giovedì 4 febbraio 2010

Kenny Roberts, il "marziano" venuto da Modesto














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Kenny Roberts Vs. Barry Sheene

Kenny Roberts: Silverstone 1983

Kenneth Leroy Roberts, più conosciuto col soprannome di King Kenny è nato a Modesto (California), 31 dicembre 1951. Nel suo palmarés non ci sono record: non lo sono i suoi tre titoli consecutivi nella classe 500, né le 31 vittorie nelle gare di campionato. Neppure si può dare il significato di un’impresa senza precedenti al fatto che sia stato lui il primo statunitense a fregiarsi del titolo di campione del Motomondiale, in quanto, dodici mesi prima, il suo connazionale Steve Baker aveva conquistato il titolo della classe 750, le cui prove si tenevano al di fuori dal tradizionale circuito dei Gran Premi mondiali. Kenny Roberts resta però senza ombra di dubbio tra i più grandi di sempre, un campione che ha segnato un’epoca e un cambiamento. Più ancora di Barry Sheene, il due volte Campione del Mondo, di nazionalità britannica che lo ha preceduto nell’albo d’oro del Motomondiale nella classe 500, Roberts rappresenta il simbolo del passaggio dal motociclismo romantico a quello moderno. Kenny Roberts è stato senza mezzi termini un “rivoluzionario”: innovatore nella tecnica di pilotaggio e uomo determinato nella battaglia politica che aveva l’obiettivo di dare allo sport delle due ruote un’organizzazione professionale e ai suoi protagonisti guadagni adeguati. Un ragazzo di origini umili e di scarsa cultura, una sorta di cowboy originario dei quartieri del sottoproletariato di Modesto, dotato però di acume e di grande spirito di iniziativa. Proprio grazie a questa dote, poco più che tredicenne, si rimboccò le maniche e si costruì da solo una piccola moto, utilizzando il telaio di una vecchia bicicletta e il motore di un tosaerba. Il solo modo per per disporre di un mezzo che gli consentisse di aggirare il divieto assoluto postogli dal padre di utilizzare il ciclomotore “di famiglia”. Quella moto divenne lo strumento totale di divertimento nei rari momenti liberi che gli concedeva il suo lavoro di stalliere in un ranch. Si occupava di cavalli da corsa e in famiglia pensavano che avesse tutte le credenziali per poter divenire un affermato fantino (la taglia fisica rimarrà anche in età adulta quella di un Jockey). Al contrario di quanto si pensasse in famiglia però la sua moto artigianale era la sua cavalcatura preferita, tanto da divenire una vera e propria “nave scuola” sulla quale apprese i primi rudimenti del fuoristrada nei campi attorno al ranch. Fu proprio durante una di queste innumerevoli scorribande che l’occhio attento del vicino di casa, Merrill Miller, cadde su questo scapestrato giovanotto che non se la cavava affatto male su quello strano mezzo a due ruote. Miller in breve si rese conto delle potenzialità del giovanissimo Kenny, tanto da suggerirgli di avvicinarsi alle corse motociclistiche. Roberts, antesignano dei “baby piloti”, debuttò a 14 anni con un ritiro. Ciò però non lo scoraggiò affatto e a partire dal 1969, anno dopo anno, inanellò successi e titoli: Campione dell’Oregon nelle competizioni su terra battuta, Campione Nazionale USA Esordienti prima e Juniores poi. Fallì il titolo Export nel 1972 (classificandosi quarto), ma oramai era entrato nell’orbita della Yamaha che in quegli anni si stava affermando a livello mondiale. Roberts, quasi casualmente scoprì di avere la possibilità di innovare la tecnica di guida, in seguito a questo avvenimento: “Nell’ultima gara stagionale, presi una brutta sbandata, rischiando di cadere: riuscii a controllare la moto e a rimanere in sella toccando con il ginocchio l’asfalto. Questa era la prima volta che mi accadeva! Pensai e capii immediatamente che sarebbe stato possibile accentuare l’inclinazione della