mercoledì 5 settembre 2012

Locandina 200 Miglia di Imola 2012

I lettori più giovani probabilmente non sapranno a quale gara fa riferimento l'immagine raffigurata nella bella locandina della 200 Miglia di Imola revival 2012 e chi sono i due centauri in sella a queste argentee Ducati. A seguire, ripropongo, proprio per questo motivo, un mio post del 2010 in cui, chi ancora non conoscesse questa bellissima "favola del motociclismo" potrà imparare qualcosa di nuovo:


Nel 1972, per la prima volta, fu organizzata sul circuito di Imola da Checco Costa, il padre di Claudio Costa, fondatore della Clinica Mobile, una gara per le moto strettamente derivate dalla serie. La 200 Miglia di Imola del 1972 fu sponsorizzata dalla Shell, e vide la partecipazione ufficiale delle squadre: Ducati, MV Agusta, Kawasaki, Suzuki, Triumph, Yamaha, Norton oltre che alla Moto Guzzi e una miriade di piloti privati in sella a mezzi ben realizzati. La 200 di Imola suscitò immediatamente degli appassionati ed ebbe un grande risonanza a livello mediatico per il tempo. Checco Costa svolse un lavoro lusinghiero di promozione dell'evento tanto che in breve la partecipazione da parte delle Case divenne un vero e proprio imperativo: vietato mancare! La gara venne presentata al pubblico con l'accattivante soprannome di “Daytona d'Europa”. Nel vecchio Continente infatti le gare di durata erano intese come 24 ore: Bol d'Or e Spa ma non a distanza. Questa formula invece era adottata maggiormente negli USA: la 200 Miglia di daytona appunto e quella dell'Ontario. Costa volle quindi portare in Italia questa formula appassionante, organizzando quella che ai tempi venne definita come la “gara del secolo” dagli addetti ai lavori. Per questa competizione, la Ducati sviluppò appositamente la 750 Imola Desmo direttamente dalla 750 GT del 1971 ossia la prima moto prodotta a Borgo Panigale, dotata di propulsore bicilindrico a “L”. La squadra corse ordinò ben dieci esemplari dalla produzione. Otto di questi vennero spediti a Imola dalla fabbrica di Borgo Panigale. La principale differenza fra la 750 e la 750 GT fu l'applicazione del sistema 'desmo', sviluppato dall'ingegner Fabio Taglioni, sui motori utilizzati per la gara di Imola. La livrea delle Ducati era stata ispirata da quella classica colore argento delle moto GP degli anni '50, ma da quando venne creata la 500 GP nel 1968, il colore diventò lucido con l'aggiunta di una speciale polvere di alluminio. Quattro 750 Imola vennero iscritte alla gara, a condurle sarebbero state: Bruno Spaggiari (9), Paul Smart (16), Alan Dunscombe (39) ed Ermanno Giuliano (45). Molto lustro venne aggiunto alla manifestazione dall'attesissima partecipazione della MV Agusta che iscrisse il “mostro sacro” di allora, Giacomo Agostini. La Casa di Cascina Costa, così come la Ducati preparò una moto preparata appositamente per l'occasione: la nuova e rivoluzionaria 750 4 cilindri. Anche questa moto per rispondere al regolamento tecnico della 200 Miglia era una derivata dalla serie. La gara fu un trionfo per la Ducati, con Spaggiari e Smart a lottare per la vittoria quasi fino al traguardo. Un fatto che non tutti sanno è che Spaggiari rimase al comando della gara fino a tre curve dalla fine, ma subito dopo le Acque Minerali, la sua moto incominciò a perdere colpi perché era finita la benzina. Smart superò Spaggiari e vinse la gara per la Ducati. Spaggiari, sfortunato e arrabbiato, riuscì comunque a concludere la gara ottenendo un più che lodevole secondo posto. I due piloti giunsero al traguardo con un vantaggio abissale su Walter Villa, in terza posizione in sella alla sua Triumph Trident, mentre Agostini fu costretto al ritiro con la sua MV dopo 42 dei 62 giri in programma per noie meccaniche. Ai tempi vedere la MV, ritirarsi era una cosa piuttosto rara e questo sicuramente fu un fatto che sicuramente il grande Ago ricorda ancora oggi. La vittoria,alla “Daytona d'Europa” ha fatto si che la bicilindrica Ducati 750 Imola Desmo diventasse una vera moto da corsa. I risultati ottenuti da questa motocicletta hanno fatto da base a quelli successivamente ottenuti dalla casa di Borgo Panigale prima in F1 e poi in SBK risultando quindi essere il primo capitolo di una bellissima storia..
