Al giorno d'oggi, quando si parla del campionato mondiale Superbike, di quello Endurance, del Senior TT o comunque di tutte quelle competizioni riservate alle moto derivate dalla serie, la cilindrata che salta alla mente è una: 1000cc. Questo è infatti il limite massimo alla cubatura concesso alle moto con montano propulsori a quattro cilindri dal regolamento internazionale. Le due ultime stagioni hanno messo in evidenza, con le vittorie di Ben Spies in sella alla Yamaha R1e di Max Biaggi con la Aprilia RSV4, come questa configurazione sia attualmente quella vincente. Dato il regolamento attuale e considerando lo stato evolutivo dei propulsori, attualmente pare che il propulsore 4 cilindri di 1000cc sia vincente rispetto al suo “acerrimo rivale” ossia il bicilindrico da 1200cc. La storia del massimo campionato per le derivate della serie ci ha infatti sempre parlato di questa contrapposizione tra quattro e due cilindri. Da un lato c'è sempre stata la scuola nipponica, fedele al classico frazionamento a quattro, al quale tutte le “sorelle dagli occhi a mandorla” si sono da sempre standardizzate. Dall'altro lato della medaglia ad esse si è sempre contrapposta la scuola italiana, portata avanti (con immenso successo..) dalla Ducati e (con fortune alterne..) da Aprilia. Nel corso degli anni ci sono stati degli sviluppi e, questa regola che pareva assolutamente imprescindibile è stata infranta. E' quindi successo che alcune Case passassero dall'una all'altra architettura, andando a trovare il successo proprio nel momento in cui hanno “esplorato” quei terreni tecnici che non erano insiti nel loro DNA. La Honda nel 200 schierò una bicilindrica con la quale andò a sfidare la Ducati nel suo inviolato regno. La casa di Tokyo si tolse la soddisfazione di fregiarsi dell'iride nell'anno del debutto e nel 2002 con la mitica VTR 1000 (Sp1 e Sp2), al secolo RC51. Anni dopo fu l'Aprilia, Casa che aveva mosso i suoi primi passi in Superbike schierando una bicilindrica dalla alterna competitività, a passare al quattro cilindri, da sempre terreno di caccia per le case del Sol Levante, a conquistare il titolo iridato, in barba ai Giapponesi e alla teutonica BMW che è scesa in campo optando per questo indirizzo tecnico, investendo immensi capitali. Fino ad ora ho parlato unicamente di Marche e frazionamenti, tralasciando volutamente il discorso legato alla cilindrata in quanto ho ritenuto giusto, per far comprendere appieno il ragionamento che voglio affrontare con questo post, fosse giusto scrivere un preambolo con un po' di storia della categoria. Da quanto riportato si evince quindi che la vittoria nel campionato per le derivate dalla serie si è sempre giocata sul delicato equilibrio tra frazionamenti e cilindrate. Questo concetto è evidenziato dal fatto che nella sua esistenza il Campionato del Mondo Superbike ha visto per tre volte cambiare il suo regolamento tecnico la fine di rendere la lotta più equa possibile. Dal 1988 al 2002 la lotta era tra quattro cilindri da 750cc e bicilindriche da 1000cc; dal 2003 al 2007 la cilindrata massima per ogni tipo di configurazione era di 1000cc; dal 2008 ad oggi il limite è di 1000cc per le “quattro” e 1200cc per le “due”. Per i motociclisti dell'ultima generazione quindi, la tre quarti di litro è una cilindrata che non dice molto. Al contrario per chi come me è motociclisticamente parlando è figlio degli anni novanta, parlare di Superbike (o comunque di derivate dalla serie) equivale ancora a parlare di quella che in quegli anni fu la “classe regina”. La 750 ha visto la sua ascesa come cilindrata a partire dal 1984, quando la Federazione Internazionale allo scopo di limitare le prestazioni delle moto a quattro tempi derivate dalla serie impegnate nelle varie gare dell'epoca, impose questa cubatura come il limite massimo ammesso alle competizioni. In quegli anni e fino al 1987 esisteva un campionato per le moto derivate dalla produzione: il campionato Mondiale F1 ossia l'antesignano dell'attuale Superbike. Nei primi tempi le case nipponiche schierarono moto molto simili a quelle