motocicletta in curva spostando in modo più importante il peso del corpo e utilizzando il ginocchio della gamba interna alla curva come riferimento, facendogli sfiorare il terreno. Così a partire dalla gara successiva, presi l’abitudine di proteggere le ginocchia, applicando pezzi di visiera del mio casco, tenuti saldi tramite strati di nastro adesivo alla tuta.” Ai tempi infatti gli sliders (o saponette che dir si voglia) non esistevano ancora e lui di fatto ne fu l’inventore. In realtà l’evoluzione dello stile di guida era agevolata dal fatto che Kenny, al pari della quasi totalità dei piloti statunitensi dell’epoca, si misurava in svariate specialità del motociclismo a stelle e strisce ed in particolare nel dirt track. Questa particolare disciplina prevede corse di velocità su tracciati ovali con fondo in cenere o in terra battuta, nelle quali le curve si affrontano in sbandata, circostanza che senza dubbio accentua la sua immensa capacità di controllo della moto. Nel 1973 Roberts conquista il titolo di campione USA e la targa di “Number One” proprio nel campionato che prevedeva prove di vario tipo: dalla velocità al dirt. Kenny, divenne per tutti gli appassionati: “King Kenny”, doppiò quel successo l’anno successivo avviando ad un futuro di grandi successi la sua carriera da pilota. Il 1974 fu per Kenny Roberts l’anno della doppia (per lui sfortunata) sfida con il campionissimo Giacomo Agostini nelle 200 Miglia di Daytona prima e di Imola poi, assaporando il motociclismo ai massimi livelli mondiali. Sempre nel 1974 ebbe l’occasione di esordire nel Motomondiale, in occasione del GP d’Olanda nella classe 250cc. La Yamaha per l’occasione gli mise a disposizione una 250 colorata di giallo e nero, ossia con la livrea della filiale Yamaha USA. Questi colori lo accompagnarono per gran parte della sua carriera e fecero si che nei primi tempi gli venne affibbiato lo scherzoso soprannome de “il canarino”. Quando però gli addetti ai lavori e gli appassionati si accorsero del suo immenso talento questo soprannome venne sostituito con quello più altisonante del “marziano”. Ad Assen del 1974 Kenny era nello stesso team dell’ex iridato australiano Kel Carruthers. In prova Kenny Roberts strabiliò tutti ottenendo la pole-position su di un tracciato che non aveva mai visto e in prova concluse terzo, alle spalle di Villa e Katayama. Questo terzo posto all’esordio, assume un tono ancora maggiore se si pensa che Roberts, in testa, tallonato dagli avversari cadde per eccesso di foga. Si rialzò, raccolse la sua moto malconcia e riuscì comunque a finire la gara, terminando appunto a podio. Questa esperienza “formativa” risultò determinante per farlo innamorare completamente del palcoscenico iridato delle competizioni di velocità in moto. Kenny infatti di quell’esperienza disse: “Mi piacque il calore e la passione de pubblico, apprezzai le difficoltà della pista così ricca di curve, anche il livello di competitività dei top driver. Mi stupì e irritò l’atteggiamento degli organizzatori. Capii che i piloti erano trattati alla stregua dei servi, pagati con una diaria assolutamente ridicola. Per me, abituato a essere trattato da professionista e a guadagnare bene, al pari dei miei colleghi americani, fu una sorta di shock!”