Nelle foto, partendo dal basso:
1) Anno 1961, Mike Hailwood si accinge alla partenza del Senior TT in sella alla Norton Manx 500cc.
2) Anno 1961, il fuoriclasse britannico, in sella alla MV Agusta 500cc, stà dominando il Senior TT.
3) Una fato del campione, scattata nel 1965 poco prima della partenza di una prova del Tourist Trophy.
4) Anno 1965, caduto durante il terzo giro del Senior TT, riesce comunque a vincere nonostante la sua MV, sia danneggiata.
5) Anno 1966, Mike Hailwood su Honda RC173 350cc.
6-7-8) Il campione inglese, in sella alla Honda RC166 da 250cc.
9) Mile Hailwood, alle prese con la "indomabile" RC181 500cc.
10) Una bellissima foto che ritrae un incredibile poker d'assi impegnati nella Mototemporada Romagnola: Mike Hailwood conduce, lo tallona Giacomo Agostini, li segue a ruota Renzo Pasolini e chiude il quartetto Phil Read. Da notare che Hailwood non indossa il suo casco abituale, ma ne porta uno anonimo, tutto in grigio. Pare infatti che avesse donato i propri colori alla Honda.
11-12-13) Un binomio incredibile, che nel 1978 conquistò a sorpresa il TT nella categora F1: Mike "the bike" Hailwood, al ritorno alle competizioni e la Ducati 900 Supersport.
14) Mike Hailwood nella sua ultima affermazione: anno 1979 lo vediamo mentre "vola" alla conquista del Senior TT in sella alla Suzuki 500cc a due tempi del team Heron.
Nei filmati, partendo dal basso:
1) Un bellissimo "documentario" sulla leggendaria sfida che ha visto proagonisti Mike Hailwood e Giacomo Agostini in occasione del Senior TT del 1967.
2-3) Due spezzoni dedicati al 9 volte iridato, tratti dallo speciale: Sfide, Aspettando Valentino Rossi, trasmesso da RAI 3.
Segue breve biografia:
Pubblicare questo post, non è affatto facile. E’ da un po’ di tempo che stavo pensando come e se farlo.. Su Cesena Bikers, ho già scritto di campioni pluri-titolati del motociclismo (primo tra tutti Giacomo “Mino” Agostini). Scrivere di Mike Hailwood, però non è affatto facile, trattandosi di un mito, che a ventotto anni dalla sua prematura scomparsa, fa ancora parlare di se e delle incredibili gesta che ha compiuto.. Io personalmente, pur non avendo avuto modo di vederlo correre dal vivo, sono estremamente affascinato da questo pilota (non a caso salgo in moto, indossando una replica del suo casco..), che a detta di molti, ha dato vita, insieme ad Agostini, ai duelli più epici che il nostro sport abbia mai visto perpetrasi sui campi di gara.. Pubblico quindi questo post, cercando, di rendere omaggio al mio “mito” delle due ruote. Stanley Michael Bailey Hailwood nacque il 2 aprile 1940 a Great Milton, Oxfordshire in Inghilterra. La sua fama di motociclista è talmente grande che il 31 luglio del 2005, quando Valentino Rossi ha trionfato al GP di Germania sul circuito del Sachsenring, senza esitazioni è corso ai box, ha afferrato una bandiera e la ha sventolata per tutto il giro d’onore. Su questa bandiera c’era scritto: “76 Rossi -76 Hailwood. I’m sorry Mike”. Un modo per sottolineare l’impresa di aver eguagliato il numero di successi nel Motomondiale di un mito, suo e delle due ruote. Un mito che va oltre i 9 titoli iridati, le 76 vittorie, i 14 successi ottenuti al Tourist Trophy dell’Isola di Man, ottenuti dal pilota inglese. Un mito che ancora oggi è alimentato da rievocazioni, racconti, un mito che ha generato un museo, che ancora oggi scatena negli appassionati la caccia alla fotografia, al cimelio, un mito che sfocia nella venerazione e l’omaggio ad un eroe. Ma Hailwood era tutt’altro che un eroe: Mike era semplicemente “Mike the bike”, soprannome che nella nostra lingua suonerebbe alquanto buffo (“Michelino la moto”) e che invece lo avvicinava ancor di più alla gente che aveva fatto impazzire con le sue imprese su due ruote. Mike Hailwood era figlio di un commerciante di moto di Oxford: Stan Hailwood, proprietario della più fortunata catena di distribuzione di auto e moto britannica e talmente abile finanziariamente da diversificare investimenti e iniziative, fino al punto da diventare ricchissimo. Stan aveva per breve tempo tentato anche