lunedì 6 febbraio 2012

Meteore: tanto veloci in pista quanto veloci a sparire..











Ci sono piloti che hanno lasciato un’impronta sul terreno dei GP come: Masetti, Duke, Hocking, Surtees, Hailwood, Agostini, Read, Sheene, Roberts, Spencer, Lawson, Rainey, Doohan per citare alcuni tra i Grandi della Classe “Regina”; Taveri, Ubbiali, Provini, Redman, Villa, Nieto, Cecotto, Ballinghton, Mang, Lavado, Pons, Cadalora, Biaggi, Capirossi e tanti altri ancora nelle Classi “Minori”. Non occorre elencare tutti i Campioni del Mondo di motociclismo per parlare di “questa gente” che con le proprie azioni ha lasciato un segno indelebile nella storia del nostro amato sport, contribuendo a scriverne la storia a suon di vittorie di gare e titoli. Ci sono poi piloti che hanno vinto poco o nulla, ma che comunque hanno dato il loro grande contributo nel rendere leggendario il motociclismo. A questa razza di piloti, appartengono coloro che pur essendo dotati di un talento smisurato (che spesso li ha resi i più veloci in pista), per svariati motivi (legati alla loro irruenza, al mezzo meccanico inadatto, agli infortuni, alla loro scarsa intelligenza tattica..) hanno ottenuto meno di quanto avrebbero meritato. Fanno parte di questa cerchia ad esempio: Pasolini, Lucchinelli, Mamola, Haslam, Gardner, Schwantz, Ueda, Kocinski, Abe, Barros. Piloti velocissimi, sempre al limite! Il pubblico li ha amati ed idolatrati. Non importa se poi i Mondiali li ha vinti qualcun altro: loro ci mettevano il cuore e l’anima, dando spettacolo ad ogni curva e calcando la scena per diversi anni all’insegna del: “Quest’anno è andata male, ma l’anno prossimo sarà quello giusto!”. Entrambe queste due tipologie di piloti rimarranno per sempre nella storia del motociclismo e nella memoria degli appassionati. Esistono poi dei piloti che hanno illuminato per un attimo il cielo, bagliori che si sono subito spenti, meteore appunto! Tra loro, c’è chi ha vinto una gara mondiale soltanto e dava l’impressione di poterne vincere altre cento e chi, invece si è fermato o è stato fermato dalla sorte. Addirittura c’è chi ha vinto un titolo (o anche due), ed era così forte che pareva lanciato nell’Olimpo ma poi per qualche misterioso motivo si è perso (a tal proposito potremmo dire che il nome di Freddie Spencer potrebbe essere iscritto anche in questo elenco..), ha avuto un grave incidente che gli ha tarpato le ali per sempre (il nostro Franco Uncini fa parte, purtroppo di quest’ultimo caso..), oppure si è fermato sul più bello, senza più trovare dentro di se la voglia di correre in moto. Il motociclismo si sa, è uno sport duro, in grado di spezzare le ossa e la mente. Non bisogna infatti essere solamente forti di scheletro (cosa fondamentale altrimenti ti rompi alla prima, banale scivolata..) ma occorre essere soprattutto forti nella testa. Durare nel tempo è impegnativo: anno dopo anno per un pilota l’impegno mentale si fa sempre più consistente. Il grande campione è colui in grado di saper evolvere il proprio modo di correre ed il proprio stile di guida nel corso della carriera. Infatti un pilota che ha la fortuna di gareggiare a lungo, deve saper adeguarsi alle svolte tecniche che l’evoluzione delle moto, degli pneumatici e dei regolamenti impone, altrimenti si passa dalle posizione di vertice a quelle di coda.. Senza assolutamente voler esser di parte, porto come esempio a questo concetto Valentino Rossi, Giacomo Agostini e Mike Hailwood. Rossi ha vinto l’ultimo Mondiale della 500 a due tempi, si è fatto trovare pronto con la venuta dei 1000 a quattro tempi ed ha trionfato anche con le 800. Sicuramente ha cavalcato sempre mezzi ufficiali ed ha avuto grandi tecnici al suo servizio, ma quale grande campione non ne ha avuti? Agostini, è stato il grande alfiere della MV Agusta. Ha trionfato in ogni dove con quella moto sia nella 350 che nella 500. I suoi detrattori possono dire che non aveva avversari. Sicuramente era nel team più