stradali (e quindi poco corsaiole) coma la Honda VF, la VFR 750-F o la Yamaha FZ. La grande svolta a questa tendenza avvenne nel 1985 quando la Suzuki lanciò sul mercato la splendida GSX-R750. La Casa di Hamamatsu, introducendo la “GIXXER” di fatto diede una spinta propulsiva al mondo della motocicletta. Da li in poi per gli smanettoni di tutto il mondo si aprì un vero e proprio giardino dell'eden colmo di novità fantastiche sfornate a ritmo serrato da tutte le Case. Fu così che nelle concessionarie arrivarono altre moto spettacolari come: la Kawasaki ZXR-750 “Stinger”, la Ducati 851 prima e 888 poi, le “esotiche” Yamaha FZR 750-R OW01 e ed Honda RC30 (entrambe da considerarsi lo stato dell'arte delle race-replica). Queste incredibili motociclette, con in sella piloti grandiosi come: Mick Grant, Wayne Rainey,Freddy Merkel, Fabrizio Pirovano, Raimond Roche, Doug Polen, Baldassarre Monti, Rob Phillis, infiammarono le gare su tutti i circuiti del mondo. Nella seconda metà degli anni ottanta e nei primi anni novanta esse furono le regine incontrastate delle corse. I cuori degli appassionati battevano come tamburi solo sentendole nominare. I ragazzini (come lo ero io al tempo) sbavavano sulle loro fotografie riportate sul mitico Motosprint, tanto che il mercoledì si passava dall'edicola per accaparrarsene una copia prima di entrare a scuola. Il settimanale veniva poi ovviamente tenuto aperto sotto al banco e durante le lezioni lo si sbirciava facendo attenzione a non essere “sgamati” dall'insegnate. A partire dal 1993 arrivò la seconda generazione di queste incredibili moto: la Suzuki lanciò la “GIXXER” raffreddata a liquidi al posto di quella precedente con raffreddamento misto aria/olio. La Kawasaki fece arrivare nelle concessionarie la meravigliosa ZXR-750 R con l'aspirazione forzata dell'aria; la Yamaha presentò la YZF 750 e la Honda tirò fuori dal cilindro la meravigliosa RC45. Nello stesso periodo la Casa di Tokyo volle meravigliare il mondo con quella che allora (e probabilmente anche adesso) fu la massima espressione della tecnica applicata al motociclismo: la NR750. Questa moto, riservata a pochissimi fortunati e facoltosi acquirenti fece storia a parte. Non arrivò mai sui campi di gara ma volle rappresentare una impressionante prova di forza da parte della Casa dell'ala dorata. Essa infatti vantava: pistoni ovali, due bielle per ogni pistone e 8 valvole per cilindro! Tutto questo “ben di Dio” venne messo sul mercato alla iperbolica cifra di ottanta milioni di vecchie lire! NR a parte tutte le altre si sfidarono in battaglie infuocate sulle piste di tutto il mondo con in sella una nuova generazione di piloti: Scott Russell, Aaron Slight, John Kocinski, Antony Gobert, Simon Crafar, Noriyuki Haga. Nonostante queste race-replica fossero l'evoluzione di quelle che le avevano precedute, esse riscossero meno successi in pista di quelle che le avevano precedute in quanto ebbero la “sfortuna” di scontrasi con l'arma definitiva made in Borgo Panigale ossia la Ducati 916. Questa grandiosa motocicletta, condotta da Carl Fogarty e da Troy Corser si impose con “paurosa” supremazia sulla concorrenza. Nonostante tutto però le 750 a quattro cilindri conquistarono comunque due allori: nel 1993 (quando ancora la 916 non c'era) fu la verde Kawasaki ZXR 750-R del team Muzzy's condotta dal biondo georgiano Scott Russell a vincere il titolo mondiale e nel 1997 si impose la Honda RC45 del team Castrol (Honda Britain) con i sella il “cavallo pazzo” dell'Arkansas John Kocinski. Il canto del cigno delle 750 in Superbike lo si ebbe con le ultime vittorie della nuova arrivata: la Yamaha YZF R7 OW02, con quelle delle Suzuki GSX-R SRAD e con quelle della ultima versione della Ninja 750 ossia la ZX7-R. A quei tempi il predominio dei bicilindrici era tanto evidente che addirittura la Honda, come detto in precedenza, decise di abbandonare il V4, da sempre suo cavallo di battaglia, per passare ad un V-twin da 1000cc. Se a partire dal 1998, con il vecchio regolamento in voga in Superbike per le 750cc in pista i successi si fecero sempre