la carriera di pilota, nei sidecar, smettendo però presto, dopo aver duellato persino con il grandissimo John Surtees. Mike nacque in piena guerra mondiale, quando già i nazisti minacciavano l’Inghilterra con le incursioni aeree, dopo un fratello subito scomparso e la sorella Christine. Frequentò il Pangbourne College, dove studiò ben poco, preferendo dare una mano nell’impresa di famiglia. Il padre però lo spedì alla Triumph, dove venne assegnato al reparto moto da trial. I soldi in famiglia, come già detto, non mancavano e questo consentì a Mike di coltivare le sontuose passioni di un figlio di papà: belle donne, alcool, night e soprattutto la musica. Amava il jazz, ma anche il pop del Beatles e dei Rolling Stones, suonava il piano, la chitarra, il basso e anche il clarinetto. Spesso passava la notte ad ascoltare complessi, ai quali si univa in improvvisate jam sassion. Vodka e latte era la sua “mistura” o per meglio dire il suo coktail preferito, a volte faceva scivolare qualche goccia di alcool anche nell’acquario dei suoi pesci rossi, dicendo, mentre ridacchiava e scuoteva i suoi lunghi capelli da hippy: “Si devono abituare”.. Mike Hailwood, sarebbe stato un figlio dei fiori europeo, ricco e senza problemi, se il padre non gli avesse trasmesso la sua sfrenata passione per le due ruote, procurandogli una motocicletta sin da quando aveva 7 anni. Mike a 14 anni già imperversava su una moto da trial e il 15 aprile 1957, appena diciassettenne, si presentò alla famigerata Sei Giorni di Scozia, in sella ad una Triumph. Agli inizi della carriera ebbe una vita molto più facile della maggior parte dei ragazzini che scoprono la vocazione di pilota motociclistico avendo la possibilità di ottenere il meglio senza particolari problemi. Una settimana dopo, si fece prestare una MV Agusta 125cc per correre da privato sul tracciato di Oulton Park, nel Chelshire. Si presentò a questo appuntamento con tanto di vettura di famiglia, condotta da un autista e con una tenuta di gara inappuntabile. Per questo motivo venne accolto con grande scetticismo dagli altri piloti e da tutti gli addetti ai lavori che lo iniziarono a chiamare da subito col nomignolo de: “Il milionario”, non credendo nella sua abilità, ma pensando che si trattasse del solito e viziatissimo figlio di papà, privo di talento, che correva solo perché aveva la disponibilità economica per farlo. Mike a dispetto di tutto e tutti si piazzò undicesimo al debutto. Pochi giorni dopo, sul tracciato di Castle Combe, nel trofeo Redex, fu quarto con la stessa moto e quinto nella 250cc. Di li a breve arrivò il primo successo, nel Dorest, a Blandford Camp: dominò la gara delle 125cc prendendo di forza la prima posizione già all’inizio della corsa e restandovi sino al traguardo. Il consuntivo di quella sua prima stagione fu senz’altro positivo: ben raramente si classificò al di fuori dei primi cinque posti. Aveva tre moto allora: oltre alla già menzionata MV 125cc, aveva una seconda MV da 196cc (alla quale aveva fatto aumentare la cilindrata fino a 240cc) e possedeva una piccola Itom 50cc. Durante quell’inverno il suo “parco motociclette” si arricchì ulteriormente con una Norton 250cc appartenente a John Surtees. Stan Hailwood era diventato il manager di un futuro campione: trasportava le moto, aiutava a prepararle. Dovette acquistare un camion per trasportare tutte le moto del figlio, che nel giro di un anno crebbero di numero, fino a diventare 12, tra le quali oltre a quelle già citate, spiccavano una Ducati 125cc e altre due Norton (una da 350cc e una da 500cc). Nel camion c’era addirittura la possibilità di avere due posti letto: uno per Mike e uno per il suo meccanico. Questo tipo di organizzazione ai tempi era assolutamente sconosciuta alla quasi totalità dei suoi avversari. Mike Hailwood era un pilota straordinariamente eclettico, sapeva adattare il proprio stile di guida in maniera tale da essere in grado di gareggiare e vincere in tutte le classi. Nel 1958 si affacciò per la prima volta sull’Isola di Man, per il mitico Tourist Trophy. Mike si iscrisse a tutte