Su Cesena Bikers ho già pubblicato molto materiale inerente alla 200 Miglia di Imola del 1972. In questo post voglio però riportare il racconto di chi l'ha vissuta in prima persona: Paul Smart, vincitore in sella alla Ducati di quella prima, epica edizione. Queste sono le sue parole:
"Mi imbarcai sull’aereo già stanco, dopo aver appena corso una gara ad Atlanta, negli Stati Uniti per recarmi a quello che doveva essere il mio primo incontro con la nuova Ducati. Decisamente, non mi sorrideva l’idea di affrontare un lungo viaggio fino a Imola per disputare quella gara: era stata mia moglie ad impegnarsi per me, ed io non ero affatto sicuro di volerci andare. Arrivato in Italia, c’era una sorpresa ad aspettarmi: un “macchinone” venuto a prendermi all’aeroporto. Sapete, una di quelle auto con le tendine ai finestrini, una macchina da dirigente o cose del genere. Dire che il mio atteggiamento inizialmente fosse ostile è dire poco: ero sicurissimo che il mezzo con cui avrei gareggiato fosse l’ennesima moto superata, messa insieme in qualche modo per la gara. Dall’aeroporto, venni accompagnato direttamente al circuito di Modena, dove trovai ad aspettarmi una folla di meccanici ed altro personale di pista in tuta blu. Un chiaro segnale che stava succedendo qualcosa di importante. Franco Farné, che all’epoca dirigeva il reparto corse, parlava poco l’inglese, ma grazie al cielo aveva una segretaria sudafricana anglofona. Parlando con loro, ebbi l’impressione che si stesse preparando qualcosa di grosso. Andammo direttamente al circuito di prova a Modena, che si trovava proprio in centro città. Il circuito fungeva anche da aeroporto, e c’erano degli aerei parcheggiati a bordo pista. In quello stesso circuito si teneva una prova del Campionato Italiano. La pista era circondata da condomini, e tra case e aerei, era molto facile distrarsi. Ero in Italia da meno di un giorno, eppure all’ora di pranzo mi trovavo già al circuito di Modena, pronto a testare una moto nuova di zecca, sotto gli occhi dell’intera squadra corse e della direzione. La 200 Miglia di Imola era in programma pochi giorni più tardi, il tempo stringeva. Vidi la moto per la prima volta già in pista. Pensai: "Questa cosa è talmente lunga che non ce la farà mai a curvare …ha perfino una cerniera nel mezzo!". Ci si fanno idee preconcette giudicando una moto dall’aspetto. Ero sceso da poco da una delle moto più maneggevoli del mondo e questa nuova Ducati mi sembrava un ritorno al passato. “Una bicilindrica a quattro tempi?!” Ripetevo nella mia testa.. Comunque sia uscii e feci dieci giri. Immediatamente, mi resi conto che la grossa novità era il motore. Evidentemente, Ducati aveva lavorato parecchio, mettendoci tanto impegno. Sembrava girare a basso regime, uno scoppio ogni morte di papa (in realtà, era solo un’impressione) ma era comunque sufficientemente veloce, e il telaio pareva a posto. Dopo i primi 10 giri, mi sentii di criticare solo gli pneumatici stradali TT100. Io avrei voluto gomme da gara Dunlop, ma i meccanici erano convinti che non avrebbero resistito per tutta la 200 Miglia: io comunque continuai a insistere perché le cambiassero prima di andare a Imola. Facemmo qualche piccola modifica (le pedane, il manubrio, cose del genere) e dopo circa 20 minuti tornai a uscire. Feci altri dieci giri e poi rientrai nel paddock. Come ho già detto, ero stanchissimo e di malumore, ma quando arrivai al box, pronto a criticare e a fare a pezzi la moto, mi accorsi che era successo qualcosa. Tutti i componenti della squadra