giovedì 19 marzo 2009

Il Bol d'Or































































































































Nelle foto, partendo dal basso:
1-2-3-4-5) I bolidi schierati al Bol d'Or negli anni settanta, anni che hanno visto il protrarsi di una feroce lotta per la vittoria tra la Honda e la Kawasaki, schierate al via in veste ufficiale.
6-7) Due foto delle moto anni ottanta, con la cilindrata massima scesa da 1000cc a 750cc, in corrispendenza con i regolmenti della F1.
8) La notte cala sui concorrenti.
9) Un'immagine scattata poco dopo il via dell'edizione 2008 con il "serpentone" delle moto non ancora sgranato.
Seguono info:
Correre senza sosta per un giorno intero mettendo a dura prova la resistenza fisica dei piloti e l’affidabilità dei mezzi. Un’idea vecchia come la motocicletta, mezzo di trasporto che agli albori godeva di una pessima fama in termini di affidabilità. Per questo motivo gli addetti ai lavori organizzavano sempre nuove manifestazioni, come le marce di resistenza o i grandi raid, per smentire i detrattori dei veicoli a due ruote. Ed è proprio per questo motivo che Eugène Mauve (costruttore francese di materiali per utilizzo aeronautico) organizza, nel 1922, una corsa sperimentale di ventiquattro ore a Vaujours, nei dintorni di Parigi. Il regolamento è semplice: vince il primo concorrente che transita sotto il traguardo allo scadere della ventiquattresima ora; ogni pilota corre da solo in sella ad una moto rigorosamente di serie. Per la verità l’idea di Mauve, non era del tutto originale in quanto esisteva già una famosa corsa ciclistica che si svolge nell’arco di una giornata, il Bol d’Or appunto, a cui il francese si ispira utilizzandone anche il nome. La prima edizione vede il successo del transalpino Zind, su Motosacoche 500, che percorre 1245,628 Km alla media di 51,9 Km/h. Il successo della manifestazione è notevole, tanto che l’anno successivo il Bol d’Or si trasferisce nella foresta di saint-Germain-en-Laye, sempre nei pressi di Parigi. Qui vengono allestite strutture permanenti con box, tribune e sistema di illuminazione artificiale grazie ai riflettori forniti dall’esercito francese. Il circuito ha il fondo sterrato e misura poco più di quattro chilometri. Al via si presentarono 63 concorrenti, divisi in sette categorie, compresi sidecar e biciclette a motore. Il vincitore assoluto fu ancora una volta Zind, il quale fu capace di migliorare il suo primato del 1923 di 154 Km. A parte un’estemporanea migrazione a Fontainbleau, nel 1927, il Bol d’Or restò nella foresta di Saint-Germain fin quasi alla vigilia della Seconda guerra mondiale, per poi trasferirsi sull’impianto permanente di Montlhéry, con pista asfaltata e anello sopraelevato per l’alta velocità. Gli ultimi vincitori della corsa prima dello stop dovuto ai motivi bellici, nel 1938 e 1939, sono in sella a dei sidecar, capaci di superare a Montlhéry anche le più veloci ma meno affidabili, moto da 500cc. La gara riprende nel 1947, dopo la sosta forzata, dovuta all’assurdità del Conflitto Mondiale, nella vecchia sede di Saint-Germain. L’edizione di quell’anno vede il primo successo assoluto di Gustav Lefèvre, su Norton 500, che in 24 ore percorre 2058 chilometri a 85,749 Km/h di media. Lefèvre negli anni successivi si aggiudica la corsa per altre sei volte, tanto da detenere attualmente, in condivisione con Christian Sarron, il record di maggiori successi nella classica maratona francese. Nel 1948 il Bol d’Or registra la prima vittoria italiana grazie a Guido Benzoni, che con una Sentrum si aggiudica la 250cc terminando al quarto posto in classifica generale. Dopo benzoni e la Sentrum, l’unico altro successo italiano risale al 1952, quando il francese Collignon si aggiudicò al corsa con al sua Guzzi Albatros battendo anche i piloti in sella alle più potenti 500cc. Poi, inesorabile, il lento declino: la corsa registra un sensibile calo delle iscrizioni soprattutto nei sidecar e nella 500, tanto da costringere gli organizzatori ad ammettere al via, a partire dalla metà degli anni Cinquanta, addirittura gli scooter. Anche il regolamento si adegua al cambiamento dei tempi: le medie sono sempre più elevate e non è più possibile resistere da soli alla guida per tutta la durata della gara. Ogni moto viene così iscritta con due piloti, una formula che verrà ripresa anche in seguito. Il Bol d’Or subisce infatti una forzata interruzione per tutti gli anni Sessanta, riflettendo così la crisi generale del motociclismo francese ed europeo di quegli anni: calavano il volume delle vendita e l’interesse degli appassionati, che