e quattro le gare in programma ottenendo la terza piazza nella 250cc, la settima nella 125cc, dodicesimo e tredicesimo nelle cilindrate maggiori. Fu quello l’anno del debutto internazionale, quello che diede il via ad una carriera strepitosa. Nei due anni seguenti partecipò alle gare con moto di molte marche, da una ltom 50 alle Norton, alle Ducati, alle Paton, alle NSU, alle MV ed a qualsiasi altro mezzo che fosse in grado di fornire una certa competitività. Successivamente tentò anche di comperare le Morini bialbero e le Gilera quattro cilindri, ma senza successo. Mike venne notato immediatamente per la naturalezza disarmante con la quale portava in gara le motociclette. Anche con moto non competitive, riusciva ad ottenere piazzamenti impronosticabili. In una era in cui le “gomme a pera” e la ciclistica stessa delle moto, non consentivano sicuramente le moderne derapate, nonché gli angoli di piega ai quali siamo abituati, spesso Mike finiva le gare con gli stivali distrutti dall’attrito con l’asfalto. La prima vittoria in un GP arrivò nel 1959, in sella ad una Ducati 125cc a Dundrod. Ma fu il 1961 l’anno in cui diede veramente prova della sua bravura, vincendo tre gare di Tourist Trophy in una sola settimana: e se, nel corso della prova riservata alle 350 cc, non si fosse rotto lo spinotto della sua AJS a circa venti chilometri dal traguardo avrebbe vinto anche quella. La sua vittoria più bella che fu senz’altro quella ottenuta nella prova più importante, quella delle 500 cc, con una Norton Manx messa a punto da Billy Lacey. Mantenne una media superiore ai 160 chilometri orari e il suo giro più veloce lo fece alla vertiginosa velocità di 161 km/h. E vero che Gary Hocking, il favorito, era rimasto bloccato dai problemi della sua MV quattro cilindri, ma la velocità sul giro realizzata da Hailwood fece comprendere che si sarebbe guadagnato ugualmente il posto d’onore anche se fosse stata la moto italiana a vincere. Fu anche d’aiuto alla Honda in occasione dei suoi primi tentativi di ottenere un successo all’isola di Man, vincendo con il bicilindrico nella classe 125 e con la quattro cilindri nella 250 cc, anche se favorito in questa classe dalla defezione dello scozzese Bob Mclntyre, costretto al ritiro da problemi di raffreddamento dell’olio, pur avendo compiuto un giro alla considerevole media di quasi 160 km/h. Hailwood si impose nella 250 lasciandosi alle spalle i piloti ufficiali della Honda Redman e Phyllis. A questa vittoria vanno aggiunte quelle ottenute al G.P. d’Olanda, a quello della Germania dell’Est e a quello di Svezia: tali risultati, uniti a tre secondi posti, lo portarono alla conquista del titolo mondiale delle 250 cc. Ma anche nelle altre classi ottenne risultati di rilievo, come i sei secondi posti, due vittorie e un quarto posto nella 500 cc. Hailwood a quell’epoca non era un corridore ufficiale vero e proprio: la moto gli era stata data in prestito e gli era stato consentito il sostegno della Casa solo perché suo padre aveva accettato di importare le macchine della Honda. Questo risultato al TT del 1961, zittì per sempre i suoi detrattori, che si dovettero inchinare una volta per tutti dinnanzi ad una inconfutabile evidenza: Mike Hailwood era un grandissimo pilota e aveva dimostrato di esserlo in diversi appuntamenti della stagione e soprattutto nel banco di prova più selettivo: il TT. Il conte Agusta, rimase estasiato dalla guida del giovane pilota inglese e lo volle da subito nella sua Squadra. Gli offrì quindi la possibilità di correre da pilota ufficiale per la gloriosa Casa italiana, lo scorcio di stagione 1961. Hailwood, lusingato da quella offerta, accettò gettandosi nella mischia con un orgoglio e una determinazione indescrivibili, determinato a dimostrare al suo “datore di lavoro” che avendo puntato su di lui, aveva fatto la scelta giusta. Hailwood debuttò sulla moto italiana, vincendo a Monza nella classe 500cc e terminando secondo dietro a Gary Hocking nella 350cc. Da questa gara iniziò un sodalizio fortissimo tra la Casa italiana e il pilota inglese, che fruttò quattro