. Uno shock che indusse Roberts a ripensare all’idea di schierarsi nel Mondiale. Idea che invece tornò d’attualità alla fine del 1977 quando, valutato un certo disinteresse della Casa dei diapason nel continuare lo sviluppo delle moto da schierare nelle gare di dirt statunitensi con conseguente riduzione delle possibilità da parte del “marziano” di conquistare nuovamente il titolo di “Number One”, fece scattare l’operazione Mondiale, studiata nei mini dettagli per la stagione del 1978. Roberts venne schierato dalla casa di Iwata sia nella Classe Regina che nella 250. Quest’ultimo impegno sarebbe dovuto servire per macinare chilometri su tracciati sconosciuti, in maniera tale da fare tesoro di tale know-how sfruttandolo al massimo per essere competitivo nella 500. Roberts vantava l’appoggio esclusivo della Goodyear, suo fornitore di pneumatici e su di una organizzazione esemplare che in testa vedeva Kel Carruthers e niente meno che Nobby Clark e Trevor Tilbury a completare questa incredibile squadra. Il team di Kenny Roberts risultò “qualcosa di assolutamente mai visto” tanto per l’organizzazione quanto per i mezzi a disposizione. Egli infatti poteva contare su due “enormi” (per l’epoca) motorhome. In uno di questi viveva Roberts con la famiglia: la prima moglie Patricia in attesa del terzogenito Kurtiss, i figli Kenny Jr e Kristie; nell’altro viveva Carruthers con la sua. La giornata del campione era scandita da ritmi precisi: prove, riunioni tecniche ed anche un momento da dedicare alla stampa. Questo approccio alle corse che oggi sarebbe normalissimo, ai tempi risultava essere diverso da quello a cui tutti erano abituati, meno spontaneo e più professionale. Non a tutti fu da subito gradito. Su Kenny venne da subito dipinto come un freddo, di essere uno che non voleva familiarizzare con gli altri abitanti del paddock. Forse fu l’invidia per quanto il debuttante dimostrava in pista, dove era sempre protagonista, a far si che si diffondessero queste voci. King Kenny in gara era in grado di mettere tutti in riga, sfoggiando uno spettacolare controllo della moto! Introdusse una usanza che da allora non venne mai abbandonata al termine di un GP: quella di festeggiare la vittoria con lunghissime impennate (o all’americana wheeling). Roberts però dovette fare anche i conti con un aspetto della realtà europea della quale essendo americano non ne sospettava l’esistenza e a tal proposito disse: “Negli States, mi spostavo per migliaia di chilometri ed ero sempre in America. In Europa dopo un trasferimento di 500 Km da un Gran Premio all’altro, mi pareva di aver cambiato mondo: lingua, paesaggio, cibo.. tutto era diverso!”. In aggiunta a questo Kenny dovette scontrasi con la vetusta organizzazione del GP. Nelle prime gare stagionali, in un paio di occasioni, si vedette rifiutare l’iscrizione! Dopo vari patteggiamenti si accordò in entrambi i casi per essere accettato a patto di rinunciare alla già modesta diaria di ingaggio. Nonostante queste difficoltà in pista risultò sempre impeccabile. Al giro di boa della stagione 1978 rinunciò all’impegno nella classe 250, nonostante fosse l’unico serio antagonista al titolo iridato, ai due alfieri della Kawasaki Kork Ballington e Gregg Hansford che in sella ai loro “missili verdi”, una volta sparito dalla scena l’Asso di Modesto, trasformarono il campionato delle quarto di litro in un vero e proprio “trofeo monomarca”. Nonostante l’abbandono a metà stagione, a fine anno risultò quarto nella classifica iridata di questa categoria, con due successi all’attivo. La 250, nonostante fosse in lizza per il titolo, a quel punto della stagione si rivelò essere più un peso che un giovamento e Roberts si concentrò unicamente sulla Classe Regina, dove c’era da piegare la resistenza di un due volte iridato: Barry Sheene. A fine anno l’asso americano ebbe la meglio sul rivale inglese, laureandosi campione del mondo all’esordio, con quattro vittorie sul piatto della bilancia. Dimostrò che nonostante le chances di successo fossero notevoli, la sua rinincia all’impegno nella quarto di litro, fu una scelta azzeccata. Nel 1979 Roberts si confermò di nuovo Campione del Mondo della mezzo litro piegando solo sul finire della stagione la resistenza del pilota italiano Virginio Ferrari oltre che a quella oramai consueta di Barry Sheene. Di questa stagione vanno anche ricordate le memorabili sfide con “i soliti” rivali: Johnny Cecotto e Barry Sheene, in sella ai bolidi da 750cc a due tempi. La stagione dell’asso statunitense però fu tormentata. La moglie Patricia, impreparata al peso di una vita così frenetica, in un mondo così diverso da quello della campagna californiana alla quale era avvezza, non resse e chiese il divorzio. King Kenny si trovò così a lottare per il suo secondo mondiale in una condizione di profondo disagio personale accentuato dalle tensioni per i contrasti sempre più aspri con gli organizzatori dei GP. In gran segreto quindi, divenne l’anima del progetto di un Mondiale alternativo (le World Series) che avrebbero coinvolto circuiti europei e non solo oltre che alle Case, agli Sponsor e alle televisioni. In soldoni quindi un vero campionato professionistico atto a rubare la scena al Motomondiale. Il progetto fu reso di pubblico dominio in occasione del GP del Belgio sul circuito di Spa Francorchamps, dove tutti i migliori piloti, guidati da Kenny Roberts, nelle vesti di capogruppo, scioperarono, protestando per la pericolosità delle condizioni in cui versava il manto d’asfalto: troppo nuovo e scivoloso per potervi gareggiare. Roberts e con lui il rivale Virginio Ferrari, vennero in un primo momento squalificati e poi vennero graziati. Vinse il Mondiale, provò a portare avanti il progetto delle World Series che però sfumò. Va detto che non più tardi di dieci anni da quella data, di fatto quel progetto, troppo innovativo per l’epoca in cui venne ideato, si concretizzò, con la gestione dei GP, affidata ad una unica società sotto l’egida federale. Questa fu una ulteriore prova di quanto Roberts “fosse avanti” per i suoi tempi, in quanto aveva ideato e progettato nei dettagli un cambiamento epocale con dieci anni di anticipo! Campione anche nel 1980 (nel biennio ’79-’80 aggiunse al suo invidiabile palmares altri 8 successi), Roberts abdicò dal suo trono nel 1981 in favore dell’italiano Marco Lucchinelli in sella alla Suzuki del Team Gallina. Colse comunque la vittoria in due gare e terminò al terzo posto nella classifica iridata, dietro anche al connazionale Randy Mamola. Anche nel 1982 non riuscì a conquistare l’iride che andò ad un altro pilota italiano: Franco Uncini, sempre in sella alla moto gestita dal Team che l’anno precedente aveva trionfato con il Lucchinelli. In questa stagione, come nella precedente, tagliò per primo il traguardo in due GP ma a fine anno fu solo quarto nella graduatoria iridata. Kenny Roberts nel frattempo iniziò a correre sotto le insegne ufficiali della Yamaha (e non più sotto quelle gialle-nere della filiale USA della grande Casa nipponica). La Casa di Iwata gli affidò moto nuove e assolutamente innovative, ma ancora acerbe e questo fece si che gli avversari per due anni lo sopravanzarono. Il pilota statunitense iniziò a mostrare degli evidenti segni di stanchezza e disagio: stava cercando di rifarsi una vita con una nuova compagna ma soprattutto sentiva la mancanza dei figli, ancora piccoli, che riusciva a vedere solo di rado, nei rari ritagli di tempo che l’attività agonistica gli concedeva. La voglia di lasciare il Mondiale si fece sempre più forte dentro di lui. La Yamaha però riuscì a convincerlo a correre anche nella stagione 1983, nel team Marlboro capitanato del grandissimo Giacomo Agostini. Kenny Roberts con grande serietà prese quindi il via del campionato deciso a dare un ultimo assalto all’iride, desideroso di congedarsi dal Motomondiale con in tasca il quarto alloro. Come ostacolo tra lui e questa ennesima impresa trovò però un fortissimo e molto più giovane connazionale: “Fast” Freddie Spencer. Il campionato Mondiale di quell’anno rimarrà per sempre impresso nella memoria degli appassionati! Roberts cavalcava una Yamaha a 4 cilindri potentissima ma difficile da domare; Spencer al contrario poteva contare su