disertarono l’appuntamento con la classica gara di durata. Questo fino al 1969, quando nel vecchio continente scoppiò il boom delle maxi moto, grazie soprattutto ai primi modelli giapponesi che arrivarono dalle nostre parti. Queste moto avevano bisogno di un’adeguata vetrina sportiva, necessaria per la loro promozione e diversa dalla solita del Mondiale GP (dominato ai tempi dalla MV Agusta). Il settimanale francese Moto Revue colse al volo questa nuova tendenza e decise di far rivivere il Bol d’Or. La prima edizione della “nuova era”, porta la data appunto del 1969 e fece registrare un enorme successo di pubblico, segno evidente che la formula della gara era ancora valida. La vittoria finale andò alla coppia Rougerie-Urdich in sella a quella che era la “maxi del momento”: la Honda CB 750cc Four. Le strutture di Montlhéry accusavano però il peso degli anni e si rivelarono ampiamente insufficienti per accogliere sia il gran numero di piloti sia la massa di pubblico nuovamente interessato alla specialità. Per questo motivo la corsa cambiò ancora una volta la sua sede, trasferendosi sul circuito Bugatti di Le Mans, teatro abituale dell’omonima 24 ore automobilistica. A Le Mans, negli anni Settanta, si assistette al confronto fra le Honda gestite dall’importatore francese Japauto e i prototipi Kawasaki preparati dalla coppia Godier-Genoud. In palio, oltre al Bol d’Or, c’era la “Coupe d’endurance”, ovvero il Campionato europeo di durata, nato nel 1970 proprio sull’onda del successo ottenuto dalla ritrovata gara francese. L’impegno delle Case giapponesi si fece man mano più massiccio e, grazie ai mezzi ufficiali, le corse diventarono sempre più tirate, mentre i tempi sul giro si avvicinarono sempre più a quelli fatti registrare dalle moto da GP. Inevitabilmente le maxi moto derivate dalla serie lasciarono il posto a prototipi, sempre più performanti. Dopo la Kawasaki 1000 di Godier-Genoud, vincitrice delle edizioni 1974 e 1975, fu la volta della Honda RCB 1000 portata in gara prima da Chemarin e Gorge e poi, a partire dal 1977, dallo stesso Chemarin in coppia con Leon. La RCB era un vero mostro, capace di aggiudicarsi per quattro volte di seguito (dal 1976 al 1979), la classica maratona francese, che nel frattempo aveva abbandonato Le Mans per spostarsi più a sud, trovando la sua nuova collocazione al Paul Richard. Nel frattempo l’importante gara francese attraeva a se, sempre più piloti impegnati dalle Case in via ufficiale nel motomondiale proprio per la sfida che rappresentava e per l’elevato tasso tecnico che metteva sul campo. Le Case infatti videro in questa competizione una importante vetrina commerciale per i loro modelli di serie più performanti. All’inizio degli anni Ottanta ci furono nuovi ed importanti cambiamenti a cui la corsa si dovette adeguare: prima di tutto la “Coupe d’endurance” venne promossa a campionato del mondo; in seconda battuta, nel 1982, la FIM, per le gare di durata superiore alle 12 ore, consentì di allargare a tre piloti l’equipaggio di ogni moto. Infine, nel 1984, la cilindrata della massima categoria, scese da 1000cc a 750cc. Il re incontrastato degli anni Ottanta fu il francese Dominique Sarron, che riuscì ad imporsi in cinque occasioni (1981,1983,1986,1987 e 1988) nonostante il suo impegno a tempo pieno nel Motomondiale. Se Dominique Sarron fu il re degli anni Ottanta, la Honda ne fu invece la regina assoluta. La casa dell’ala dorata si impose in ben otto edizioni della maratona francese, con prototipi rivoluzionari da cui poi derivarono alcuni modelli di serie coma la VF930 portata in gara nel 1983 da Roche, Bertin e Sarron o come la RVF, prima nel 1985 con Coudray, Igoa e Vieira. Negli anni Novanta il campionato del mondo Endurance ha visto progressivamente ridurre l’interesse attorno a sé. Il calendario è stato sempre più ridotto ma il Bol d’Or è rimasto sempre un evento impedibile grazie alla passione dei motociclisti francesi, veri cultori di questa disciplina (per i quali infatti il Bol d’Or è persino più importante del mondiale GP). Sempre negli anni novanta non si è ripetuta la schiacciante superiorità della Honda, anche per il progressivo disimpegno da parte della Casa nipponica, nelle corse di durata. Disimpegno che ha lasciato il via libera alla Kawasaki, vincitrice di quattro edizioni (1991, 1992, 1995, 1997) e alla Yamaha, che dopo venticinque anni di inutili tentativi è riuscita ad imporsi nell’edizione 1994, grazie ai fratelli sarron (Christian e Dominique) ed al giapponese Nagai. La Casa di Iwata è riuscita a trionfare di nuovo nel 2000 e nel 2007. Il 1998 ha visto la prima vittoria assoluta