titoli iridati nei quattro anni successivi e che gli permise di battere, quasi tutti i record sul giro e sulla distanza, fino al 1965. L’innegabile supremazia della coppia in quegli anni e la mancanza di antagonisti validi rischiarono di incrinare con la noia il felice rapporto tra il corridore inglese e la Casa italiana. Hailwood avrebbe desiderato moltissimo partecipare anche a qualche prova riservata alle 250 cc, ma la MV aveva da tempo abbandonato tale cilindrata. Riuscì comunque a partecipare ugualmente ad alcune prove riservate a questa classe con la tedesca orientale MZ, che portò alla vittoria (cosa riuscita a pochi altri piloti) al Sachsenring nel 1963. Nel 1965, però, fece la sua comparsa sulla scena della MV un certo Giacomo Agostini, e le cose cominciarono a ravvivarsi, anche perché Hailwood non avrebbe mai accettato nessuna imposizione in materia di ordini di scuderia: Ago avrebbe potuto vincere solo ed esclusivamente in virtù dei propri meriti personali.Una delle prove più difficili cui Hailwood fu sottoposto fu senz’altro il Tourist Trophy 1965, classe 500. Vale la pena di ricordare i fatti: al terzo giro, mentre si trovava in testa senza problemi, la sua MV slittò su una macchia d’olio, finendo a terra; il pilota si rialzò illeso, ma la moto era in condizioni penose: il parabrezza si era rotto, i tubi di scarico si erano completamente appiattiti da un lato, il manubrio e le pedane poggiapiedi si erano piegati... Più di un pilota dotato di un temperamento meno forte del suo a quel punto si sarebbe dato per vinto: Hailwood invece spinse la MV contro mano in discesa (contro tutte le regole e con la complice momentanea «distrazione» dei commissari di gara) per poterla rimettere in moto. Tornato ai box, si fermò appena quel tanto perché la moto potesse essere rimessa a posto alla “bella e meglio”: il parabrezza fu tirato via ed Hailwood affrontò il resto della gara in queste condizioni, sotto una pioggia pungente. Ma la moto aveva subìto un altro danno ben più grave e pericoloso: una delle farfalle del carburatore si era aperta completamente, e il campione proseguì ugualmente la corsa scherzando con la morte come non gli era mai capitato prima di allora, lavorando sui freni per impedire che nelle curve la moto se ne andasse per i fatti suoi. Semiaccecato dalla pioggia, Hailwood portò a termine anche l’ultimo giro, vincendo a una media di 148 chilometri all’ora. Un momento difficile nei rapporti con la MV si ebbe quando, nel 1964, ad lmola la Gilera tornò momentaneamente alle corse ed Hailwood si trovò a dover fare i conti con John Hartle e Derek Minter. Pur essendo reduce da una caduta durante una gara in Inghilterra che gli aveva lasciato ancora, come strascico, un polso dolorante, Hailwood non poté resistere alla tentazione di un confronto con la Gilera. La gara fu per lui un disastro: il dolore al polso aumentava infatti sempre di più, e le Gilera rivali (che correvano in casa) lo superarono rombando davanti a una folla enorme: naturalmente il nome della MV uscì sminuito da questa sconfitta. Il giorno seguente Hailwood dovette sorbirsi una sgridata particolarmente severa da parte del conte Agusta, che non era certo tenero quando riteneva di aver perso stupidamente una corsa.Alla fine del 1964 il campione inglese fu sul punto di entrare a far parte della squadra ufficiale della Honda: Jim Redman era intervenuto con una certa insistenza perché venisse affidata ad Hailwood una Honda per il Gran Premio d’italia, ma i responsabili del reparto corse della Honda avevano rifiutato. A un anno circa di distanza, però, Hailwood fu invitato a provare la Honda 250 sei cilindri: il suo compito più importante (e il motivo principale per il quale la Honda lo voleva) era di fare in modo che la nuova 500 cc quattro cilindri vincesse il campionato del mondo, anche se poi, in realtà, nel 1966 affidarono alloro pilota più collaudato, il rhodesiano Jim Redman, il mezzo più competitivo. La nuova Honda 500 aveva una potenza veramente notevole, ma la tenuta di strada non era certo l’ideale. Al termine della stagione 