mercoledì 21 gennaio 2009

Ing. Giulio Cesare Carcano




Nelle foto partendo dal basso:
1) L'ing. Carcano insieme a Cantoni e a Todero, attorno ad un tavolo da disegno in Guzzi
2) L'ing. Carcano in una delle sue conferenze.
Proseguo in questo "filone" di post inerenti alla Moto Guzzi, scrivendo della "mente" che ha ideato il propulsore che ha reso celebri le moto prodotte a Mandello del Lario dalla fine degli anni sessanta in poi. Carcano rappresenta per la Guzzi quello che Taglioni fu per la Ducati: uomini che con il loro estro e le loro intuizioni vincenti hanno dato una impronta talmente profonda alle Case per le quali hanno lavorato, che ancora oggi, a distanza di decenni, quest'ultime, sono legate in maniera assolutamente indissolubile ai loro progetti. Parlando di Moto Guzzi é infatti impossibile oggi non pensare ai suoi generosi propulsori bicilindrici a V raffreddati ad aria che la hanno resa celebre e che ancora oggi (seppur con le dovute e necessarie modifiche), caratterizzano queste moto italiane, rendendole uniche al mondo.
Segue breve biografia:
Giulio Cesare Carcano (Milano, 20 novembre 1910 – 14 novembre 2005) è stato un ingegnere italiano specializzato nel settore motociclistico. Entrato in Moto Guzzi nel 1936, avrebbe dovuto interessarsi esclusivamente di mezzi militari. La passione per le competizioni era però enorme e ben presto fece il suo ingresso nel reparto corse, all'interno del quale, a capo di un piccolo, entusiasta ed abilissimo gruppo di tecnici, progettò e sviluppò alcune moto destinate a spopolare su tutti i circuiti dei mondo, conquistando Titoli iridati a ripetizione, e ad entrare con pieno diritto nella leggenda dei motociclismo. Si tratta delle monocilindriche di 350cc in versione dapprima monoalbero e quindi bialbero. L'ultima versione di queste formidabili moto a cilindro orizzontale, con lubrificazione a carter secco e volano esterno alla camera di manovella, aveva un alesaggio di 75 mm e una corsa di 79 mm. La potenza era di circa 42 CV a 8000 giri/'. La fama di Carcano è però fondamentalmente legata ad un’altra moto da corsa (sebbene questa non abbia mai vinto il Mondiale) che ha lasciato una traccia incancellabile nella storia della tecnica: la 500 a otto cilindri (sulla quale ho pubblicato un post in precedenza). Questa moto risultò estremamente sofisticata per l’epoca e solo la bassa qualità dei materiali e la allora difficile lavorazione degli stessi, ne resero difficoltosa la messa a punto. Al termine del 1957 la Casa si ritirò dalle competizioni mettendo quindi fine al suo sviluppo. All'inizio degli Anni '60 la Casa di Mandello Lario stava attraversando un periodo di forte crisi: le automobili utilitarie, che in quegli anni cominciavano ad essere alla portata di tutte le famiglie, erano ormai l'oggetto del desiderio e lo scooter, che nel dopoguerra aveva vissuto un periodo di grande splendore, stava per essere sostituito dalla Fiat 500. La prima realizzazione di Carcano fu la Stornello 125, concepita all'insegna della massima economia di costruzione ed esercizio. Questi progetti però non soddisfacevano una persona della levatura di Giulio Cesare Carcano. Un pò per sfuggire alla noia, un pò per esercizio personale, Carcano cominciò la progettazione di un motore che avrebbe dovuto equipaggiare la sua Fiat 500, auto che gli piaceva molto ma che non aveva un motore molto vivace. Era un bicilindrico a V di 90 gradi per limitare le vibrazioni, con distribuzione ad aste e bilancieri e con albero motore e bielle montati su cuscinetti a strusciamento (quindi bronzine) per un discorso di semplicità ed economicità di costruzione. Il progetto iniziò senza una precisa direttiva, ma destò grande interesse dopo i collaudi dei primi prototipi, che si rivelarono molto robusti ed affidabili, con poche vibrazioni ed una coppia eccezionale. In quegli anni di crisi del mercato sembrava azzardato pensare ad una motocicletta e il motore venne quindi proposto alla Fiat in alternativa al bicilindrico parallelo della 500. Nato con cilindrata di 500 cm3, il bicilindrico Guzzi venne portato a 650 cm3 e, perfettamente inserito nella scocca della piccola vettura, riuscì ad incrementarne molto le prestazioni visto che riusciva a sviluppare una potenza di ben 32 CV. In una intervista concessa alla rivista Motociclismo, Carcano dichiarò che la Fiat 500 equipaggiata con il suo motore poteva viaggiare tranquillamente a 140 km/h. Queste dichiarazioni, unite alla fama di talento e serietà del tecnico, suscitarono l'interesse della Fiat. Si arrivò molto vicino alla definizione dell'accordo per la fornitura dei motori alla Fiat ma alla fine la casa automobilistica fece marcia indietro per motivi rimasti misteriosi al grande