forte e cavalcava la moto più veloce, ma quando è passato alla Yamaha (a causa dei conflitti interni in seno alla MV che lo vedevano coinvolto insieme al suo compagno di squadra Phil Read), è rimasto un vincente, trionfando con la 350, la 500 e la 750. Ago vinse anche con le moto nipponiche a due tempi, nonostante avesse guidato per tutta la sua carriera solamente delle quattro tempi. Hailwood? Beh cosa c’è da dire su di un pilota che al TT correva in 4 o 5 classi e le vinceva tutte? Eclettico, formidabile, unico! Tornando al tema principale del nostro discorso che ci vede concentrati sulle “meteore” del motociclismo, possiamo partire col chiederci: che fine ha fatto ad esempio Ivan Goi? Di lui ricordiamo che nel 1996 a Zeltweg (in Austria) fu il più giovane vincitore di sempre di un GP. Dopo di quella disputò ancora quattro stagioni iridate, ma forse qualcosa si guastò nei suoi meccanismi se meglio di un quinto posto non riuscì più ad ottenere. Sempre in 125, chi si ricorda della finlandese Taru Rinne? Una biondina che viaggiava sola con il camper nelle strade di tutta Europa. Era anche l’unica che in pista non temeva i maschi: a Hockenheim nel 1989 restò in testa alla gara davanti a Gianola e Crivillé e non solo per un giro! Quella volta fu settima e, arrabbiata! Correva su una Honda molto veloce. Di li a poche gare però cadde e rimediò una brutta frattura ad un ginocchio. Non si riprese mai da questa botta, lasciò e da allora “nessuno l’ha più vista”. Carriere corte, carriere fulminee, qualche volta tragiche e altre volte solamente misteriose. Perché, Jim Filice, californiano di Modesto come Kenny Roberts, smise di correre dopo due podi in due gare a cui prese parte? Strano fenomeno. Si presentò a laguna Seca nell’aprile del 1988 in sella ad una Honda e “le suonò” tra gli altri anche a Kocinski e Cadalora! L’anno successivo si presentò nuovamente come wild-card, sempre sul tracciato californiano, ottenne l’assistenza tecnica di Erv Kanemoto e terminò la gara al secondo posto, tra John e Luca. Poi sparì. E qui si innesta un filone particolare delle meteore in moto: quelle dei vincitori della gara di casa, piloti che disputano soltanto quella (le wild-card appunto), oppure vanno molto forte solo li, mentre altrove finiscono irrimediabilmente lontano dal podio. I giapponesi sono stati da sempre degli specialisti in questa particolare attività: Kasuya, Hasegawa, Taira, Kobayashi e Myazaki. Ma questa non è solo una storia nipponica in quanto fanno parte dei “solo in casa” anche i tedeschi Fritz Reitmaier e Edmund Czihak, specialisti del vecchio Nurbiurgring. E poi ancora gli inglesi che nel TT hanno sempre trovato la loro ribalta. Un esempio su tutti fu Phil Carpenter. Anche Italia ed Argentina hanno avuto il loro ruolo in questa attività: Jorge Kissling a Buenos Aires e Fausto Ricci a Misano. Nel caso dei piloti inglesi e tedeschi ci può essere la scusante della loro magnifica conoscenza di tracciati lunghi e pericolosi come il Nurburgring appunto e come il tracciato del TT dell’Isola di Man. Nel caso del pilota argentino va detto che spesso il suo GP di casa era l’ultimo della stagione e, se i giochi erano fatti in termini di classifica iridata, i team europei non si sobbarcavano una così lunga e dispendiosa trasferta. Quindi quella determinata prova del Mondiale si trasformava in realtà in “una prova del Campionato argentino, dove Jorge aveva la vita facile. Diverso è invece il discorso per il nostro fausto Ricci. Misano non era una pista impossibile da interpretare e all’appuntamento italiano i big c’erano tutti. Il fatto è proprio che Fausto a Misano era velocissimo, forse imbattibile. Quella domenica del 1984 poi fu fenomenale! Diede paga a Wimmer e a Rainey. Tutti e tre erano in sella delle Yamaha 250 e Ricci andò a vincere con ben 8 secondi di vantaggio sui rivali! Perché non abbia avuto un seguito è un mistero. Chissà quali fattori sono intervenuti? Possiamo solamente presumere: la squadra che non ha girato, elementi tecnici o umani? Dietro ad ogni carriera “monca” c’è sempre qualcosa che non ha funzionato e spesso, il pilota non ne ha alcuna colpa. Le meteore italiane sono state tantissime. Sin dagli albori. Il Campionato Mondiale di velocità è nato nel 1949 ma uno come Gianni Leoni da Castelluccio, già famoso guzzista anteguerra su Condor e Dondolino, fece in tempo a vincere una prova iridata con la Mondial 125, l’8 aprile del 1951 a Barcellona, ma il 6 maggio morì a Ferrara in sella alla stessa moto. Rotture meccaniche, incidenti, cadute mortali. La storia del motociclismo ne è piena. Quanto avrebbe vinto Angelo Bergamonti senza il mortale incidente del 1971 a Riccione? E Otello Buscherini che aveva già trionfato in 125 e 350, prima di morire al Mugello nel 1976? E parlando di quella dolorosa domenica come non ricordare anche Paolo Tordi, deceduto poco prima di Buescherini? Sport spietato, o qualche volta semplicemente ingeneroso, come è stato con Raimondo Toracca. Meritò la MV 500 ufficiale lasciata libera per qualche gare dall’infortunato Bonera. Ottenne dei buoni piazzamenti e poi, al ritorno del pilota titolare, sparì. Vinicio Salmi che con le Yamaha della scuderia Diemme di Lugo, sembrava lanciato verso il successo, poi, a causa di un incidente smise con le moto e se ne andò negli States a gareggiare nella Formula Indy. Ricordiamo Guido Paci, “il privato più veloce del mondo”, scomparso alla 200 Miglia di Imola del 1983 nei pressi della curva Tosa, proprio quando stava per ottenere la “moto giusta” dalla Honda per dimostrare a tutti il suo valore, dopo anni di gavetta in sella a moto poco competitive. Non italiano, ma comunque “italico” (in quanto di San Marino), vogliamo non citare a tal proposito Manuel Poggiali? Campione del Mondo con la Gilera in 125, Campione del Mondo all’esordio con la Aprilia in 250 e poi.. più nulla. Problemi personali o di personalità? Non si sa, fatto sta che una delle più grandi promesse del motociclismo degli ultimi anni è sparita nel buio quando da lui ci si sarebbe aspettato una sfolgorante carriera costellata di successi nella Classe Regina. Recentemente, tanti fenomeni della Superbike che hanno tentato il salto nei GP, sono purtroppo rimasti scottati: Scott Rusell (campione del Mondo Superbike nel 1993 con la Kawasaki), Troy Corser, Troy Bayliss e Noriyuki Haga. Tutta gente che ha fatto la storia della Superbike ma che nei GP non ha trovato la propria strada. Haga poi in particolare sta alla Superbike esattamente come Randy Mamola sta ai GP: l’amatissimo eterno secondo! Sempre in tema di Superbike come non ricordare Mauro Lucchiari vincitore di due strepitose manches a Misano con la Ducati, in grado di bastonare in quell’occasione gente come Fogarty e poi.. più nulla! Sparito nella mediocrità del centro dello schieramento e poi infine ritiratosi. Ancora nelle derivate della serie ricordiamo la meteora Baldassare Monti “Sarre” o “Baldaschwantz” come veniva chiamato. E per ultimo il talentuoso quanto completamente pazzo Antony Gobert del quale dopo alcune performances di assoluto valore, si sono completamente perse le tracce. Tornando ai GP e parlando delle classi “intermedie” ricordiamo il francese Jean-Louis Tournandre che con una sola vittoria si è laureato Campione del Mondo della 250 nel 1982. Egli ha comunque fatto meglio di Emilio Alzamora, campione del Mondo nella 125 nell’anno 1998 (ai danni di un giovanissimo Marco Melandri) senza vincere neppure una gara! Più forte di tanti altri era felice Agostini, fratello minore del grande Ago. Negli anni Settanta dopo aver fatto bene nella regolarità, provò a correre anche nei GP. Gareggiò un 125 e 250, dando prova di un grande talento ma poi. Su consiglio del fratello maggiore, data la pericolosità delle corse in quegli anni, appese il casco al chiodo. Una delle meteore più forti di sempre fu lo statunitense Pat Hennen. Precursore “dell’american wave”, venne in