1965, l’annuncio: Mike Hailwood lasciò la MV Agusta nelle mani di Agostini, per passare alle dipendenze della Honda, in cerca di nuovi stimoli. Mike aveva già vinto in sella ad una moto prodotta dalla Casa nipponica il suo primo titolo iridato, nella classe 250cc, nel 1961. Questa volta però l’impegno era totalmente differente rispetto a quello di cinque anni prima: la casa del sol levante infatti aveva ingaggiato Hailwood come pilota ufficiale. Questo sodalizio durò in forma ufficiale per due anni: 1966 e 1967. In questo lasso di tempo Mike collezionò 4 titoli iridati: 2 in 250cc e 2 in 350cc e due secondi posti nella 500cc, alle spalle del pilota che lo aveva “sostituito” alla guida delle moto italiane. Nonostante questo in questo biennio, vinse 4 mondiali nelle cilindrate intermedie, il mito di Mike Hailwood è stato accresciuto proprio grazie alla Honda 500cc, con la quale non riuscì a laurearsi campione del mondo. All’inizio della stagione 1966 Hailwood svolgeva nella massima cilindrata il ruolo di gregario nei confronti di Redman: ma verso la metà della stagione si ebbero degli sviluppi drammatici, in quanto Redman fu costretto a ritirarsi dalle corse per una frattura ad un braccio riportata in una caduta. Al Gran Premio d’italia, ultima prova di campionato mondiale, si ruppero le valvole della Honda di Hailwood mentre era lanciato all’inseguimento di Agostini, e Agostini si impadronì di un titolo che chiunque, all’inizio della stagione, avrebbe pensato fosse a completa disposizione della Honda. L’anno seguente, che per il campione avrebbe rappresentato l’ultima stagione completa di corse motociclistiche, un episodio analogo: il carter della sua Honda si ruppe proprio mentre stava conducendo il Gran Premio d’italia con un buon numero di secondi di vantaggio su Agostini, che con questa vittoria conquistò il secondo titolo mondiale; come si può immaginare, Hailwood (che nel corso della stagione aveva ottenuto cinque vittorie come Agostini e due secondi posti contro i tre del campione italiano) ne uscì profondamente scoraggiato. In questi due anni Hailwood cominciò a sentire tutte le preoccupazioni e le tensioni insite nelle gare: a questo contribuì anche la non facile guida della grossa Honda 500, abituata a ondeggiare e a flettersi in modo allarmante ad ogni curva. La RC 181 si dimostrò infatti una moto difficilissima da portare in gara, e solo l’immenso talento del pilota britannico le fece ottenere quei risultati che nessun altro pilota sarebbe stato in grado di farle avere. Hailwood definì la moto: dannatamente terrificante, svelando di aver chiesto invano ai giapponesi delle modiche alla ciclistica, che gli avrebbero permesso di fregiarsi di almeno un titolo iridato. In una intervista datata 1979 Mike a riguardo della 500cc nipponica disse: Pareva che fosse animata di vita propria. Mano a mano che ti avvicinavi al suo limite, diventava imprevedibile e praticamente era inguidabile. La gente diceva che, visto da fuori, utilizzavo tutta la psita per chiudere una curva e spesso nemmeno questo bastava. Io invece in sella ero sempre convinto di mantenere la corda, anche se in realtà questo non era vero e la moto tendeva ad allargare in maniera preoccupante. Se devo essere sincero avevo paura di correre con la RC181, ma nel mio contratto i giapponesi avevano scritto che dovevo portarla in gara tutte le volte che me lo avessero chiesto. Per conto mio cercavo sempre di dare il massimo, sperando che la Honda ne correggesse prima o poi i difetti. Cosa che invece non ha mai fatto. Il mio impegno era legato anche ad una questione di orgoglio personale: avendo rotto con la MV mi dava fastidio prendere la paga da Agostini. Perdere contro la MV significava solo una cosa: la mia scelta di abbandonarla in favore della Honda era stata sbagliata. Probabilmente se ci fosse stato qualcun altro in sella alla MV Agusta, nel 1966 sarei riuscito comunque a vincere il titolo della 500cc. Agostini invece era semplicemente troppo bravo e nonostante i bei duelli che ci hanno visto protagonisti, la totale mancanza di sviluppo