più sporadici, a livello di vendite, per quanto concerne le moto stradali, il declino delle race-replica da tre quarti di litro, iniziò ancora prima. Nei primi anni novanta infatti la Ducati, forte dei suoi innumerevoli successi in pista, andò a trovare un riscontro commerciale, con conseguenti numeri di vendite che sino a quel momento le erano stati del tutto sconosciuti. La Casa di Borgo Panigale si accaparrò una gran fetta di clienti che fino a qualche tempo prima “appartenevano” esclusivamente alle case nipponiche. Nel 1993 inoltre la Honda mise sul mercato la meravigliosa ed incredibile CBR 900 Fireblade. La moto aveva le dimensioni di una “settemmezzo”, pesava di meno e vantava più cavalli di tutta la concorrenza. Il tutto era unito al “family feeling” che solo le creature della Casa dell'ala dorata possono vantare. La CBR 900 Fireblade si dimostrò da subito la migliore quattro cilindri disponibile ai tempi sul mercato. Aveva un look da vera race-replica, amplificato dal bellissimo doppio faro in stile endurance, dalla carena traforata e dal cerchio anteriore da 16 pollici. Veniva proposta sul mercato ad un prezzo paragonabile a quello delle altre “settemezzo” come Kawasaki, Yamaha e Suzuki. Anche se, a differenza delle altre non vantava lo stesso legame con le competizioni, per via dei suoi contenuti tecnici, non impiegò molto a fare breccia nel cuore degli appassionati. La Honda con questa “mossa geniale” in pratica spazzò via la concorrenza che in quel dato momento storico era del tutto impreparata a trovarsi di fronte un competitor così incredibilmente forte. La scelta della Casa di Tokyo fu motivata dal fatto che allora aveva in listino la VFR750-F che era una sport tourer (e quindi era destinata ad una clientela differente) e che la sua Superbike replica era la RVF RC45 che essendo posta in vendita ad una cifra prossima ai quaranta milioni di lire (ossia il doppio del prezzo a cui venivano proposte le moto della concorrenza) non le garantiva volumi di vendita elevati. Alla Honda pensarono bene quindi di “estrarre dal suo cilindro magico” una moto con la quale si potesse dare un duro colpo alla concorrenza, andando a lavorare in un settore del mercato ancora poco sfruttato e che lasciava intravvedere immense potenzialità. La CBR 900 Fireblade oltre che a decretare la fine delle vendite delle 750 (e quindi la loro progressiva uscita di produzione), andò a prendersi anche il mercato delle 1000cc!! Ai tempi infatti le Case avevano in listino delle moto da 1000 o 1100 cc, ma esse erano viste come delle “ammiraglie” e non come moto sportive. La Kawasaki produceva la ZZR 1100, la Suzuki la GIXXER 1100, la Honda stessa aveva in listino la CBR 1000 e la Yamaha la FZR 1000 Exup. Honda e Kawasaki erano due “siluri” terra aria ma avevano la stessa agilità tra le curve di un “cancello da giardino pubblico”. La GIXXER 1100 era un po' più guidabile ma il suo peso era comunque troppo elevato per una sportiva. La Yamaha 1000 Exup era di tutto il lotto quella più racing. Era comunque inferiore alla Fireblade come guidabilità. Il propulsore della FZR era però superiore a quello della CBR. Fu proprio da questo elemento che la casa di Iwata partì per dare la propria risposta alla grande rivale di Tokyo, mettendo sul mercato la moto che aprì la nuova epoca del motociclismo: la YZF R1. Questa fu la definitiva fine della tre quarti di litro! Al giorno d'oggi le Case non credono più in questa cilindrata. Le uniche ad avere ancora in listino una “settemezzo” sono la Suzuki con la GSX-R750 oltre che con la nuova arrivata ossia la naked GSR 750 e la Kawasaki con la Z 750 (naked che da anni è tra le regine del mercato). Anche la Moto Guzzi crede in questa cubatura anche se la sua V7, in tutte le sue varianti, non è certo una moto sportiva e tanto meno una race-replica. Attualmente le moto da 750cc sono riconosciute come “il giusto compromesso” tra prestazioni e facilità di utilizzo sia su strada che in pista. La “settemmezzo” nonostante questo, da regina indiscussa è divenuta una comprimaria. I tempi in cui “un motociclista