Europa giovanissimo, dall’Arizona. Tre stagioni nella Classe Regina. Tre vittorie. Poi nel 1978 quando in sella alla Suzuki 500 ufficiale rappresentava l’unico vero ostacolo tra Kenny Roberts e il suo primo titolo iridato, volle provare il brivido del TT dell’Isola di Man. Una caduta rovinosa in quella gara lo costrinse per sempre su di una sedia a rotelle. Prima di Hennen ci fu un altro americano che poteva rappresentava una grande promessa per il motociclismo mondiale: Randy Cleek. Lo statunitense morì nel dopo corsa della 200 Miglia di Imola del 1977: mentre si recava in albergo a bordo di un’automobile insieme ad alcuni suoi meccanici si scontrò frontalmente con un’altra vettura. Nessuno scampò a quel terribile incidente. Qualche ora prima di lui, in gara, aveva trovato la morte il suo connazionale Pat Evans, sbalzato dalla moto alla velocissima curva del Tamburello. Infine il più forte di tutti, sicuramente la meteora più luminosa del firmamento motociclistico: Jarno Saarinen. Spesso iscritto nella ipotetica Top-five dei migliori piloti di tutti i tempi, il “Finlandese Volante” morì in uno degli incidenti più tragici che la storia del motociclismo ricordi: quello di Monza del 20 Maggio del 1973 dove insieme a lui rimase ucciso anche il suo grande rivale Renzo Pasolini. Classe 1945, apparve sulle scene del mondiale ne 1970 accompagnato dalla bellissima ed onnipresente moglie Soili. Girava l’Europa al volante di un furgone della Volkswagen. Faceva tutto da solo. Nelle gare italiane arrivava in suo aiuto un generoso emiliano di nome Domenico Battilani. Jarno mostrò al mondo uno stile di guida tutto nuovo: sporgeva il corpo all’interno della curva e abbassava il ginocchio sino a quasi sfiorare l’asfalto. Di fatto fu colui che introdusse il moderno sistema di portare la motocicletta. Velocissimo e spericolato, sapeva condurre al limite le sue Yamaha 250 e 350, interpretando in maniera magistrale le moto spinte da propulsori a due tempi. Saarinen si laureò campione del Mondo nella classe 250 nel 1972 con un punto di vantaggio su Pasolini. La Yamaha lo volle come suo pilota ufficiale e nella stagione 1973 corse in due categorie: 250 e 500. Nella quarto di litro dopo tre gare aveva fatto segnare tre vittorie: GP di Francia, Austria e Germania. In 500 aveva vinto le prime due gare e nella terza dopo aver fatto registrare il giro più veloce, si ritirò per la rottura della catena. Nessuno poteva credere che questo giovane Finlandese, in sella ad una moto così nuova si fosse messo dietri i “Mostri Sacri” del motociclismo quali erano Giacomo Agostini e Phil Read in sella a quelle MV Agusta 500 che da “sempre” dominavano nella Classe Regina. ”. Saarinen era simpatico e sorridente. Sul bagnato era un vero portento: Agostini e Read con lui avevano trovato pane per i loro denti! Jarno quell’anno aveva anche vinto la 200 Miglia di Daytona e quella di Imola, primo pilota della storia a riuscire in questa impresa. In entrambe le occasioni corse magistralmente, in sella alla “piccola” Yamaha 350 derivata da quella da GP contro le 750 “derivate dalla serie”. Quel 20 Maggio del 1973, alla Curva Grande del circuito di Monza, al primo giro del GP era in scia di Renzo Pasolini, in lotta per la seconda posizione. La moto di Pasolini sbandò (forse per un grippaggio o forse per dell’olio perso dalla moto di Villa durante la gara della 350 che si era disputata poco prima), uscì di strada e rimbalzò in pista finendo addosso a Jarno. In quell’inferno caddero in 12. Paso e Jarno non si rialzarono mai più.. La storia di Saarinen è purtroppo dolorosamente simile a quella di un altro grandissimo pilota : Marco Simoncelli. Anche il nostro Campione ha vinto un Mondiale in 250. Anche lui stava arrivando alla ribalta nella Classe Regina, quando nel GP della Malesia del 2011, sul tracciato di Sepang, in seguito ad un terrificante incidente, ha trovato la morte..

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