domenica 15 gennaio 2012

Bol d'Or 1969: un sogno divenuto realtà!


























Il nostro sport vanta una storia fatta di vicende entusiasmanti e grandiose, ma anche, a volte, drammatiche e commoventi. In ogni caso, qualsiasi sia stato il risvolto che un episodio legato al motociclismo agonistico abbia preso, si è sempre trattato di una storia di uomini, moto e gare! Alcune di esse hanno segnato più di altre questo sport, creando vere e proprie leggende che hanno varcato il tempo infiammando i cuori di tantissimi appassionati. La “favola” che oggi Vi voglio raccontare attraverso le pagine di Cesena Bikers è appunto uno di quei momenti che hanno reso immenso il motociclismo.
Anno 1969. In Europa è appena scoppiata la moda delle maxi moto. Dal lontano Giappone arrivano con la forza di uno tzunami moto meravigliose di grossa cilindrata e, una delle prime di esse, è la favolosa Honda 750 Four. In Francia, dal 1922 sino al 1960 (con le ovvie interruzioni negli anni del secondo conflitto mondiale) si è corsa una gara epica: il “Bol d’Or”. Questa competizione è l’equivalente per le moto di quanto accade in ambito automobilistico con la famigerata 24 Ore di Le Mans. I primi anni sessanta però sono anni di grave crisi per il motociclismo, sia transalpino che europeo: bassi volumi di vendite e scarso interesse da parte del pubblico che ora è attratto (e può permettersi..) dall’automobile Addirittura al “Bol d’Or” per riuscire a comporre una griglia di partenza era necessario accettare le iscrizione degli scooter!! Come detto però la fine del decennio portò con se un grande cambiamento di rotta e, complici i modelli nati nel Paese del Sol Levante, la gente iniziò ad appassionarsi nuovamente alla moto, intesa non più come semplice mezzo di trasporto nel senso stretto del termine, ma, come vero e proprio oggetto di passione! L’arrivo delle moto giapponesi in Europa fece si che anche l’industria del nostro Continente uscisse dal torpore in cui era caduta nel decennio precedente per dare vita a nuovi modelli, con i quali dare battaglia ai prodotti “dagli occhi a mandorla”. Tutte queste moto avevano bisogno di una vetrina sportiva adeguata con la quale ottenere la giusta promozione dinnanzi al pubblico. Tal e vetrina però doveva essere diversa rispetto al Mondiale in cui si davano battaglia le GP. I francesi lo capirono subito e nel 1969, dopo otto anni di “stop forzato”, si prodigarono per organizzare nuovamente il "Bol d’Or”. Chi concorse in questa scommessa fu un manipolo di giovani organizzatori, insieme ai giornalisti del settimanale francese di motociclismo “Moto Revue”. Il circuito che venne scelto fu quello di Montlhéry, un velocissimo tracciato sopraelevato, situato a sud di Parigi. Quello in cui però i transalpini non credettero con abbastanza convinzione (d’altronde, al primo tentativo, come dare loro torto..) fu che una tale manifestazione avrebbe esercitato un richiamo a livello continentale in quanto a team e a piloti. Essi infatti, in maniera del tutto prudenziale, idearono questa “edizione di ritorno” della famigerata competizione semplicemente come gara nazionale francese. Fu proprio questo fattore a giocare un ruolo determinante per gli allora diciannovenni: Michel Rougerie e Daniel Urdich. Per i due ragazzi infatti il 13 settembre 1969 si avverò quello che forse neppure avevano mai osato sognare: mentre erano nel paddock del circuito, intenti a preparare la loro moto in vista delle prove libere del “Bol”, vennero avvicinati da alcuni referenti della Honda Motor Co. che gli offrirono di portare in gara la moto ufficiale della Casa dell’Ala Dorata! Ma andiamo con ordine a spiegare cosa accadde quel giorno. La Honda aveva chiuso la sua attività agonistica a livello internazionale nel