saltavano, battevano le mani e mi davano pacche sulle spalle. Avevo appena battuto il record sul giro del campione del mondo Agostini, e con pneumatici stradali!! Tra gli altri c’era l’Ingegnere, Taglioni. Aveva sempre il sorriso sulle labbra, era sempre pronto a parlarti, a fare domande, ad analizzare la situazione. Non dimenticherò mai il suo largo sorriso di quel giorno. La moto era fresca di produzione, ed era stata creata assemblando pezzi dei nuovi modelli GT appena presentati. La mia sensazione era che un mezzo tanto sperimentale difficilmente sarebbe arrivato al traguardo di una 200 Miglia. La moto era molto più veloce di quanto mi aspettassi visti i suoi 84 cavalli effettivi, e non perdeva potenza quando si surriscaldava durante la corsa a differenza delle moto a due tempi che avevo guidato in precedenza e che allora erano viste (e non a torto..) come il futuro del motociclismo. L’erogazione di potenza era molto morbida e mi consentiva di gestire il gas in maniera più aggressiva. Ero decisamente sorpreso: la nuova Ducati era molto più guidabile e più potente della Triumph con la quale avevo corso l’anno precedente. Non rimaneva molto da fare, Ducati aveva pensato a tutto. La mia più grande preoccupazione restavano le gomme, ma i tecnici non volevano ascoltarmi. Insistetti per un po’, e poi mi dissi che ci avremmo pensato se fossi arrivato a fine corsa con solo le carcasse. Era la gara più importante in Italia, il grande evento di Checco Costa, padre del Dr. Costa, che aveva preteso la partecipazione di tutti i costruttori italiani, e di tutti i migliori piloti. Niente scuse, non erano ammesse defezioni. Arrivato al circuito, incontrai alcuni personaggi che già conoscevo: Agostini, i piloti inglesi e un paio di altri concorrenti, tutti sorpresi nel vedermi lì. La massima riservatezza ai box Ducati, il sorriso dell’ingegner Taglioni e la mia presenza a Imola erano gli argomenti del giorno: Ducati stava preparando una sorpresa. Tutti i piloti e i team più famosi si presentarono all’appuntamento: Agostini con la sua MV Agusta campione del mondo, Villa su una fortissima Triumph gestita dal team svizzero Koelliker, Jack Findlay su un’eccezionale Moto Guzzi, Saarinen con la sua Yamaha, Peter Williams e credo Croxford con le Norton e il grande team Triumph ufficiale con Pickford e Jefferies in sella. In più, c’erano le squadre Suzuki, Yamaha e Kawasaki. Era stato offerto ad alcuni tra i migliori piloti di guidare la nuova Ducati, ma tutti avevano rifiutato di salire su un mezzo così sperimentale. Le prove andarono molto bene, io e il mio compagno di squadra Bruno Spaggiari facemmo segnare quasi tutti i tempi migliori. Questo scatenò l’immediato malcontento di tutti coloro che prima avevano declinato l’offerta di correre con quella moto e che ora, con loro grande sorpresa, se la ritrovavano davanti. Agostini aveva un piano: andare fortissimo e vincere, almeno finché la sua MV non si fosse rotta. Credo che fosse in pole position. Sono quasi certo di averlo tenuto dietro in prova, ma comunque, alla fine era in pole. Dopotutto, era il campione del mondo, e nessuno contestò. Io non ero particolarmente preoccupato ne’ intimidito dalla concorrenza, e nemmeno dal mio compagno di squadra Spaggiari: ero arrivato a un punto della mia carriera in cui non mi lasciavo più impressionare dagli altri. Non mi importava chi fossero, purché arrivassero dal secondo posto in giù. Il giorno della gara, si radunò una folla incredibile. L’atmosfera era carica di elettricità, e c’era un rumore