della RC181 da parte della Honda, mi ha relegato nella parte del perdente. Nonostante questo, il binomio Mike Hailwood e Honda RC181 conquistò 8 vittorie iridate nel biennio 1966 – 1967, oltre che un primo e un secondo posto per la Casa nipponica nel mondiale costruttori. Per Hailwood una delle soddisfazioni più grandi venne dal Tourist Trophy del 1967, classe 500 cc. Quella, più che una normale prova di campionato mondiale, era un vero e proprio duello: Hailwood e la Honda contro Agostini e la MV. Hailwood aveva a sua disposizione la moto più potente, che però, incidentalmente, era anche la più difficile da maneggiare. Agostini, la cui MV era stata elaborata e perfezionata proprio tenendo conto di questo difficile percorso di montagna, sprizzava da tutti i pori fiducia in se stesso e nel proprio mezzo. Quando la bandierina venne abbassata, Hailwood partì come un razzo superando il record sul giro con partenza da fermo, ma c’era sempre Agostini, e per quanto Hailwood portasse a 175 chilometri all’ora il record sul giro, il miglior giro di Ago gli fu inferiore solo per un soffio. Hailwood, estremamente preoccupato per la spiacevole combinazione costituita dalla sua grossa Honda e dal percorso del Tourist Trophy, tirava allo spasimo, costringendo gli spettatori ad allontanarsi precipitosamente dai muri e dalle barriere di protezione lungo tutto il circuito, in un’impressionante sequenza di ondeggi, beccheggi e derapate. Si disse che in un punto del circuito i commissari di gara fossero stati costretti a squagliarsela, convinti che la Honda praticamente priva di controllo sarebbe piombata loro addosso. Malgrado questi seri problemi Hailwood doveva spingere ancora più forte, perché Ago continuava a rappresentare un pericolo incombente. A complicare le cose, la manopola del gas della Honda cominciò a staccarsi dal manubrio. La frenetica fermata ai box e l’aiuto di un martello non servirono a risolvere il problema, ma Hailwood non aveva tempo da perdere: ridusse lo svantaggio di undici secondi che aveva accumulato con la fermata ai box, riuscendo a conquistare persino un secondo di vantaggio, poi perse nuovamente terreno. Sembrava proprio che la MV avrebbe finito col vincere: poi, l’imprevisto (che alla fine compare sempre nei Tourist Trophy più combattuti) accadde anche questa volta. A pochi chilometri di distanza dal traguardo la tormentata catena della MV cadde a pezzi... e la vittoria andò ad Hailwood. Le ovazioni provenienti dagli spalti devono essere state con tutta probabilità le più forti che si fossero mai sentite. Per quanto la Honda avesse elaborato per la stagione 1968 delle nuove moto, fu deciso comunque di mettere a disposizione di Hailwood delle moto da 250, da 350 e da 500 cc della stagione precedente. A questo punto sarebbe senz’altro stato possibile reperire il telaio più adatto per tenere sotto controllo la potenza del propulsore da 500cc, ed Hailwood avrebbe forse potuto conquistare un altro titolo; ma a questo punto scoppiò la bomba: la Honda annunciò la propria decisione di abbandonare ogni forma di attività agonistica, contribuendo in gran parte a mettere la parola fine alla brillante carriera del campione inglese. Si disse persino che Hailwood fosse stato ugualmente pagato dalla Honda anche per il 1968, purché non accettasse di correre con altre marche. Difatti Mike disputò solo poche gare con le vecchie Honda rìmastegli, anche se piuttosto malridotte e praticamente sprovviste di ricambi. Fin che “stettero insieme”, Hailwood accettò gli inviti, profumatamente pagati, degli organizzatori italiani che vogliono a tutti i costi il loro bravo duello Agostini-Hailwood per richiamare pubblico. Come sempre Hailwood non deluse e nel 1968 vinse a Rimini la 350 e fu secondo nella 500; vinse con la 500 a Imola e a Cesenatico. Quello stesso anno per il G.P. delle Nazioni a Monza il conte Agusta gli offrì ancora la possibilità di guidare le MV. Hailwood accettò ed effettuò le prove; quando però gli venne detto che in gara doveva dare la precedenza al suo ex compagno di squadra Agostini, si inalberò