motociclismo, alla fine del 1967 per dedicare i propri fondi alle sue crescenti ambizioni, legate alla F1 automobilistica. Sul piano della produzione di moto di serie era però più che mai impegnata. “L’ammiraglia” della sua gamma era appunto la favolosa CB 750 Four. Per promuovere a livello mondiale questo modello a Tokio scelsero di partecipare alla corsa transalpina proprio con una versione adeguatamente preparata di questo modello al fine di ottenere, in caso di successo una preziosa pubblicità. Alla Honda c’erano da un lato i tecnici che misero a punto la moto, assolutamente certi di vincere la gara. A tal proposito essi “spingevano” affinché la Casa si schierasse in veste ufficiale. Dall’altro canto invece c’erano i vertici aziendali che, nel timore di fare nuovamente una “brutta figura” come quella rimediata dalla RC181 (la GP che pur pilotata dal grandissimo Mike Hailwood, non riuscì a strappare il Mondiale alla MV Agusta con in sella Giacomo Agostini), vollero adottare una politica prudente per non “bruciare” il loro modello di punta dinnanzi al grande pubblico. Si arrivò così ad una soluzione di compromesso che prevedeva che le moto fossero affidate (e quindi schierate in gara) dal concessionario inglese di Chester: Bill Smith Motors ma, assistite dalla Casa. Smiths, ex pilota, aveva stretti legami con la Honda, tanto che nel 1968 testò un prototipo della CB 750 sull’Isola di Man, fornendo così il proprio prezioso feedback agli ingegneri del reparto sviluppo della Casa nipponica. Nell’estate del 1969 la Honda portò le sue moto in Inghilterra cosicché Smiths ed il suo Team potessero collaudarle in tempo per il Bol d’Or, in programma a metà settembre. Steve Murray, un bravo pilota e caporeparto nell’officina di Smiths, provò due moto ad Oulton Park insieme a Bill Smiths, Tommy Robb e John Williams. A settembre le moto erano pronte e velocissime. Una volta a Montlhéry però non tutto andò liscio. Ai piloti del team anglosassone, giunti all’iscrizione della gara, venne detto che non potevano partecipare in quanto erano in possesso solo della licenza inglese ma che per poter gareggiare al Bol era necessario aver anche quella francese, rilasciata ovviamente unicamente dalla Federazione d’oltralpe. I piloti ed alcuni membri del team corsero allora a Parigi in taxi, presso gli sportelli della Federazione al fine di ottenere appunto quel “prezioso” documento a loro necessario per prendere il via della gara. Riuscirono ad entrarne in possesso e a tornare sul circuito giusto in tempo per l’inizio delle prove ma, al momento di scendere in pista, l’organizzazione negò loro il permesso di farlo in quanto: il “Bol d’Or” del 1969 era una gara nazionale francese e per potervi partecipare occorreva avere la cittadinanza transalpina. A quel punto allora da parte del Team, per non vanificare tutti gli sforzi sin li fatti, iniziò la febbrile ricerca di due piloti francesi con i quali rimpiazzare gli inglesi impossibilitati a correre dal regolamento. La concessionaria Honda di Parigi, la Japauto, che aveva concorso in questa avventura, prestandosi come la “base logistica” al Team di Smiths, a questo punto si rivelò fondamentale. Tra suoi uomini c’era il “team manager” dei giovani Rougerie e di Hurdich. I due piloti seppur ancora inesperti vantavano già una buona reputazione per le loro doti velocistiche e quindi vennero proposti al Team Smiths. Dato che le prove sarebbero iniziate di li a pochi minuti, al Team inglese (e alla Casa dell’Ala Dorata..), non avevano molta scelta e quindi i due diciannovenni “piacquero immediatamente”! L’accordo tra la Japauto ed il manager di Rougerie e Urdich, Christan Villaseca, andò in porto: a Villaseca in cambio dei suoi due giovani piloti venne regalata una CB 750 Four nuova