di una formidabile Honda a 3 cilindri, decisamente meno potente della moto avversaria ma molto più agile e gestibile. I due assi statunitensi si aggiudicarono la vittoria in tutte e 12 le gare di quella stagione, dividendosele equamente. Il campionato fu aperto sino all’ultima gara dove i due si presentarono con Spencer in testa alla classifica iridata e Roberts al secondo posto. La vittoria del californiano però non gli sarebbe valsa la conquista dell’iride se il giovanissimo talento della Louisiana avesse concluso immediatamente alle sue spalle. Fu per questo motivo che Kenny chiese aiuto al suo compagno di squara: Eddie Lawson affinché provasse in ogni modo a “portare via” punti preziosi al rivale. Roberts sul circuito del Santerno corse una gara magistrale, mettendo ancora in mostra la sua classe cristallina e dominando dal primo all’ultimo giro. Il suo compagno di squadra non riuscì però a sopravanzare Spencer, al quale bastò giungere in seconda posizione al traguardo per fregiarsi comunque del titolo iridato. Kenny Roberts dopo questa gara lasciò il Motomondiale come pilota salvo correre per altre tra stagioni come wild-card nel GP degli USA. La sua carriera da pilota professionista “full-time” fu relativamente breve, durando solo 8 stagioni, ma fu incredibilmente intesa e ricca di successi. In totale collezionò 3 titoli iridati nella classe 500; vinse 22 GP nella Classe Regina, 2 nella 250 e 7 nella 750. Nel 1984 la sua carriera agonistica però non era ancora conclusa, infatti prese il via, vincedole: la 200 Miglia di Daytona; quella di Imola, con la quale aveva un “conto in sospeso” sin dal 1974. Si aggiudicò inoltre il Laguna Seca Classic. Anche queste affermazioni vennero ottenute dall’asso statunitense, in sella ad una moto della Casa dei Diapason. Nel 1985 avviò la sua carriera di Team Manager iniziando con una Scuderia che schierava una 250. Dall’anno successivo il suo team fece il salto di qualità arrivando nella Classe Regina. Immediatamente questo team divenne un modello per il paddock tanto che si aggiudicò ben 4 titoli iridati: 1 nella 250 con John Kocinski (nel 1990) e ben 3 di seguito nella 500 con quel fuoriclasse di Wayne Rainey (dal 1990 al 1992). Nel suo team gareggiò anche il suo figlio primogenito: Kenny Roberts Jr. Aprì anche una scuola in Spagna, tutt’ora esistente, dove insegna ai giovani piloti il dirt track, con lo scopo di far si che apprendano i segreti del controllo della moto in derapata (ossia quello che fu il suo grande punto di forza durante gli anni in cui era pilota). Dopo diverse stagioni Roberts divorziò dalla Yamaha per tentare la via di divenire costruttore, un suo vecchio pallino, mettendo in pista le mai troppo competitive Modenas KR 3 cilindri a due tempi. Nel 1996 egli divenne azionista della Proton, che face entrare nel mondiale della MotoGP nel 2004. In questo senso fu accusato di nepotismo in quanto aiutò anche l'altro figlio Kurtis ad essere ingaggiato dalla sua squadra. I risultati migliori sono arrivati per Kenny Roberts nella veste di “assemblatore” di moto quando ha schierato nella categoria Moto GP una moto con telaio “autocostruito” e il propulsore 5 cilindri quattro tempi fornitogli dalla Honda. Un’altra immensa soddisfazione arrivò a Kenny Roberts proprio dal figlio Kenny Jr, il quale divenne Campione del Mondo delle 500 nel 2000, in sella ad una Suzuki, regalando al padre, il più dolce dei primati. L'oggi 59enne Roberts è passato da una vita da sportivo (niente alcool né tabacco, solo Venere), a quella di un perfetto edonista: buoni sigari, ottimo vino e pietanze cucinate personalmente. Come molti ex piloti ha preso a giocare a golf. E’ un amante della pesca che pratica soprattutto nel Montana e vanta una forte passione per la pittura ad olio.

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