e all’ultimo momento passò a guidare la Benelli 500 che gli venne offerta dalla Casa pesarese. Il giorno della gara pioveva in maniera copiosa e per alcuni giri si assistette a un confronto strepitoso fra Agostini ed Hailwood. Il fuoriclasse britannico supplì con spericolatezza a ciò che mancava alle prestazioni della sua occasionale cavalcatura. Osò però troppo e in staccata alla curva parabolica fece un interminabile ruzzolone sull’asfalto che, viscido com’era, frenò solo in minima misura la slittata: tutto si risolse però senza altro danno che una grinta feroce, carica di rabbia repressa, per cui nessuno si azzardò a rivolgere parola al grande campione che rientrava a piedi verso i box. Gli fu forse di conforto il caloroso applauso che il pubblico italiano, consapevole del suo valore gli dedicò. Con la Benelli Hailwood corse anche a Riccione, arrivando terzo. Chiuse tuttavia bene la stagione (una stagione di «cassetta» più che altro) vincendo uno in fila all’altro i quattro confronti con Agostini, servendosi delle sue Honda. Si impose infatti in una serie di corse di fine d’anno a Mallory Park e Brands Hatch. Ormai sempre più attratto dalle auto, apparse solo raramente in sella alle moto. Nel 1969 ricordiamo la sua comparsa a Riccione con una Honda 500 ormai agli sgoccioli, che portò al secondo posto dietro ad Agostini ma con un distacco di quasi un minuto. Nel ‘70 e nel ‘71 partecipò a Daytona nello squadrone delle BSA ma non ebbe fortuna e si ritirò entrambe le volte, dopo essere anche caduto in prova. Nel ‘71 gli organizzatori del circuito di Pesaro fecero sensazione annunciando la straordinaria rentrée di Hailwood con la Benelli 350, ma, questa volta non vi fu nulla da fare contro la sensazionale MV di Agostini, che trionfò in questo ennesimo confronto. L’amore per le competizioni sulle due ruote, sembrava momentaneamente svanito in lui, mentre iniziò a provare interesse per le 4 ruote. Nel 1963 e nel 1965 aveva già avuto delle esperienze, pilotando prima una Lotus e poi una Lola. Divenne campione d’Europa della F.2 e in breve debuttò in F1. Corse prima con la Surtees (dal 1971 al 1973), poi con la McLaren nel ’74. Ottenne come massimo risultato un secondo posto, nel GP d’Italia del 1972, nello stesso anno fece anche registrare l’ottavo posto nella classifica mondiale. Il 3 marzo del 1973 a Kyalami, in Sud Africa, fu coinvolto con la sua Surtees in una carambola di 4 auto con Ickx, Charlton e Ragazzoni. Il pilota svizzero rimase incastrato nell’abitacolo della sua BRM. In breve la vettura, con a bordo il pilota si incendiò. Hailwood allora si fece largo tra le fiamme, liberando il pilota dalle cinture di sicurezza prima dell’arrivo dei commissari con gli estintori. Ragazzoni se la cavò con ustioni al visto e alle mani guaribili in un mese, Mike, anch’egli ustionato alle mani e alle braccia ottenne medaglie e riconoscimenti tra cui la: Medaglia di re Giorgio, la seconda più importante decorazione al valore civile del Regno Unito e del Commonwealth. Nonostante questo sminuì il suo operato dicendo: Ho fatto quello che avrebbe fatto un qualunque pompiere al posto mio.. L’anno successivo però nessuno potè salvarlo quando rimase incastrato egli stesso, al volante della sua McLaren, in seguito ad un brutto incidente accadutogli sul pericoloso e velocissimo tracciato del Nurburgring. Mike si spezzò in quella occasione le gambe, rimanendo ferito a tal punto da avere, per il resto della sua vita, una gamba più corta dell’altra di un paio di cm. Per Mike questo incidente fu un vero dramma, innanzi tutto perché gli spezzò la carriera da pilota di automobili e in secondo piano perché sentì di aver perso la sua competitività. Nel 1975 sposò Pauline Barbara Nash, in seguito alla nascita della sua primogenita Michelle. Si trasferì momentaneamente in Nuova Zelanda. Li, in gran segreto, si allenò di nuovo in sella ad una motocicletta, meditando il gran ritorno di Mike the bike al TT dell’Isola di Man. Nel 1978 si iscrisse alla gara inglese che oramai era uscita dal giro del Motomondiale, ma che manteneva