si sentiva un vero uomo solo se cavalcava una tre quarti di litro” sono definitivamente tramontati. Oggi queste fantastiche moto che hanno segnato un'era, conservano il loro grande fascino solo agli occhi degli appassionati e di chi, come il sottoscritto ha viso con i propri occhi lo svolgersi della loro grande epopea. Il motociclismo ha visto la sua storia seguire il suo corso e come in ogni cosa c'è stata una “naturale evoluzione” qualche appassionato di questa storica cilindrata però fortunatamente esiste ancora! Questa estate, durante una uscita infrasettimanale, nel periodo di ferie a cavallo di ferragosto, sono andato, in sella alla mia Speed Triple, al Passo della Calla. In questa uscita ero accompagnato dalla “tesoriera” di Cesena Bikers ossia la Zamma, in sella alla sua Suzuki GSR 600. Salendo per il bellissimo passo che collega Santa Sofia a Stia, qualche chilometro prima del Corniolo, abbiamo visto davanti a noi un gruppetto composto da tre moto. Appena ci siamo avvicinati, guadagnando strada ho capito cosa avevamo davanti! Si trattava di una RC30 il cui pilota indossava una tuta con i colori HRC di metà anni ottanta (quella di Spencer, Roche, Haslam e Mamola per intenderci..) e aveva il casco bianco e rosso con la livrea di Fred Merkel. Davanti a lui c'era una ZXR 750-R il cui pilota in tuta verde indossava il mitico Shoei di Scott Russell. Ad aprire la fila c'era una YZF 750 con pilota in tuta Yamaha e casco Haga replica (prima serie). Abbiamo fatto un paio di curve insieme e poi li abbiamo sfilati. Giunti al passo, precisamente al mitico chiosco, abbiamo parcheggiato le nostre moto e abbiamo atteso l'arrivo di questi motociclisti. Una volta che anch'essi sono arrivati, immediatamente dopo che hanno parcheggiato le loro spettacolari motociclette , sono andato verso questo gruppetto per domandare se fossero usciti direttamente da un portale temporale che li aveva catapultati ai giorni nostri dagli anni ottanta! Questi simpaticissimi signori, tutti sulla cinquantina, tra di loro amici di vecchia data, provenienti dalla provincia di Ravenna, hanno iniziato a chiacchierare con noi. In sunto mi hanno detto che le loro moto sono state acquistate nuove tra il 1990 (la RC30) e il 1995 (la YZF) e che da allora le hanno sempre tenute. Nel giro di qualche istante mi sono accorto di quanto tutte e tre fossero talmente perfette da sembrare appena ritirate dalla concessionaria! Mi hanno spiegato che effettivamente le avevano portate a casa qualche giorno prima da una officina presso la quale le avevano fatte rimettere completamente per portarle all'antico splendore. Circa il loro abbigliamento “d'annata” mi hanno detto di averlo cercato appositamente, in modo da avere un “coordinato perfetto”. Quello che posso dire è che ai miei occhi quelle motociclette che tanto mi avevano fatto battere il cuore da ragazzino, tutte li in fila davanti a me, mantenevano lo stesso, immutato fascino di quando erano in listino e io, quattordicenne consumavo le riviste dove venivano messe alla prova. Per me le 750 race-replica sono tuttora stupende “regine dimenticate” di un'epoca grandiosa per il motociclismo, belle come nessuna moto attuale potrà mai essere!
martedì 21 dicembre 2010
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3 commenti:
Ciao e Auguri a tutti gli amici di Cesena Bikers! Ho avuto la fortuna di provare anni fa in un'indimenticabile occasione una RC 30 con kit superbike e curata come le moto che hai descritto. E' stata e rimane una moto bellissima,costosa ed elitaria ma senza ombra di dubbio preziosa come solo un'opera d'arte può essere e, detto da un ducatista, ci si può credere! Soltanto pochi anni fa la 750 era la classe regina dei 4T, adesso è quasi un'entry level!
Come sempre, ti ringrazio per il tuo intervento!
Io prima o poi devo liberare la pazzia di comprarla, una RC30. Son troppi anni che la sogno... ma è sempre più inavvicinabile.
Però mi rendo sempre più conto che son soldi più sicuri che in banca... oltre che molto più divertenti! :-)
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