata. Tra queste c'erano dei modelli strabilianti: la Ducati 450cc Silver Shot, le Scrambler; le Honda Four, in tutte le cilindrate; le Suzuki 500 Titan e le 380 GT, le mitiche Kawasaki 500 Mack III, le Morini 3 1/2 e tante altre ancora. Le 750 però per via della loro minor diffusione e della loro esclusività sono state quelle che maggiormente hanno stuzzicato la nostra fantasia. Noi bambini le vedevamo come veri e propri mostri di potenza e di “possenza”, condotte unicamente dai "veri manici". Esse inoltre erano quello che oggi sono le moderne Superbike: le basi di partenza sulla quale venivano costruite le “derivate dalla serie” che si sfidavano nelle 200 Miglia (Daytona ed Imola) e che, prendevano parte al Production TT così come alle numerosissime gare ad esse riservate, che proprio in quegli anni stavano vivendo il lor massimo splendore. In qualche sporadica occasione ci è capitata la fortuna di poter assistere al passaggio di una delle rare Triumph Trident o addirittura della "gemella" BSA Rocket 3! Le tricilindriche inglesi erano facilissime da identificare per via della loro "voce rauca", simile al ringhio di una bestia feroce! Da li a poco tempo il suono più famigliare è però diventato quello emesso dalla futuristica (per l'epoca..) Honda CB 750 Four. La maxi giapponese nel giro di pochissimo tempo dal suo arrivo in Italia, è diventata la vera e propria “best-seller” del mercato. I suoi quattro cilindri, ai tempi, sembravano qualcosa di assolutamente inavvicinabile, tanto da relegare le altre moto di cui ho parlato, al ruolo di " comprimarie" se non addirittura a quello di “moto di nicchia”, acquistate ed apprezzate solo dagli amanti del singolo marchio. Comunque sia, per noi vedere passare una Four era sempre una gioia per gli occhi e soprattutto, udirne l'ululato, lo era per le orecchie! Quando oramai stavo diventando grandicello, (ossia in età da motorino), nelle ultime uscite fatte insieme ai miei genitori, mi è capitato di udire una melodia tutta nuova. Questa musica sino ad allora praticamente inedita era quella emessa dai propulsori a due tempi delle Kawasaki 750 Mack IV e dalla Suzuki 750 GT: entrambe tricilindriche ma dal carattere completamente diverso: rabbiosa la moto di Akashi, con il raffreddamento ad aria; paciosa quella di Hamamatsu raffreddata a liquido. In quegli anni nella Classe Regina del Motomondiale, le 500 a due tempi di Yamaha e Suzuki avevano definitivamente scalzato la gloriosa MV Agusta dal ruolo di regina indiscussa dei GP che da circa quindici anni occupava! Il fatto di avere a disposizione delle moto dotate della “stessa tecnologia” di quelle che correvano e trionfavano nei GP stuzzicava non poco gli acquirenti! La conseguenza diretta fu che il sibilo rabbioso dei due tempi iniziò ad udirsi sulle nostre strade, sui nostri passi e quindi sul “nostro circuito” di quelle lontane domeniche. Il tempo da allora è passato, io sono cresciuto ed ho smesso di partecipare a quelle scampagnate domenicali, insieme ai miei genitori. Le moto sono molto cambiate con esse anche le “melodie” emesse dai loro scarichi. Va detto che allora elaborare una motocicletta e soprattutto “darle voce” installando degli scarichi liberi, era la regola e non l’eccezione! Da li a qualche anno anche io sono diventato un centauro e da allora non ho più abbandonato quella passione nata in me quando ero ancora un bambino. Ieri come oggi la prima cosa che mi colpisce di una moto è la sua “voce”. Ho sempre pensato che essa infatti ti dica subito tutto quello che devi sapere circa il carattere del mezzo che la emette. Purtroppo le cose non sono più come un tempo: dagli anni Settanta fino a metà dei Novanta, il motociclismo viveva in un clima di “beata anarchia”. Le norme anti-rumore erano praticamente inesistenti e comunque sia, da parte delle forze dell’ordine c’era una grande tolleranza a tal riguardo. Oggi invece siamo alle prese con una vera e propria “caccia alle streghe” in un clima di “tolleranza zero”. Le moto escono dalle Case con degli scarichi talmente “chiusi” da sembrare “motorette elettriche” anche se in realtà sono delle mille di cilindrata (le quattro cilindri nipponiche in maniera particolare). L’incauto centauro che decide di dare “voce alla propria amata” lo fa completamente a suo rischio e pericolo in quanto sa benissimo che in caso venga “pizzicato” la pena da pagare non sarà affatto leggera. Per fortuna, nonostante questo la moto ancora oggi come allora sa infiammare tanti (e tante..) giovani. Ciò significa che la passione è ancora viva nelle nuove generazioni anche se rispetto ai miei tempi, quella di oggi è una “passione con poca voce”..