pubblico. Grazie alla gara indetta dal Ministero Della Difesa, che intendeva dotare le truppe di montagna di un veicolo da carico adatto ai più difficili percorsi, il bicilindrico si trovò ad equipaggiare un mezzo a tre ruote capace di arrampicarsi sulle mulattiere con pendenze al limite del ribaltamento. Su questo veicolo, denominato 3X3 o Mulo Meccanico, il motore venne depotenziato fino al limite di 20 CV, che raggiungeva però a soli 4000 giri. L'occasione giusta per sfoderare il suo progetto, Carcano l'ebbe con un concorso ministeriale della Polizia di Stato, a quel tempo equipaggiata con il Falcone, moto che era prestazionalmente limitata rispetto allo sviluppo subito dai veicoli in circolazione in quel periodo. Il bando parlava di una moto capace di arrivare a 100.000 km senza necessità di grandi interventi e facilmente riparabile per non avere lunghi tempi di fermo macchina in caso di guasti. Il lavoro per la moto da presentare alla Polizia cominciò nel 1964. Prese quindi vita il progetto più famoso di Carcano, progetto al quale la Guzzi è ancora legata in maniera indissolubile. Carcano stesso disse che il motore che progettò per partecipare al concorso non aveva più nulla in comune con il motore montato sulla sua 500 tranne l'architetture dei cilindri a 90 gradi frontemarcia. Infatti la lubrificazione passò da carter secco (quindi con olio separato) a carter umido (con olio nella coppia). Le pompe dell'olio di mandata e recupero vennero sostituite da un'unica pompa di mandata. I due alberi a camme vennero sostituiti da un unico albero al centro della V. Vennero adottati cilindri cromati che per la prima volta in assoluto venivano usati su una tale cilindrata. Il carburatore doppio corpo venne sostituito da due Dell'Orto da 29 mm. L'accensione era a spinterogeno con spazzola rotante. La trasmissione era con frizione sul volano bidisco a secco di tipo automobilistico. Il cambio separato era in alluminio con quattro rapporti sempre in presa. La trasmissione finale era ad albero con un giunto omocinetico all'uscita del cambio e coppia conica sulla ruota. L'energia elettrica veniva fornita da una dinamo di 300 W a 12 V che era la più grande mai montata su una moto. La batteria da 32 Ah permetteva di adottare un motorino d'avviamento di tipo automobilistico oltre a tutti i servizi necessari ad una moto della Polizia (sirena, radio ecc.). Il telaio era a doppia culla continua in tubi con il forcellone oscillante e la trasmissione racchiusa nel braccio destro del forcellone stesso. Posteriormente le sospensioni erano costituite da due ammortizzatori idraulici regolabili su tre posizioni. Anteriormente invece venne adottata una forcella teleidraulica. La prima versione di questa nuova moto, aveva una cilindrata di 703,3 cc, una potenza di circa 35 CV, un peso di 250 Kg. e raggiungeva la ragguardevole velocità di 150 km/h. Nel 1965 cominciarono i collaudi sia da parte della Guzzi che da parte della Polizia. A novembre dello stesso anno la moto viene anche presentata al Motosalone di Milano in versione civile, con motore potenziato a 40 CV a 5800 giri che permetteva una velocità massima di 164 km/h con un peso al netto delle attrezzature militari di 230 Kg. Contemporaneamente si dimostra interessata al progetto anche la polizia californiana, nota per la sua severità in fatto di collaudi per la scelta dei mezzi d'ordinanza. Nel 1966 inizia la produzione della V7 per la Polizia ed i mercati esteri. Nel 1967 inizia la vendita al pubblico italiano con un prezzo di 725.000 lire. La moto civile era rossa e argento con i pannelli cromati al serbatoio ed il telaio nero. Rimase in produzione fino al 1969 quando venne rivista da Lino Tonti nella meccanica e nel nome. Nacque così la V7 Special. L'ingegner Carcano rimase sempre legato all'azienda di Mandello del Lario sino al 1965, proseguendo poi la sua attività nel campo delle imbarcazioni, applicando la modifica usata oggi in tutto il mondo sul 4 pesi leggeri: prima i remi erano uno destro uno sinistro, uno destro uno sinistro; la sua innovazione consisteva nell'avere il primo e il quarto da un lato e i due centrali dall'altro; questa innovazione fece vincere alla Canottieri Moto Guzzi numerosi titoli e successivamente a tanti equipaggi di varie nazioni. Questa fu un'idea di successo, dimostrata dal fatto che oggi tutte le imbarcazioni del 4 pesi leggeri utilizzano questa innovazione. Pochi mesi prima della sua scomparsa, avvenuta all'età di 94 anni, la Moto Guzzi ha inteso omaggiare l'opera di Carcano, denominando CA.R.C. (CArdano Reattivo Compatto) il nuovo e rivoluzionario sistema di trasmissione cardanica, ideato dai tecnici della casa di Mandello.

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