assordante, come solo gli italiani riescono a fare. Migliaia di tifosi intasavano le strade e ci volle un eternità a raggiungere il circuito. C’erano spettatori dappertutto, ovunque si potesse scorgere la pista, sui tetti delle case, arrampicati sugli alberi: guardandosi intorno, si vedeva una marea di facce. La pista è uno dei miei ricordi più precisi. Era un bellissimo circuito da Grand Prix vecchio stile, che si snodava, e ancora si snoda, lungo le colline che circondano il cuore della città di Imola. La gara si disputava anche su un tratto di strada pubblica chiusa al traffico per l’occasione, e il tipo di tracciato favoriva le alte velocità. La mia unica preoccupazione era la pioggia, in quanto il circuito era costeggiato in diversi punti da guardrail d’acciaio e alberi, e mettere una ruota fuori pista avrebbe potuto avere conseguenze piuttosto spiacevoli. L’asfalto era leggermente umido e sapevo che sarebbe stata una gara di velocità più che di durata: impossibile pensare di chiudere il gas o rimanere fuori dalla mischia. La parte critica del circuito era la curva del Tamburello (dove nel 1994 uscì di pista Ayrton Senna.ndr.). Per vincere, bisognava affrontarla a gas spalancato e trovarsi nella posizione giusta per l’uscita di curva. Non bastava essere piloti esperti per fare bene questa curva: ci voleva anche una certa dose di coraggio, o di pazzia, per percorrerla a velocità da leader della corsa. Bisognava tenere il gas aperto dalla fine della discesa fino a tutta la curva, superando le 150 miglia orarie (240 kmh). Quelle moto non erano affatto lente, e montavano pneumatici strettissimi rispetto a quelli di oggi. Il direttore della squadra Ducati Fredmano Spairani era un uomo incredibilmente determinato e assolutamente deciso a vincere. Prima della gara, per prevenire eventuali dissapori, mi aveva detto, in presenza di Spaggiari: "Stammi a sentire, tu e Bruno sarete primo e secondo. Vorrei che vi metteste d’accordo per dividervi il premio in denaro che spetta ai primi due classificati, quando vinceremo." Era talmente sicuro e convincente che ci dicemmo d’accordo. E come ciliegina sulla torta, mi disse che, se avessi vinto, avrei potuto tenere la moto. In gara non c’erano tabelle di segnalazione dai box, solo tre aste: rossa, pericolo, pilota vicino, gialla, mantieni la velocità e verde, rallenta. Era prevista una fermata ai box durante la corsa, e anche in quel caso, niente segnalazioni. Avevamo una striscia trasparente sul serbatoio, per consentire ai meccanici di controllare che il serbatoio fosse pieno a fine rifornimento. Tutto molto elementare, niente di digitale allora! Durante l’allineamento per la partenza, tutto il contorno, le urla dei tifosi, cominciarono a dissolversi: in quel momento non pensi più a tutte le persone che ti stanno intorno, sei solo. Io guardavo il cielo e pensavo “oh Cristo, ora comincia a piovere”. La partenza prevista era da fermi, con il motore acceso. Agitata la bandiera, la MV di Ago partì velocissima, ma io fui più prudente perché volevo far durare a lungo la frizione … e durare a lungo anch’io! Ero perfettamente cosciente di avere un intero schieramento di concorrenti agguerriti alle calcagna, e non volevo rovinare tutto al primo tornante. Bruno ed io raggiungemmo in fretta le prime posizioni, ma quasi subito, persi la prima marcia. Mi ha sempre colpito il fatto che Bruno non se ne sia accorto: mi superò di slancio. E’ anche possibile che, senza la prima, mi sia risparmiato tante cambiate; e comunque, non credo di aver perso velocità