inalterato il suo fascino. Mike in principio non era affatto certo delle sue possibilità di ben figurare dopo un così lungo periodo di inattività agonistica nel motociclismo. Addirittura pensò di iscriversi fornendo uno pseudonimo, in maniera tale da non veder rovinata la propria fama, in caso di una prestazione deludente. Alla fine decise di iscriversi col proprio nome e ottenne a sorpresa una strabiliante vittoria nella categoria F1 in sella ad una Ducati 900cc. Questa vittoria viene tutt’ora celebrata e ricordata come uno dei successi fondamentali ottenuti da una moto della Casa di Borgo Panigale, che ha dato il via all’impegno sportivo e quindi ai trionfi delle “rosse bolognesi”. L’anno successivo, in sella ad una Suzuki 500cc da GP del team Heron ottenne la vittoria nella categoria “regina” del TT: la Senior TT. Galvanizzato da questo risultato volle provare ulteriormente la moto, per un eventuale ritorno alle competizioni. Pochi giorni dopo però cadde a Donninghton, e disse davvero basta. Mike aveva “messo la testa a posto”, aveva una moglie, due figli, l’azienda di famiglia. Le gare erano un ricordo, nella sua carriera da pilota di motociclismo aveva ottenuto quindi 9 titoli iridati (4 in 500cc, 2 in 350cc e 3 in 250cc), 76 vittorie, 112 podi complessivi, prendendo il via a 142 GP in 9 stagioni iridate. Oltre a questi numeri, vanno senza meno ricordate le 14 vittorie ottenute sull’Isola di Man. Nel 1981 però un destino beffardo lo attendeva. Il 23 marzo, si stava recando a bordo della sua Rover 3500 a compare la cena inseme ai suoi due figlioletti ad un fish and chips; si trovava sulla circonvallazione di Birmingham, quando un camion davanti a lui fece una inversione dissennata. Complice la nebbia e l’asfalto viscido, la Rover condotta dal campione del mondo, finì sotto al mezzo pesante. Mike ne riportò gravi fratture al cranio e morì due giorni dopo. L’amata figlia Michelle morì sul colpo. Solo il figlio David, di tre anni, sbalzato dalla vettura, si salvò, cavandosela con poco. Dopo quasi un quarto di secolo di corse, dopo aver superato o ignorato ogni tipo di rischio, Mike the bike si arrese al destino. Non in moto, non in una gara: è così spesso che, nel più banale dei modi, ci salutano i grandi.
Per ulteriori info. allego il link al sito ufficiale di Mike "the bike" Hailwood:
http://www.mikethebike.com/home.htm
Per ulteriori info. allego il link al sito ufficiale di Mike "the bike" Hailwood:
http://www.mikethebike.com/home.htm
(Ringrazio Francè, del sito amico Racing Cafe' per il suggerimento)
7 commenti:
Enrico, bellissimo post. Ne ho letto una parte, e stasera me lo leggo tutto con calma. Complimenti e grazie.
Ciao Sauro.. Grazie per i compliementi.. Ci ho messo un po' effettivamente a scrivere questo post.. Sono davvero felice che ti stia piacendo..
Mi hai anche ringraziato, ma non ho capito per cosa.. Anzi devo essere io a ringraziarti.. Sabato infatti darò il via alla "stagione della moto", il tutto grazie ai vs. articoli su Sperpantah.. infatti di solito io col freddo non giro, ma mi avete fatto venire una voglia pazza e.. "non ci stò più dentro" se non faccio un giretto!!!
Un salutone!!!
Enrico
Ti ho ringraziato per il bel post che hai fatto leggere. Di solito per legere qualcosa di non necessariamente buono bisogna comprare un giornale o un libro pagando anche per la pubblicità ecc.
Riguardo l'andare in moto d'inverno, a me é sempre piaciuto anche se ultimamente ho rallentato. Facci sapere come é andata.
Ciao
Bel post Enrico!
La scelta del tuo casco immagino non sia casuale!
Lamps
Francè
Enrico dovresti conoscerlo, ma ti passo questo link lo stesso:
http://www.mikethebike.com/home.htm
Ciao Francè, devo essere sincero, non conoscevo il sito che mi hai suggerito. Ho comuque "recuperato" il tempo perduto, inserendo il link alla base del post e ovviamente, mettendo i ringraziamenti per te che me lo hai suggerito..
Un salutone!
Ringrazio Superpantah per i complimenti che mi ha fatto.. In merito al gio di sabato, non mancherò a farti sapere!
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