della Suzuki, che ha sovvertito ogni pronostico fatto alla vigilia della gara. Dal 1998 la Casa di Hamamatsu ha imposto il suo domino che l’ha vista trionfare nelle edizioni: 1999, 2001, 2002, 2004, 2005, 2006, 2008. Alla fine degli anni novanta la gara era diventata terreno di conquista per il pilota britannico Terry Rymer che in sella alla Kawasaki prima e alla Suzuki poi, si è imposto in tre edizioni consecutive. Dal 2000 in poi però il Bol d’Or è tornato ad essere l’antico “feudo francese” vedendo trionfare per due anni consecutivi l’ex campione del super cross americano, il transalpino Jean-Michel Bayle e per quattro volte Vincent Philippe. Il Bol d’Or, anche senza lo spiegamento di moto ufficiali degli “anni d’oro”; anche senza i duecentomila spettatori che ne hanno gremito gli spalti negli anni Settanta , ha mantenuto intatto il suo fascino sino ai giorni nostri, restando un trofeo ambito per Case e piloti. Va detto che la maratona francese ha adottato il regolamento del mondiale Superbike, vedendo di nuovo l’aumentare della cilindrata massima dai 750cc di fine anni novanta sino ai 1000cc attuali. Va inoltre detto che la gara ha registrato nel 2000 l’ennesimo cambio di sede, disputandosi dall’inizio del nuovo millennio sul circuito di Magny Cours. L’evento oggi è una vera e propria festa per i francesi, condito da spettacoli e concerti che rendono davvero unica questa manifestazione, alla quale è stata affiancata anche l’edizione per moto storiche. Tra i motociclisti, affezionati ai GP e alla Superbike (e a “digiuno” di competizioni di durata) è opinione diffusa che i piloti d’endurance non siano abbastanza cattivi per sostenere il confronto diretto con gli avversari, così ripiegano su questa specialità, dove il contatto gomito a gomito è solamente nelle prime fasi della gara. Poi la sfida assume toni meno accesi: si gioca con i distacchi, il cronometro, i compagni di squadra, la notte.. Già la notte. Perché nell’endurance (Otto ore di Suzuka a parte) si corre anche al buio, al freddo e senza riferimenti precisi per le staccate, usando una moto in “multiproprietà” con altri due compagni di avventura che condividono gioie e dolori della corsa. Se si vince il merito è di tutta la squadra. Se si cade, l’errore del singolo colpisce le sorti anche degli altri compagni. Così si guida sempre al limite, sperando che tutto fili alla perfezione e che la moto non si rompa nel cuore della notte, magari nel punto più lontano del circuito. Di solito al via scattano almeno una sessantina di equipaggi. Il ritmo è sempre indiavolato, dal primo all’ultimo giro e nelle fasi iniziali, quando il groppone non si è ancora sgranato, l’effetto visivo è impressionante. Nessuno vuole mollare e più che ad una gara di endurance, sembra di assistere ad una prova del Mondiale Superbike un po’ più affollata del solito. Poi il serpentone si sgrana perché la differenza fra glu ufficiali della categoria Superbike e gli altri (che corrono anche nella Supersport e nella Superstock) è veramente tanta: i primi lottano per la vittoria, forti di una organizzazione maniacale ai box e di un team, capace in trenta secondi di fare il "tagliando" alla moto; gli altri, i privati, schierati al via per pura passione, per vedere la bandiera a scacchi. Perché arrivare in fondo al Bol d'Or, indipendentemente dalla posizione, equivale comunque ad una vittoria. Bisogna guidare sempre al limite perché la corsa è tiratissima e non c’è spazio per nessun margine di “tranquillità”. La caduta fa parte del gioco e viene comunque accettata, a patto che la moto ritorni al box, perché un buon pilota di endurance rientra sempre con il proprio mezzo, a qualsiasi costo! In Francia il Bol d’Or è la gara di durata per eccellenza. Forse perché si corre dal 1922, o forse perché da considerarsi a pieno diritto, l’esempio calzante applicato al motociclismo, della famosa “grandeur” francese. Per i "motard" transalpini questa maratona motociclistica è l’evento dell’anno: più del Mondiale Superbike e più dei GP che comunque fanno tappa fissa in Francia oramai da anni.

3 commenti:

Superpantah ha detto...

Grande Enrico!
Post bellissimo. Purtroppo l'Endurance é una specialità a cui in Italia viene dato poco risalto dai mezzi d'informazione.
Secondo me é la piu bella specialità che ci sia.

Francè ha detto...

Bellissimo post!

Le endurance anni '70-'80 mi fanno letteralmente impazzire. Bravo!

Enrico Zani ha detto...

Grazie a voi ragazzi che seguite il mio blog! Il fatto di vedere aprezzato quello che scrivo, è la benzina che mi invoglia a postare sempre nuove cose!
Un salutone da Cesena Bikers!

Enrico