Pubblico su Cesena Bikers questo nuovo, bellissimo articolo che mi ha girato l'amico Fosco Rocchetta dal titolo: MARAMA TOYO E PLINIO GALBUSERA - LO SPEEDWAY A RICCIONE (Quando si correva nell’ “Ingar” con la scarpa di ferro) . Ancora una volta Fosco mi ha girato un post da pubblicare inerente alle radici del motociclismo nella Romagna, "terra de mutor", di tanti anni fa. Si tratta di un nuovo viaggio in un'epoca oramai da noi lontana, alla scoperta di un motociclismo pionieristico ma fatto della stessa immensa passione che ancora oggi si vive e respira da queste parti. Buona lettura:
La Romagna ha la fama d’essere da sempre fortemente legata al motociclismo, al punto che si può affermare che “è mutor” è inteso come un mezzo dotato d’una vera e propria anima. Inoltre è opportuno rammentare che vari piloti romagnoli, in tempi diversi, hanno tenuto alto il nome di questa antica regione italiana, riscuotendo prestigiosi successi nei circuiti di tutto il mondo. A tal proposito, anche Riccione può vantare una discreta tradizione risalente agli anni Venti del Novecento, ed all’incirca al tempo in cui la cittadina romagnola pervenne all’autonomia comunale (1922). Le prime competizioni si tennero in un “arcaico” tracciato realizzato all’interno dell’ ’ingar’ (dall’inglese “hangar”), espressione dialettale con cui i riccionesi identificano l’area che fu utilizzata come aviorimessa negli anni della Grande Guerra. Questa zona, ora sede del Luna Park estivo, ha rappresentato per Riccione uno spazio “polivalente”, dato che negli anni successivi al conflitto, e sino agli anni Sessanta dello scorso secolo, ha accolto diversi sport, tra cui motociclismo, ciclismo, calcio, ippica, ed altresì manifestazioni operistiche. Il cosiddetto “ingar”, è stato un importante luogo di aggregazione per la comunità locale, come i riccionesi meno giovani ben ricordano. Escluse le rare persone tuttora in vita, che assistettero a quelle spericolate esibizioni, appare opportuno sottolineare che questo sito, intorno agli anni Trenta, ha ospitato gare di speedway. Questa specialità motociclistica si effettuava su piste ovali in terra della lunghezza minima di 340 metri e massima di 420 metri. Il fondo poteva essere di natura diversa: terra coperta di sabbia, ghiaia, ceneri (donde il nome di “Dirt-Track”, ossia “Gare su pista sporca”. L’origine di questo sport è dubbia, anche se i più ritengono che sia sorto in Australia nel secondo decennio del Novecento. In Italia venne importato da Adolfo Marama Toyo (Fiume ? – Trieste, 30 maggio 1946), un marinaio istriano, divenuto poi famoso pilota e progettista di motori, che aveva conosciuto questo genere di gare nel corso dei suoi viaggi in Australia. Marama Toyo, è il nome d’arte di un audace e “geniale” appassionato di meccanica, nato nell’allora italiana Fiume, da una famiglia di origini egiziane, probabilmente nel primo decennio del secolo scorso. Poco si sa della sua vita, a causa degli eventi che hanno preceduto e seguito l’esodo istriano. Sembra che il suo nome fosse Toyo, a cui egli stesso aveva aggiunto il soprannome datogli dai tifosi, di ”Marama”, che in lingua istriana significava “foulard”: ovvero il fazzoletto colorato che contraddistingueva i piloti di speedway. Scarne note scritte attestano la presenza in Romagna di questo centauro, intorno alla prima metà degli anni ’30. Sicuramente venne a Riccione con lo scopo di lanciare quelle moto dalla stranissima foggia, indispensabili per poter praticare questa nuova specialità, in una terra, dove il motociclismo riscuoteva già un grande interesse di pubblico. Stando al ricordo, ancor oggi vivo di Fulvio Bugli, bagnino riccionese che assistette da ragazzo a quel genere di competizioni, Riccione accolse entusiasticamente questa nuova attività agonistica, e Marama Toyo si sarebbe esibito sulla pista sterrata dell’ingar’intorno agli anni 1932-36, rivaleggiando soprattutto con altri due piloti: Plinio Galbusera, ed un certo Gambi. Merita di essere riportato un particolare curioso, rimasto nella memoria di Bugli, secondo cui il pilota fiumano, dall’originale codino alla Roberto Baggio, prima della partenza cospargeva abbondantemente la tuta di talco: quasi sicuramente si trattava di un espediente per muovere meglio le braccia, soprattutto con il caldo, all’interno di quelle tute, piuttosto rigide, e ben lontane dall’odierno, più sicuro e comodo vestiario che protegge il corpo dei piloti. La pista veniva recintata, ed alle gare che si effettuavano in primavera, assistevano alcune centinaia di tifosi paganti. I concorrenti, che guidavano quei motori alimentati con alcol metilico ed olio di ricino, sprovvisti di freni per poter derapare nelle curve, erano dotati della “scarpa di ferro”, a protezione del piede. Seguaci appassionati di questa specialità, furono anche i riccionesi Ruggero Papini e Gastone Berardi, un tempo ben noti agli amanti delle due ruote. In particolare viene ricordato Berardi, che oltre ad ottenere nel corso della sua carriera discreti risultati, nel 1940 vinse la classe 500 di terza categoria, della “mitica” Milano-Taranto. Fu durante una gara, che Marama Toyo conobbe Plinio Galbusera, creatore e titolare dell’omonima azienda bresciana, all’epoca unica casa produttrice in Italia di motociclette da speedway. I due divennero amici ed il corridore istriano decise di sottoporre al costruttore la sua idea di realizzare una moto da strada spinta da un motore 2 tempi con 8 cilindri a V. L’idea di Marama Toyo era talmente fantascientifica per quegli anni, che se l’avesse proposta a qualche affermata fabbrica motociclistica, lo avrebbero preso per pazzo. Così non la pensava Galbusera, che mise a disposizione del progetto le misere risorse tecniche della propria azienda. In uno solo anno di febbrile lavoro, l’8 cilindri a V da 500 cc, ottenuto dall’accoppiamento di due unità a 4 cilindri e con il cambio posizionato fra di esse, fu progettato e realizzato, sollevando un notevole interesse al salone di Milano del 1938. Lo sviluppo per la produzione del motore venne interrotto dall’avvicinarsi del secondo conflitto mondiale e, al termine della guerra, l’impresa fu abbandonata definitivamente a causa dei bombardamenti che avevano distrutto la Galbusera e, soprattutto, in conseguenza della scomparsa di Toyo, avvenuta il 30 maggio 1946 durante una gara sul circuito di Trieste. Anche il motore è andato perduto e ne rimangono solo le foto scattate al Salone di Milano, unitamente alla vasta eco della stampa dell’epoca. Marama Toyo e Plinio Galbusera, rappresentano due singolari interpreti di un motociclismo “pionieristico” e “romantico”, che con le loro funamboliche prestazioni e fantasiose idee meccaniche, hanno contribuito a tener viva e desta in Romagna quella passione e devozione per il motociclismo, che ha accomunato, e tuttora accomuna, tantissimi romagnoli.
Fosco Rocchetta
1 commento:
Mi spiace ma quello nella foto non é marama toyo.
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