fiammante! Per i due ragazzi salire su quella moto fu un’esperienza grandiosa. Essi non erano mai provato prima di allora una moto da corsa “di cui valesse la pena di parlare”. Ai tempi le quattro cilindri si stavano ancora diffondendo e quindi la Honda CB 750 Four, preparata per il Bol d’Or ebbe un grande impatto. A tal proposito Daniel Urdich in seguito raccontò: “Avevo 19 anni e dovevo iniziare l’ultimo anno delle superiori il lunedì successivo al Bol d’Or. Avevo cominciato a correre due anni prima con una CB 250 che avevo “truccato” io. Ricordo lo shock del pubblico quando ho portato il “Mostro” nell’area di controllo e verifiche tecniche: avevo attorno una dozzina di persone ed il silenzio assoluto! Era come se fosse atterrato un UFO!”. Mentre si avvicinava il momento della partenza aumentava la tensione. I capi nei box cominciavano a rendersi conto, dopo il parapiglia, delle pesanti responsabilità e aspettative che gravavano su Rougerie e Urdich. Smiths racconta: “All’inizio i due studentelli erano pietrificati! Tommy ed io ci raccomandammo più volte che guidassero sciolti ed in modo costante in quanto la moto era velocissima e per ottenere un buon risultato nelle prove ed anche in gara, bastava solo che non fossero caduti!”. Durante le qualifiche, i due piloti che si alternavano alla guida della moto con lo scopo di prendervi confidenza, fecero molte soste per effettuare le varie regolazioni. Urdich racconta: ”Ero abbastanza nervoso. Soprattutto quando i tecnici giapponesi ci chiesero quanto avessimo voluto che la moto tirasse: 210 km/h? 230? 240? Non avevamo idea! Io e Michel non avevamo MAI pilotato moto che avessero superato i 170 km/h! I tecnici ci dissero che avevano valutato che la nostra moto poteva essere di circa una trentina di chilometri orari più veloci di gran parte di quelle della concorrenza, escluse le Kawasaki H1.”Alla fine delle qualifiche Rougerie e Udrich ottennero il quarto posto dietro alle tre Kawasaki ufficiali. Nel breafing serale venne stabilito che i due piloti si sarebbero alternati alla guida con turni da un’ora e mezza cadauno. Al momento delle soste ai box, i ragazzi del Team Smiths si sarebbero occupati dell’olio e della lubrificazione della catena della trasmissione secondaria con del grasso alla grafite; mentre quelli della Japauto avrebbero gestito il rifornimento del carburante. Il momento della gara arrivò. Purtroppo il bel tempo che aveva caratterizzato tutta la settimana precedente alla competizione, lasciò il posto alla pioggia, complicando ulteriormente le cose per i due giovani piloti transalpini. Urich a tal proposito raccontò: “Non avevo mai corso con la pioggia e tenni una condotta molto prudente. Tommy Smiths, fu deluso della mia performance. Michel invece sulla pista bagnata guidava con disinvoltura ed era molto veloce. Egli proveniva dalla piovosa Parigi ed era abituato a quelle condizioni che per me invece erano proibitive.” Delle tre Kawasaki H1, tre cilindri a due tempi che in prova avevano preceduto la Honda del Team Smiths, solo una si dimostrò realmente proiettata verso la vittoria finale, dominando le fasi iniziali della gara. Steve Murray disse a tal proposito: “Andavano come il vento, ma conducevano la gara solo perché ogni volta che si fermavano ai box avevano la necessità di fare unicamente rifornimento di carburante”. Alle 02:30 del mattino, Murray andò a dormire ordinando di venire svegliato 15 minuti prima che Urdich salisse in moto dando il cambio a Rougerie. Il suo sonno però durò pochissimo. Egli racconta: “Mi ero appena buttato giù, quando Matsuda disse che Michel stava riportando la moto ai box senza luci e a motore spento! L’interruttore dei fanali era andato in pezzi ed erano saltati i fusibili. Yoshio Nakamura, il capo del reparto corse della F1 in Casa Honda che supervisionava l’impresa per conto della Casa dell’Ala Dorata, disse a Matsuda di toglierne uno dalla moto di scorta, ma io, per non perdere altro tempo prezioso, rimossi semplicemente le connessioni all’interruttore rotto e misi altri fili, facendo “un ponte” di modo che, quando partiva l’accensione, si accendevano anche le luci. Avevo quindi bisogno di un fusibile ma.. non ce n’erano!!”