nelle curve da prima. Fatto sta che il problema più grosso ce lo crearono i doppiati: Imola era un circuito veloce, e c’erano tanti piloti lenti su moto lente. Inoltre, la 200 Miglia era una gara massacrante, e dovevamo evitare di continuo moto che si ritiravano o che finivano il carburante: la percentuale di abbandoni era piuttosto alta. Facemmo un solo rifornimento e fu la parte più critica di tutta la gara. Per aumentare la tensione, sia io che Spaggiari rientrammo al box nello stesso momento: fu ancora più spettacolare ritrovarci insieme in testa alla gara e poi rientrare insieme al box a fare rifornimento. Ducati non voleva solo vincere, voleva che le sue moto fossero prima e seconda, in formazione, per tutta la gara e anche durante il pit stop. Ducati voleva tutto, e riuscire nell’impresa sarebbe stato magnifico (anzi, sarebbe stato, semplicemente, un miracolo). Spaggiari mi aveva superato durante la gara ma io lo avevo immediatamente ripreso. Non ci riprovò fino all’ultimo giro, quando cercò di sorpassarmi all’esterno in uscita dalle Acque Minerali. Quella parte del circuito si affrontava a gas spalancato, e quando vidi la sua ruota anteriore che mi si affiancava, per comunicargli il mio disappunto allargai la traiettoria sempre più... Non lo vidi più accanto a me, e quando alla fine mi voltai a guardare indietro mi venne il sospetto che fosse finito nella siepe a bordo pista! Avevamo un enorme margine di vantaggio su tutti gli altri . Negli ultimi giri, si sentivano le urla dei tifosi sovrastare il rumore dei motori. Che pubblico straordinario. Io e Bruno tagliammo il traguardo primo e secondo, e per la prima volta da quando ero salito su quell’aereo ad Atlanta, sentii la tensione allentarsi. Mi resi conto di quello che era successo solo quando rientrai con la moto nella corsia box, vedendo l’espressione sul volto dei componenti del team, e in particolare, di Taglioni e Spairani: esaltazione pura. Avevano scommesso, e avevano vinto. Quello fu per me un giorno davvero straordinario, anche per un altro motivo: era il mio compleanno ( 23 aprile 1943). Davvero un ottimo compleanno.. In Italia, impazzirono tutti per me, Bruno e la Ducati. Ci caricarono insieme alle moto su un grande autocarro con una parete di vetro e attraversammo Bologna in parata, con una processione di automobilisti dietro che suonavano il clacson sventolando bandiere. Ci fermammo davanti alla stazione, doveva essere una sosta di un minuto ma migliaia e migliaia di persone ci circondarono e si unirono ai festeggiamenti. Io avevo ancora addosso la tuta, ero stanchissimo, stravolto dal cambiamento di fuso orario, ma era impossibile andare a dormire nel bel mezzo di quella festa. Pareva che tutta la città si fosse riversata in strada a celebrare la gloria di Ducati, di Bologna e dell’Italia. Il giorno dopo, Spairani mi ricordò che avrei potuto tenere la moto, a patto di disputare alcune gare internazionali in Gran Bretagna. Io e la mia Ducati 750 andammo a vincere la Hutchinson 100 a Brands Hatch battendo il dominatore di allora, Phil Read. Durante la 200 Miglia di Imola e le gare successive, entrai in grandissima sintonia con quella moto. Era veloce e infallibile. Se dovessi trovarle un difetto, direi la luce da terra in piega, ma grazie al mio stile di guida "fuori" dalla moto, non è mai stato un grosso problema. Sono ancora il proprietario di quella moto, ma l’ho prestata alla Ducati e ora fa bella mostra di se’ al Museo Ducati di Bologna."
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