. E’ Bill Smiths a proseguire nel racconto: “ Steve prese un pacchetto di sigarette, gli tolse la carta argentata, la arrotolò sino ad ottenere un “fusibile di emergenza” e la incastrò nella moto ed essa ripartì! Circa sessanta minuti dopo, Urdich rientrò ai box con la moto ingolfata. Scoprimmo quasi subito che c’era dello sporco nel carburante. Fortunatamente la CB 750 Four aveva nel modello di serie un grosso gancio a W sotto la vaschetta del carburante che ne agevolava la rimozione per le operazioni di pulizia. Questo sistema fu mantenuto anche nella moto che schierammo al Bol d’Or e quindi ovviare all’inconveniente che si era creato fu piuttosto semplice”. Rougerie era dei due, palesemente il più veloce. Guadagnava terreno sugli avversari in sella alle Kawasaki sia sul bagnato sia sull’asciutto. La pioggia infatti andò e venne per tutto l’arco della gara. Pian piano anche Urdich acquistò fiducia in sé e iniziò a tenere testa ai leader della corsa. All’inizio infatti Rougerie guadagnava e Urdich perdeva . Il resto della notte e il mattino seguente trascorsero senza problemi, con la Honda a ridossi degli avversari in sella alle “verdone” di Akashi. All’avvicinarsi del traguardo pomeridiano, dopo aver via via migliorato il passo di gara, i due giovani piloti si erano insediati stabilmente in seconda posizione. Smiths a riguardo racconta: “ Era quasi mezzogiorno. La Kawasaki che fino ad allora era stata in testa fu tenuta ai box per quasi mezz’ora. Dopo altri trenta minuti circa, la moto prese di nuovo la corsia dei box. Aveva un problema alla catena. Osservai allora i meccanici al lavoro e mi accorsi che quel tipo di manutenzione si sarebbe dimostrato per i nostri avversari un vero e proprio calvario. Iniziai a ridere dentro di me quando per cambiare la catena vidi che dovettero alzare i tubi di scarico perdendo una marea di tempo! Credo che quando riuscirono a mettere la moto in condizione di riprendere la pista, la gara fosse già terminata!”. A quel punto, con la Kawasaki H1 capolista costretta ai box la Honda di Rougerie e Urdich si trovò in prima posizione. Il sogno si avverava: due ragazzini, con pochissima esperienza alle spalle, capitati per caso in sella alla moto schierata dalla più grande Casa motociclistica del pianeta, vincevano il Bol d’Or! Come stabilito a priori, in base alla suddivisione dei turni di guida, fu Urdich ad effettuare la fase finale della gara e quindi a tagliare il traguardo. La folla si riversò in pista e portò in trionfo questi due “eroi insperati”. Il giorno successi al Bol d’Or, il Team Smith, la Japauto, lo staff Honda oltre che ovviamente a Rougerie ed Urdich festeggiarono la vittoria sugli Champs Elysées come è tradizione fare in Francia a seguito delle imprese sportive più importanti! Così il Bol d’Or rinacque a nuova vita (da allora non ha più avuto interruzioni), si formò il fortissimo legame tra la Honda e la gara transalpina e si accese la rivalità, in questa corsa, tra la Casa di Tokio e quella di Akashi. Fu proprio la fortissima contesa tra Honda e Kawasaki che negli anni avvenire fece si che venissero scrisse altre, indimenticabili pagine di questa magnifica corsa e di conseguenza del nostro sport.

Per saperne di più:
http://cesenabikers.blogspot.com/2009/03/il-bol-dor.html

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